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Costo del lavoro: gli impatti per le imprese tra cuneo fiscale e salario minimo

Nel disegno di legge di Bilancio 2020, attualmente in discussione, si è paventata l’ipotesi della riduzione del cuneo fiscale e l'introduzione del salario minimo garantito per legge. Vedremo cosa succederà alla fine del percorso parlamentare di approvazione della Manovra economica. Ma a prescindere, si tratta di due temi di stretta attualità politica e grande interesse per le imprese. Se si prevedesse contemporaneamente l'ingresso di un salario minimo, pari a 9 euro per tutti, ogni beneficio derivante dalla riduzione del cuneo sarebbe vanificato da un aumento dei costi per le aziende, forse non sostenibili, nell’ordine di 6,7 miliardi con un’incidenza soprattutto sulle PMI. Non sono, invece, da sottovalutare alcuni piccoli interventi che insieme possono assumere significato per la crescita dell'occupazione. Se ne parlerà nel corso del VII Forum TuttoLavoro, organizzato da Wolters Kluwer in collaborazione con Dottrinalavoro.it, RCS Academy e Corriere della Sera, in programma a Roma il 27 novembre 2019.

Dire che la riduzione del cuneo fiscale è cosa buona e giusta, soprattutto per i redditi più bassi, è troppo semplice. Da quando sono nel mondo del lavoro e mi occupo di lavoro, ci si lamenta del fatto che tra il costo di un'ora di lavoro ed il netto che il lavoratore percepisce c'è un gap troppo alto.

La riduzione del cuneo fiscale e la contestuale introduzione del salario minimo garantito per legge rischiano di configurare un ossimoro. Sacrosanto sarebbe l'abbattimento del cuneo fiscale, e si potrebbe fare abbattendo le aliquote IRPEF (per esempio accorpando gli scaglioni di reddito e le aliquote del 27% al 23%, ne beneficerebbero i meno abbienti ma sostanzialmente tutti essendo gli scaglioni progressivi), prevedendo nel contempo anche un’imposta "negativa" per gli incapienti.

Se però contemporaneamente la legge dovesse prevedere l'ingresso di un salario minimo secondo quanto trapela (9 euro a tutti) allora ogni beneficio derivante dalla riduzione del cuneo fiscale sarebbe vanificato da un aumento dei costi per le aziende non credo sostenibili (da qui l'ossimoro).

L'unico modo per introdurre correttamente tale istituto senza vanificare i benefici della riduzione del cuneo è il riconoscimento a tutti i lavoratori che ne sono privi dei contratti collettivi di lavoro sottoscritti dalle confederazioni sindacali maggiormente rappresentative (oggi esiste finalmente anche la convezione per la misurazione della rappresentatività). Già oggi tutti questi contratti garantiscono un minimo orario superiore ai 9 euro, comprendendo retribuzioni differite, TFR e welfare.

Tra le azioni più concrete di questi ultimi anni c’è il tema del welfare aziendale e della detassazione dei premi di produttività. Si tratta di strumenti che incidono sul potere d’acquisto dei dipendenti attraverso meccanismi, da un lato legati alle agevolazioni fiscali rispetto ai flexible benefits e al cosiddetto “salario in natura”, dall’altro si è incentivata la produttività del lavoro laddove, ovviamente, prodotta.

Il tema è molto complesso. Non vi è dubbio che il lavoratore ha necessità di un salario dignitoso e di una rete di servizi utile. Il salario dignitoso, in molti casi, sarebbe il lordo in busta paga, l'importo che normalmente si vede in alto sinistra del cedolino. Ma I contributi previdenziali verrebbero pagati quindi solo dal datore di lavoro, sarebbero inferiori e porterebbero ad una pensione inferiore.

Come sempre i pasti non sono gratis. Soprattutto in una situazione di poche risorse a livello paese. E le risorse si potrebbero trovare riducendo gli incentivi fiscali alle imprese non green ed energivore.

C’è comunque un tema centrale e tutt’altro che trascurabile di rapporto tra salario minimo definito per legge e impatto del costo del lavoro per le nostre aziende. L’ipotesi di portare il salario minimo a 9 euro lordi comporterebbe un costo per le imprese di 6,7 miliardi con un’incidenza soprattutto sulle PMI.

Una variabile tutt’altro che trascurabile con la quale fare i conti ma, a mio modesto avviso, occorre anche riflettere sul fatto che occorre avere un orizzonte più ampio. Dovendo affrontare questo tema, non si può non pensare che la disuguaglianza è presente e che ridurre il cuneo fiscale va a toccare solo una parte di quelli che ne hanno necessità. In Francia per i bassi salari, per compensare l'alto livello di salario minimo, sono stati abbassati i contributi sociali a carico dei datori di lavoro.

Ma nonostante questo nulla si può modificare e ancor di più migliorare se non abbiamo una ripresa dell'economia o, se pur con business e previsioni positive, le aziende non assumono. Ridurre i contributi, ha comunque un effetto positivo sull'occupazione e talvolta potrebbe significare aumentare la competitività.

E' anche intuibile come ridurre gli oneri fiscali soprattutto per i salari più bassi significa anche ridurre od annullare un eventuale impatto negativo dell'aumento del salario minimo. Non sottovalutando comunque il possibile rischio per le imprese di concentrarsi sull'erogazione di salari bassi rendendo meno facili gli aumenti.

Le aziende non assumono se non si sentono certe e non vedono leggi chiare. Il salario minimo preoccupa, ma in effetti è solo uno slogan se non ci sarà una nuova disciplina dei CCNL. I contratti di lavoro depositati al CNEL alla fine del 2018 sono 864 e tutti disciplinano il lavoro pur duplicandosi.

In uno scenario di economia positiva ed in cui le aziende hanno possibilità di crescita non sottovaluterei alcuni piccoli interventi che insieme possono assumere significato per la crescita dell'occupazione:

- aumento dell'importo dei buoni pasto con conseguente detassazione;

- assegnazione alle aziende dell'importo di Naspi risparmiato in caso di assunzione di un avente diritto;

- continuare la decontribuzione per altri tre anni al termine dell'apprendistato;

- incentivare la formazione, anche per la riqualificazione professionale per i lavoratori a rischio di espulsione dal mondo del lavoro, considerandola come un investimento in macchinari e tecnologie;

- far pagare aliquote e salari crescenti in occasioni di proroghe dei contratti a tempo determinati, togliendo l'alea delle causali.

- rendere più interessanti le alternanze scuola lavoro. Con attività più strutturate e più utili si potrebbero pagare contributi per un futuro pensionistico, anche se in misura ridotta.

Resta comunque non più derogabile, qualsiasi sia la forma, un aumento dei salari netti dei dipendenti che non comporti, tuttavia, un aumento del costo del lavoro per le imprese. Certo, è difficile: proprio per questo va deideologizzato il confronto e AIDP è da sempre pronta a fare la sua parte.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/11/11/costo-lavoro-impatti-imprese-cuneo-fiscale-salario-minimo

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