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Contratto a termine per attività stagionali: quali deroghe alla disciplina generale?

Dopo la reintroduzione delle causali per i contratti a termine, da parte del decreto Dignità, le parti sociali sono intervenute per trovare alcuni spazi entro cui poter individuare le “attività stagionali”, per le quali si possono costituire rapporti a termine senza l’apposizione di alcuna condizione, al fine di limitare le criticità delle causali apponibili al “normale” contratto a tempo determinato. Ma quali sono le deroghe alle regole generali per le attività stagionali? Se ne parlerà nel corso del VII Forum TuttoLavoro, organizzato da Wolters Kluwer in collaborazione con Dottrinalavoro.it, RCS Academy e Corriere della Sera, in programma a Roma il 27 novembre 2019.

Le novità introdotte con il decreto Dignità (D.L. n. 87/2018), che hanno comportato la reintroduzione di causali particolarmente difficili da applicare (con la sola eccezione di quelle finalizzate alla sostituzione di lavoratori assenti), hanno spinto le parti sociali a trovare alcuni spazi entro cui poter individuare le “attività stagionali”, per le quali si possono costituire rapporti a termine senza l’apposizione di alcuna condizione.

L’applicazione della disciplina relativa a questi contratti a termine postula, innanzitutto, l’individuazione delle attività a carattere stagionali: tale onere è stato delegato dal D.Lgs. n. 81/2015 ai contratti collettivi (anche aziendali, secondo la definizione che discende dall’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015) e ad un decreto Ministeriale che, ad oltre quattro anni dall’emanazione della disposizione, non ha visto ancora la luce. Fino a quando ciò non avverrà, non c’è vuoto normativo in quanto la materia continua ad essere disciplinata dal D.P.R. n. 1525/1963 il quale, però, contiene molte attività, oggi, alquanto desuete.

In passato, il Ministero del Lavoro, fornì alcuni chiarimenti amministrativi che si ritengono, tuttora, validi.

Ciò avvenne con la circolare n. 42/2002, ove si affermò che non esiste alcuna predeterminazione alla durata dei contratti stagionali (il riferimento era alla voce n. 48 del D.P.R. n. 1525/1963 – attività esercitate da aziende turistiche, con un periodo di inattività non inferiore a 70 giorni continuativi o a 120 giorni non continuativi), essendo la stessa una variabile strettamente correlata alle esigenze produttive del datore di lavoro, attesa anche la nota dell’INPS espressa con la circolare n. 36/2003 con la quale si ribadiva l’ammissibilità, in via generale, del contratto a termine, strettamente riferito alle esigenze aziendali, supportate dalle motivazioni datoriali.

Va, inoltre, ricordato come la contrattazione collettiva nazionale sia andata oltre il concetto di mera stagionalità (si pensi al settore turistico che, il 30 aprile 2015 ha sottoscritto un ulteriore avviso comune sulla stagionalità, firmato da Federalberghi, Faita, CGIL, CISL e UIL di categoria), tale da ricomprendere quelle imprese che non operano soltanto in un determinato periodo, ma anche durante tutto l’anno e che si trovano ad affrontare problemi legati ad incrementi dell’attività, secondo un vecchio indirizzo del Ministero del Lavoro che, con riferimento agli apprendisti stagionali (si era negli anni 1997 e 1998), riteneva possibile l’assunzione anche in aziende aperte tutto l’anno interessate da intensificazione dell’attività.

Prima di entrare nello specifico delle attività stagionali individuate dalla contrattazione collettiva, credo sia opportuno focalizzare l’attenzione sulle specificità del contratto.

Innanzitutto, il termine massimo di ventiquattro mesi previsto dal D.L. n. 87/2018 per i “normali contratti a termine” non trova applicazione: lo si evince, chiaramente, dall’inciso contenuto nel comma 2 dell’art. 19 del D.Lgs. n. 81/2015 che fa salve le attività stagionali con una conseguenza ben precisa, come già ricordato dal Ministero del Lavoro con l’interpello n. 15/2016, che consiste nel fatto che tali periodi non concorrono al raggiungimento del tetto massimo. Ovviamente, un lavoratore stagionale può ben essere assunto in un altro periodo dell’anno con contratto a termine che rientra nella disciplina generale, ma i due istituti hanno una gestione ed una disciplina completamente diversa, potendo il secondo rapporto essere sottoposto ad una delle condizioni previste dall’art. 19.

L’assunzione di lavoratori stagionali non è soggetta a limiti quantitativi: di conseguenza, non si applica né la percentuale del 20% rapportata sui lavoratori in forza a tempo indeterminato il 1° gennaio dell’anno a cui ci si riferisce, né a quella, eventualmente diversa, prevista dalla contrattazione collettiva.

