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Cuneo fiscale e pensioni: con la legge di Bilancio 2020 si può ben sperare?

Con la Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza, approvata dal Governo il 30 settembre 2019, è stata aperta la sessione di Bilancio 2020, che dovrà concludersi in tempi strettissimi. L’Esecutivo metterà in campo il taglio del cuneo fiscale dedicato al lavoro dipendente, una misura di equità che avrà efficacia se indirizzata nei confronti dei ceti medio-bassi. Da articolare bene la questione della previdenza e del sostegno alla povertà, con il mantenimento del reddito di cittadinanza, di quota 100 e dell’APE sociale, da rendere strutturale. E, da ultimo, un intervento necessario: l’abolizione degli sbarramenti esistenti sulle pensioni totalmente contributive. Si può ben sperare?

Nella premessa alla Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza pubblicata il 30 settembre 2019 si legge che “il nuovo Governo è stato formato con rapidità e si è trovato a dover aggiornare il DEF e impostare l’imminente sessione di Bilancio in tempi strettissimi”. Questa didascalica puntualizzazione mette bene in evidenza due osservazioni necessarie a definire il contesto nel quale nasce il documento finanziario.

La prima - e più ovvia - è quella che riguarda i tempi della sua redazione, effettivamente quasi proibitivi. La seconda, riguarda la natura stessa dei Governi che si formano nel tempo della frammentazione politica dell’elettorato. O meglio, riguarda la tendenza in atto, relativa alla formazione dei Governi nelle democrazie liberali, non solo in Italia: vedi il recente caso dell’Austria.

In questo tempo, in sintesi, è difficile che possano nascere Governi programmaticamente omogenei. In ogni angolo dell’Europa occidentale, culla della democrazia liberale, la stabilità e l’omogeneità delle maggioranze sono sempre più difficili da conseguire. Si consideri che la Germania - nazione sinonimo di stabilità per eccellenza - nella quale gli equilibri si sono fondati per decenni sulle forze democristiane, liberali e socialdemocratiche, sta diventando essa stessa sempre più instabile. O la Spagna, nella quale, dopo tre tornate elettorali politiche consecutive, non si riesce a formare una maggioranza e si è costretti ad avviarsi verso un quarto voto alla ricerca di una soluzione. Le recentissime elezioni svoltesi in Austria, che abbiamo poc’anzi richiamato, ne rappresentano una ulteriore dimostrazione. Cosa farà Sebastian Kurz, leader del partito di orientamento democristiano-conservatore ÖVP, dopo la vittoria elettorale? Chi sceglierà tra i socialdemocratici, i verdi e l’FPÖ, l’ultra-destra segnata dallo scandalo dell’Ibizagate? Ognuna di queste scelte è possibile, ma può intaccare la popolarità di Kurz.

Su una simile falsariga - legittimamente perché le maggioranze si formano in Parlamento - in Italia si è verificato un cambio di coalizione da M5S-Lega a M5S-PD-LEU alla quale si è aggiunta, mediante una scissione a Governo già insediato, Italia Viva. Il problema è, dunque, una difficile coerenza programmatica di fronte alla segmentazione - anziché alla polarizzazione - delle forze politiche e degli elettorati. Sviluppo che rende assai difficile, appunto, immaginare la nascita di Governi programmaticamente omogenei.

Dunque, oggi, in una finestra di tempo molto breve, la coalizione giallo-rossa deve riprendere il filo di un Bilancio dello Stato caratterizzato, per le condizioni date e per l’eredità acquisita dal precedente Governo, da una manovrabilità assai scarsa e con una omogeneità programmatica tutta da testare. Prova ne sono le fibrillazioni relative alla più pesante variabile contabile da sciogliere: la clausola di salvaguardia dell’IVA che vedrà, giustamente, la sua sterilizzazione totale. Una scelta praticamente obbligata e attesa dal Paese che può dare maggiore forza alla crescita e stabilità al Governo. In secondo luogo, è da considerare positivamente - dovranno esserne valutate le proporzioni e l’indirizzo al momento della stesura della legge di Bilancio - il taglio del cuneo fiscale dedicato al lavoro dipendente. Si tratta di una misura di equità che avrà efficacia se indirizzata nei confronti dei ceti medio-bassi. L’obiettivo, a regime, potrebbe corrispondere all’erogazione di una “quattordicesima” (1.500 euro lordi da pagare a luglio di ogni anno?), come già avviene per le pensioni più basse: obiettivo non facile da realizzare a breve vista la scarsa disponibilità di risorse.

Da articolare bene la questione della previdenza e del sostegno alla povertà. Va considerato necessario il mantenimento sia del Reddito di Cittadinanza che di Quota 100. La storia deve insegnarci qualcosa. La tragica vicenda degli esodati ci spiega che non si può varare una normativa e poi implementarla solo parzialmente o cancellarla. I cittadini, ai quali è stata fatta la promessa di poter accedere a questa misura, devono vederla mantenuta. Detto questo, deve restar chiaro che Quota 100 non corrisponde affatto a un’abolizione - né parziale né men che meno totale - della legge Fornero.

Per intaccare, invece, seriamente la mancanza di equilibrio di quella legge, sarebbe auspicabile un preciso intervento: l’abolizione delle soglie vigenti, 2,8 e 1,5, per poter accedere alla pensione tutta contributiva a partire dai 63 anni. Stiamo parlando delle pensioni totalmente contributive che verranno erogate a partire dal 2036, quarant’anni dopo la riforma Dini, alle nuove generazioni. Infatti, il requisito attualmente richiesto dalla legge Fornero è di poter conseguire all’età di 63 anni la pensione a condizione che essa corrisponda a un assegno che equivalga ad almeno 2,8 volte il trattamento minimo (500 euro), cioè un totale di circa 1.400 euro lordi mensili. In mancanza di tale requisito, si “scivola” fino all’età pensionabile del momento (siamo parlando degli anni 30 del secolo attuale: 68/70 anni di età?). Uno sbarramento assurdo che deve essere tolto dal tavolo per restituire un senso di equità a chi deve faticosamente costruire un adeguato montante contributivo. Non facile da conseguire con i salari bassi e la discontinuità del lavoro che riguarda soprattutto i giovani.

Un altro intervento necessario per l’equità previdenziale è - mentre Quota 100, per i limiti della platea cui è rivolta deve andare ad esaurimento dopo i tre anni previsti di sperimentazione - rendere strutturale l’APE Sociale, favorendone l’accesso a chi svolge lavori faticosi e discontinui come gli edili. Si può razionalmente immaginare di far salire ancora a 67 anni di età questi lavoratori su un’impalcatura?

I prossimi tre mesi ci diranno se esistono le basi affinché questo Governo assuma un profilo programmatico concreto uscendo dalla precedente logica del “Contratto”. La capacità di manovra dimostrata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte lascia ben sperare.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/10/05/cuneo-fiscale-pensioni-legge-bilancio-2020-sperare

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