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Codice della crisi d’impresa: un errore circoscriverlo alla “fase patologica”

Con l’imminente entrata a regime delle disposizioni del Codice della crisi d’impresa, anticipata dall’introduzione di nuove disposizioni del diritto societario, tutte le imprese devono modificare il loro approccio alla gestione dei rischi aziendali e prestare attenzione alla fisiologica esistenza di sintomi della crisi. Il rischio, però, potrà essere rappresentato da due diverse situazioni: sottovalutare la portata del Codice della crisi d’impresa e attuare in modo inadeguato i nuovi strumenti di ristrutturazione previsti dall’ordinamento. Di questo tema si parlerà nell’ambito del Convegno Nazionale UNGDCEC “Il Dottore commercialista tra continuità aziendale e risoluzione della crisi: nuove opportunità alla luce della Riforma”, in programma a Chieti dal 3 al 5 ottobre 2019.

Come nella medicina il medico deve avere una buona conoscenza e attenzione alla fisiologia umana prima di curare il paziente, così con il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza tutti i professionisti (e in generale i protagonisti) dell’impresa devono abituarsi a (tornare ad) osservare i segnali di un corpo (quello aziendale) sano e non malato. Siamo in presenza, per così dire, di un salto culturale: dalla medicina che cura la malattia, alla medicina che ne previene i sintomi.

L’analogia è calzante perché, con l’introduzione del nuovo Codice, nel nostro sistema economico sono state introdotte disposizione che impongono un significativo diverso e nuovo approccio (delle imprese e degli imprenditori) ai rischi aziendali e alla tutela della continuità del business.

È vero che molte disposizioni contenute nel Codice della crisi rappresentano una conferma di principi già acquisiti dal nostro ordinamento e introdotti dalle riforme dell’ultimo decennio nella legge fallimentare, ciononostante il Codice della crisi apporta novità che stravolgono il modo di fare impresa. I nuovi istituti come l’allerta (della crisi) e gli assetti organizzativi a presidio e vigilanza dei corretti sistemi di governance ne sono l’esempio, insieme alle nuove regole di responsabilità degli organi sociali.

Il nostro legislatore, infatti, attraverso le nuove disposizioni che modificano gli aspetti di diritto societario ha così accentuato e obbligato gli operatori economici (tutti) ad un diverso modo di concepire il business.

La modifica degli assetti societari (ma in verità di tutti gli enti collettivi) è finalizzata a predisporre un sistema e una cultura che realizzi l’obiettivo prioritario del Codice, ovvero quello di permettere l’emersione anticipata della crisi, per sostenere e avviare il prima possibile soluzioni di risanamento quando l’impresa è ancora in grado di risanarsi e prima, cioè, che essa diventi irrimediabilmente insolvente. “La crisi viene così collocata all’interno del più ampio sistema di gestione e controllo dei rischi, che costituisce oggi il perno della gestione e delle strategie dell’impresa”.

Il tema affrontato nell’articolo sarà oggetto di approfondimento e discussione nel corso del Convegno Nazionale UNGDCEC, in programma a Chieti dal 3 al 5 ottobre 2019, dedicato a “Il Dottore commercialista tra continuità aziendale e risoluzione della crisi: nuove opportunità alla luce della Riforma”.

Le iscrizioni sono ancora aperte, scopri il programma

Il 4 e 5 ottobre 2019 si svolgerà a Chieti l’importante Convegno Nazionale dell’Unione nazionale giovani dottori commercialisti che avrà come tema centrale la professione del dottore commercialista alla luce della recente Riforma della legge fallimentare per la tutela e il monitoraggio della continuità aziendale e la risoluzione della crisi.

Prendendo lo spunto da tale imminente occasione di analisi e confronto su temi così centrali per l’economia e la giustizia del nostro paese, appare utile - anche per comprendere le opportunità e le responsabilità che ne derivano - esaminare quali siano le novità e i nuovi presupposti che hanno spinto prima il legislatore e ora spingono gli operatori ad un cambio di passo così radicale.

Sino all’emanazione del Codice, nel nostro ordinamento era definito e conosciuto il solo concetto di insolvenza (ex art. 5 legge fallimentare) e si padroneggiava, perché interpretato dalla giurisprudenza, il concetto di crisi (o meglio di temporanea difficoltà). Con l’introduzione del Codice il legislatore ha ora definito giuridicamente l’insolvenza e la crisi fissandone le definizioni nell’art. 2, rispettivamente alle lettere b) e a) del comma 1.