La ragione è evidente: si tratta di un “mercato del lavoro settoriale” troppo esposto alle fluttuazioni derivanti dalle condizioni meteorologiche (penso, ad esempio, alla lavorazione dei pomodori nel settore industriale o a quella dei gelati).

Nel contratto di lavoro stagionale non trovano applicazione le disposizioni in materia di successione dei contratti che prevedono lo “stop and go” con uno stacco di dieci o venti giorni a seconda che il precedente rapporto abbia avuto una durata fino a sei mesi o superiore. Ciò significa che un contratto stagionale si può ben legare al successivo senza soluzione di continuità.

Ciò fa passare in secondo piano la questione delle proroghe che nel “normale” contratto a tempo determinato sono, al massimo, quattro in un arco temporale di ventiquattro mesi: va ricordato, comunque, come nel settore alimentare, con un accordo del 2014 intervenuto tra l’associazione confindustriale di categoria e le organizzazioni di settore CGIL, CISL e UIL, sia stato affermato che un contratto stagionale, in un periodo complessivo di otto mesi, possa essere prorogato quattro volte.

Il contratto stagionale si differenzia dall’altro anche per la parte contributiva ove, per quelli rientranti nelle attività individuate dal D.P.R. n. 1525/1963, non è prevista alcuna maggiorazione.

Questo discorso, però, non vale per i contratti stagionali che traggono origine dalla contrattazione collettiva: qui al “normale” 1,40% si somma, per ogni rinnovo, come ricorda la circolare INPS n. 121/2019, emanata sulla scorta dei chiarimenti intervenuti con la circolare del Ministero del Lavoro n. 17/2018, lo 0,50% che ha natura progressiva. Da ciò discende che, con l’andar del tempo, il costo dei contratti diverrà particolarmente oneroso, in una situazione nella quale, in virtù del diritto di precedenza che vale soltanto per l’assunzione con un altro contratto stagionale, il datore di lavoro è obbligato a riprendere sempre quel lavoratore.

Altra differenza rispetto al “normale” contratto a tempo determinato si riscontra, appunto, nel diritto di precedenza previsto dall’art. 24 il quale impone al datore di lavoro di richiamarlo espressamente nella lettera di assunzione (richiamo, peraltro non sanzionato, che può essere fatto sia riferendosi alla disposizione normativa che spiegandone le modalità). Perché lo stesso possa esplicare i suoi effetti è necessario che il lavoratore interessato manifesti per iscritto la propria volontà di avvalersene (fino a quando non lo fa il datore di lavoro non risulta vincolato).

I termini ed i contenuti, come dicevo, sono diversi.

Nel “normale” contratto a termine il diritto di precedenza, che si estingue trascorso un anno dalla data di cessazione del rapporto e che va esercitato entro sei mesi dalla data di cessazione del precedente rapporto, si concretizza in un diritto finalizzato all’assunzione a tempo indeterminato per lo svolgimento di mansioni già espletate (con alcune ulteriori prerogative per le donne “in periodo protetto”), mentre nel rapporto a termine per attività stagionali il diritto di precedenza, che va esercitato per iscritto nei tre mesi successivi alla cessazione, “vale” per ulteriori contratti stagionali (art. 24, comma 3).

Il lavoratore non può rinunciare al diritto di precedenza al momento della instaurazione del rapporto in quanto tale diritto che matura al momento della cessazione del rapporto non è nella sua disponibilità e, quindi, la rinuncia sarebbe affetta da nullità.

Nel lavoro stagionale va ricordata anche l’esistenza di una norma che riguarda le lavoratrici. Recita l’art. 59 del D.Lgs. n. 151/2001 che “le lavoratrici addette ad industrie e lavorazioni che diano luogo a disoccupazione stagionale, le quali siano state licenziate a norma della lettera b) del comma 3 dell’art. 54 (cessazione dell’attività delle aziende a cui erano addette) hanno diritto per tutto il periodo in cui opera il divieto di licenziamento, sempreché non si trovino in periodo di congedo per maternità, alla ripresa dell’attività lavorativa stagionale e alla precedenza nelle riassunzioni”.

E’ possibile, con un accordo sindacale, derogare al diritto di precedenza? La mia risposta è negativa per due ordini di considerazioni che possono così riassumersi:

a) il comma 3 dell’art. 24 non offre tale possibilità alla contrattazione collettiva;

b) l’art. 8 della l. n. 148/2011 (contrattazione di prossimità) darebbe, effettivamente, tale possibilità ma mi riesce difficile individuare le finalità dell’accordo di deroga tra gli obiettivi di scopo previsti dal comma 1.

