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Accordo collettivo aziendale e contratto di prossimità: pro e contro per i datori di lavoro

Le aziende possono ovviare alle limitazioni poste dal decreto Dignità al contratto a tempo determinato in due modi: stipulando un contratto collettivo aziendale ordinario o un contratto di prossimità. Con l’accordo aziendale di secondo livello si gestisce il rapporto di lavoro disciplinando una materia non regolamentata dalla legge e dalla contrattazione collettiva nazionale o su delega della legge, oppure migliorando, per il lavoratore, una regola già prevista, in via esclusiva, dalla legge. Il contratto di prossimità può derogare alle disposizioni di legge ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro, anche in via peggiorativa per il lavoratore, ma a quali condizioni?

Dopo le limitazioni portate al contratto a tempo determinato dal decreto Dignità (DL n. 87/2018), le aziende stanno cercando soluzioni per ovviare alla riduzione della durata del contratto a termine (il più utilizzato) e continuare, così, ad essere competitivi sui mercati internazionali dove la flessibilità produttiva è fondamentale e, con essa, la flessibilità nella costituzione e nella gestione dei rapporti di lavoro.

Tra le soluzioni evidenziate, quella più evidente è la rimodulazione delle regole legali attraverso l’intervento della contrattazione collettiva decentrata. Soluzione apparentemente ottimale, sempreché si rispettino alcune condizioni preliminari, imprescindibili per l’uso di tale strumento.

Innanzitutto, va detto che esistono 2 tipologie di contratti aziendali: il contratto collettivo aziendale ordinario ed il contratto di prossimità.

La scelta del contratto collettivo da utilizzare è fondamentale per raggiungere lo scopo che le parti si prefiggono, in quanto l’un contratto non è alternativo all’altro.

Il contratto collettivo aziendale ordinario interviene sul rapporto di lavoro per:

1. disporre una materia non regolamentata dalla legge e dalla contrattazione collettiva nazionale;

2. migliorare, lato lavoratore, una regola già prevista, in via esclusiva, dalla legge;

3. intervenire laddove la legge delega la contrattazione collettiva a definire una determinata regola.

Il tema affrontato nell’articolo sarà oggetto di approfondimento e discussione in aula nel secondo incontro dell’edizione 2019/2020, dedicato a “Accordi di II livello".

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Vediamo, nello specifico, le tre casistiche suindicate.

Nel primo caso, la contrattazione collettiva aziendale interviene in una materia non regolamentata, per definirne i dettami e le modalità di applicazione.

Un esempio, alquanto applicato dalle aziende, è il premio di risultato. Premio che viene riconosciuto ai lavoratori grazie proprio ad un accordo di secondo livello, ove le parti specificano le modalità di applicazione e la relativa erogazione.

Nel secondo caso, la contrattazione collettiva aziendale agisce su una materia già regolata da una fonte gerarchicamente superiore (legge o contrattazione collettiva nazionale) e la va a ridefinire in base alle esigenze aziendali, proprie del principio di sussidiarietà. In pratica, va a trasformare un “vestito generico” in un “abito sartoriale”. Questa rimodulazione può avvenire tassativamente allorquando vada a migliorare le condizioni del lavoratore.

Un esempio potrebbe essere la revisione delle maggiorazioni previste dal CCNL in caso di lavoro straordinario, disponendone l’aumento (es. il 25% in luogo del 20%).

Nel terzo caso, l’intervento sindacale è ammesso qualora vi sia una specifica delega fornita dalla norma di legge a regolamentare una materia. Vari esempi sono previsti all’interno del decreto legislativo 51/2015 (TU sui contratti di lavoro). Uno su tutto è la possibilità di rivedere la durata massima che un lavoratore può avere sommando tutti i rapporti di lavoro a tempo determinato ed in somministrazione a termine con lo stesso datore di lavoro.