I nuovi concetti dettati dal Codice (art. 2, comma 1, lettere a e b)
Stato di crisilo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate
Stato d’insolvenzalo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni

Tali concetti però si devono intendere aggiuntivi della fase di normale gestione dell’impresa, che deve intendersi come la situazione di continuità aziendale garantita da elementi di normalità e stabilità degli equilibri aziendali.

Come opportunamente osservato da Assonime, il Codice della crisi muove dal presupposto che esistono tre diverse situazioni di difficoltà dell’impresa, che si prefigurano in orizzonti temporali diversi. A ciascuna di queste fasi corrispondono precisi criteri di gestione dell’impresa e strumenti di reazione di natura diversa: mentre nel caso della perdita di continuità aziendale, il criterio di azione nella gestione è quello dell’interesse dei soci e gli strumenti di reazione sono quelli di natura privatistica (ad esempio aumenti di capitale o assunzione di nuovi finanziamenti), nella situazione di crisi o insolvenza, diventa preminente l’interesse dei creditori e gli strumenti da utilizzare sono quelli di natura concorsuale (ad esempio concordato preventivo, accordi di ristrutturazione).

L’art. 2086 c.c. diventa il perno della corretta gestione dell’impresa insieme ad altre due norme fondamentali contenute, però, non nello statuto ordinario dell’imprenditore (ovvero il Codice civile) ma nel Codice della crisi, che diventa dunque anch’esso parte dello statuto ordinario dell’impresa, a riprova del fatto che occorre abbandonare l’idea che la legge che si occupa di crisi e insolvenza sia per soli specialisti e per le sole imprese in stato di difficoltà.

Il nuovo comma 2 dell’art. 2086 c.c.
L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e dellaperdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale

Gli art. 3 (doveri del debitore), 13 (indicatori della crisi) e 24 (tempestiva emersione della crisi) dovranno essere tenuti a mente e applicati in stretta correlazione alla disposizione citata (art. 2086) del Codice civile.

Un corretto assetto organizzativo, attuato in una normale gestione dell’impresa (sana ovvero in bonis), prevede tre presupposti:

1) l’esistenza di un’organizzazione adeguata alla dimensione dell’impresa atta a rilevare tempestivamente i segnali:

a) della perdita della continuità aziendale e

b) della crisi dell’impresa;

2) quindi un sistema di monitoraggio della tutela della continuità aziendale;

3) e in caso di esistenza di fondati rischi di perdita della continuità aziendale o peggio di incipiente crisi, la capacità di reagire e attuare lo strumento più idoneo, previsto dall’ordinamento, per il recupero degli equilibri aziendali.

Dunque, dal 16 marzo 2019 tutte le imprese (non solo quelle dotate di organo di controllo) devo adottare un adeguato piano di prevenzione dei rischi da continuità aziendale e devono introdurre un protocollo di procedure (ancorché minime e adattate alla dimensione) atte a monitorare periodicamente tali rischi affinchè non possa essere perduta la continuità aziendale e siano monitorati gli indicatori e gli indici che possono fare presumere l’avanzare dell’insolvenza. Le responsabilità degli amministratori e dei controllori sono evidentemente elevate.

Fino a prima dell’entrata in vigore del Codice della crisi si discuteva di quale strumento stragiudiziale utilizzare per la gestione e il superamento della fase della crisi in cui versava un’impresa. Ora, dati i nuovi stadi di “salute” dell’impresa la situazione si complica ed è opportuno conoscere il contesto normativo vigente sino all’entrata in vigore del Codice (ovvero sino al 14 agosto 2020) e il contesto normativo futuro che entrerà in vigore dopo il ferragosto 2020.

Cambieranno le prospettive: il piano di risanamento diventerà un vero piano di mantenimento della continuità aziendale, mentre gli accordi di ristrutturazione e il concordato preventivo diverranno strumenti di gestione della crisi, senza dimenticare che il nuovo istituto dell’allerta (art. 12 del Codice) dovrà e potrà essere considerato e attuato in entrambe le fasi (rischio perdita continuità aziendale e crisi), con i pericoli che può manifestare uno strumento non ancora conosciuto e pur sempre invasivo nella vista dell’impresa.

Come il buon medico, prima di somministrare una cura sarà bene leggere le controindicazioni di ogni idoneo strumento previsto dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale, ricordandosi sempre i nuovi precetti dell’art. 4 del Codice in tema di doveri delle parti nelle fasi della crisi.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/impresa/fallimento-e-procedure-concorsuali/quotidiano/2019/09/18/codice-crisi-impresa-errore-circoscriverlo-fase-patologica

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