Ma, cosa succede se a fronte di minori necessità (ad esempio, perché la stagione è stata “inclemente”) il datore di lavoro ha bisogno di un minor numero di lavoratori rispetto alla “campagna” precedente?

Nulla dice il Legislatore in ordine alla gestione dei diritti di precedenza ma nel settore, da sempre, si tende, anche con accordi collettivi aziendali, a privilegiare chi ha “alle spalle” più periodi lavorativi.

Il lavoro stagionale, per ora, soltanto nel turismo e nel settore dello spettacolo, è possibile anche con un rapporto di apprendistato.

Afferma, infatti, l’art. 44, comma 5 del D.Lgs. n. 81/2015: “Per i datori di lavoro che svolgono la propria attività in cicli stagionali i contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, possono prevedere specifiche modalità di svolgimento del contratto di apprendistato, anche a tempo determinato”.

Nel settore turistico alberghiero ciò è avvenuto nel corso del 2012 con gli accordi del 17 aprile (Federalberghi) e del 14 maggio (Federturismo) e per i minorenni (art. 43, comma 8, del D.Lgs. n. 81/2015) alle stesse condizioni con le previsioni regionali che debbono prevedere sistemi di alternanza scuola – lavoro) dall’accordo del 16 giugno 2014. Ebbene tali previsioni contrattuali (articoli 14 e 15) stabiliscono che:

a) è consentito articolare lo svolgimento in più stagioni attraverso più rapporti a tempo determinato, l’ultimo dei quali dovrà, comunque, avere inizio entro quarantotto mesi consecutivi di calendario dalla data di prima assunzione;

b) viene garantito a tutti gli assunti con contratto a tempo determinato un diritto di precedenza per l’assunzione presso la stessa azienda nella stagione successiva, con le medesime modalità riconosciute ai qualificati;

c) le prestazioni di breve durata eventualmente rese tra una stagione e l’altra sono utili ai fini del computo della durata dell’apprendistato;

d) l’impegno formativo annuo (art. 14, comma 2) previsto in relazione ai livelli di inquadramento dal precedente comma 1 viene determinato riproporzionando il monte ore annuo (che varia dalle quaranta alle ottanta ore) in base alla effettiva durata di ogni singolo rapporto di lavoro.

Per il resto, al contratto stagionale trovano applicazione le altre norme che si applicano ai contratti a tempo determinato tra cui si segnalano la forma scritta, i criteri di computo (art. 27), le disposizioni particolari riferite al calcolo per l’individuazione dell’aliquota obbligatoria per l’assunzione dei disabili (si calcolano i contratti di durata superiore a sei mesi) e le disposizioni in materia di impugnazione del contratto portate, per il deposito del ricorso, a 180 giorni, come stabilito dall’art. 1, comma 1, lettera c) del D.L. n. 87/2018 che è intervenuto sull’art. 28 del D.Lgs. n. 81/2015.

Passo, per ultimo, ad affrontare la questione degli accordi collettivi sulla stagionalità.

Durante l’anno seguente l’entrata in vigore del D.L. n. 87/2018 la contrattazione nazionale, territoriale ed aziendale ha cercato, definendo le attività stagionali, di limitare le criticità delle causali apponibili al “normale” contratto a tempo determinato.

Mi riferisco, ad esempio, all’accordo del settore aereo e dei servizi aeroportuali, agli accordi territoriali del settore commercio ex art. 66 – bis del CCNL (particolarmente significativi è quello del 2 settembre 2019 della provincia di Roma con un diritto di precedenza che può esplicare i propri effetti anche per un contratto a tempo indeterminato), a quello dei pubblici esercizi e della ristorazione collettiva dello scorso febbraio, nonché a quelli, numerosi, che, in assenza di pattuizioni nazionali o territoriali, hanno individuato, a livello aziendale, le attività stagionali, legate all’incremento di alcune attività in particolari periodi dell’anno.

La definizione di attività come “stagionali” è, come detto, rimessa alla contrattazione collettiva e, sotto questo aspetto, eventuali controlli degli organi di vigilanza non possono entrare nel merito di ciò che, liberamente, le parti sociali hanno definito: più problematica si presenta, invece, la questione nel caso di una vertenza di natura giudiziale: il magistrato può ben entrare nel merito sia per quel che riguarda il tipo delle attività che la durata delle stesse.

Un contratto che, definito stagionale, dovesse durare per un arco temporale di nove/dieci mesi rispetto all’anno avrebbe, a mio avviso, grosse difficoltà ad essere definito come tale, con tutte le conseguenze del caso.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/10/26/contratto-termine-attivita-stagionali-deroghe-disciplina-generale

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