In questo caso, il legislatore dispone una delega alla contrattazione collettiva di regolare la materia sulla durata massima dei rapporti a termine: “Fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi”. In pratica, qualora la contrattazione collettiva abbia disciplinato la materia, la disposizione legale non entra in campo e non dovrà essere presa in considerazione. La cosa che può fare la contrattazione collettiva delegata dalla legge è quindi:

1. regolare la materia senza avere nessun pregiudizio sul fatto che debba essere migliorativa per il lavoratore; infatti, si può prevedere una durata superiore a quella prevista dalla legge (esempio: 40 mesi di durata massima data dal cumulo dei contratti a tempo determinato e della somministrazione a termine)

2. non regolare la materia e quindi applicare quanto la legge prevede in caso di inerzia delle parti (nell’esempio prospettato: 24 mesi).

La cosa che, però, i contratti collettivi non possono fare è cancellare la regola non prevedendo un limite idoneo (esempio: regolare la materia prevedendo la seguente disposizione: “non è previsto alcun limite di durata dei rapporti a tempo determinato ed in somministrazione tra l’azienda ed un determinato lavoratore.”). Ciò non è possibile in quanto la contrattazione non potrà rimuovere del tutto i limiti quantitativi previsti dal legislatore ma esclusivamente prevederne una diversa modulazione.

Il contratto di prossimità si avvale di una disposizione legale – l’articolo 8 del decreto legge 138/2011 – che fornisce la possibilità di derogare alle disposizioni di legge ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro, da parte dei contratti collettivi aziendali (la disposizione prevede anche la possibilità derogatoria da parte dei contratti collettivi territoriali ma, per quello che so, non vi sono contratti territoriali che abbiano recepito tale possibilità), anche laddove le specifiche norme abbiano regolato in maniera esclusiva una determinata materia ed anche provvedendo a fornire una rimodulazione “peggiorativa” delle condizioni del lavoratore, cosa che ordinariamente non è possibile, ciò in quanto, normalmente e come già specificato quanto abbiamo parlato di contratti collettivi ordinari, una fonte inferiore non può modificare in peius una materia regolamentata da una fonte superiore.

La norma (articolo 8), per quanto molto semplice nella sua formulazione, prevede una serie di condizioni all’applicazione derogatoria.

In primis, la controparte sindacale dovrà essere composta da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda (RSA o RSU).

Dovrà, inoltre, essere previsto uno scopo alla rimodulazione di una determinata regola prevista da una norma di legge. Le finalità indicate dal primo comma dell’articolo 8 sono, come si dice in questi casi, esaustive e non esemplificative:

Ø maggiore occupazione;

Ø qualità dei contratti di lavoro;

Ø adozione di forme di partecipazione dei lavoratori;

Ø emersione del lavoro irregolare;

Ø incrementi di produttività e di salario;

Ø gestione delle crisi aziendali e occupazionali;

Ø investimenti ed avvio di nuove attività.

In pratica, l’accordo sindacale dovrà, in premessa, indicare una delle motivazioni di scopo che hanno portato a ridefinire la regola legale. La mancanza di una di queste finalità rende inapplicabile la deroga evidenziata dall’accordo di prossimità.

Le deroghe dovranno riguardare tassativamente le seguenti materie, inerenti l'organizzazione del lavoro e della produzione aziendale:

§ impianti audiovisivi e introduzione di nuove tecnologie;

§ mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;

§ contratti a termine, part-time, intermittente,

§ regime della solidarietà negli appalti

§ ricorso alla somministrazione di lavoro;

§ disciplina dell'orario di lavoro;

§ modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative e le partite IVA,

§ trasformazione e conversione dei contratti di lavoro,

§ conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio.

Infine, sempre il legislatore dell’articolo 8, ha previsto un limite alla deroga: il rispetto della Costituzione ed i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro. Il mancato rispetto di questi vincoli invalida l’accordo di prossimità.

Così come spiegato nella trattazione del CCAL, anche in questo non si potrà rimuovere del tutto limiti quantitativi imposti dal legislatore ma esclusivamente prevederne una rimodulazione, lasciando il vincolo imposto dalla norma.

Le considerazioni contenute nel presente contributo sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza

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Al via il secondo incontro, dedicato agli accordi di II livello Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/10/02/accordo-collettivo-aziendale-contratto-prossimita-pro-datori-lavoro

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