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Crisi d’impresa: i nuovi indici per prevenirla. Come utilizzarli?

Grazie agli indici di allerta per individuare eventuali segnali della crisi d’impresa, elaborati dall’Ordine Nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili, le aziende avranno uno strumento in più per prevenire e gestire le difficoltà di carattere economico e finanziario. La nuova normativa sulla crisi d’impresa ha introdotto, infatti, una procedura di allerta basata su un processo di valutazione continua della solidità delle aziende, delegando proprio al CNDCEC l’individuazione dei criteri più appropriati da utilizzare. Quali sono e come devono essere utilizzati?

La crisi d’impresa trova una nuova disciplina nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019) la cui applicazione sarà completa nel corso del 2020. Tuttavia, la necessità di monitorare costantemente la solvibilità delle aziende, nonché l’accrescimento del numero di imprese soggette alla revisione legale dei conti, impone assetti organizzativi adeguati alla produzione di informazioni coerenti a tali obblighi.

Consulta il Dossier Riforma della crisi d'impresa

In particolare, la crisi viene definita come lo stato di difficoltà economico finanziaria che rende probabile l’incapacità del debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (insolvenza); per le imprese tale stato si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici rispetto alle obbligazioni pianificate (art. 2, c. 1, punti a) e b), D.Lgs. n. 14/2019).

Il legislatore nel definire lo “stato di crisi” parla di “difficoltà economico finanziarie”, adottando l’impostazione economico aziendale italiana secondo la quale la dimensione economica e quella finanziaria delle imprese sono complementari ed interdipendenti; sinteticamente da un lato le aziende non possono produrre flussi di cassa congrui e continui nel tempo se non producono risultati economici positivi e, dall’altro, la redditività delle aziende dipende anche (ma si potrebbe dire “soprattutto” in determinati contesti ambientali) dalla produzione e/o disponibilità di flussi di cassa sufficienti per alimentare sia il circolante che gli investimenti (anche strategici) delle imprese.

Occorre, inoltre, aggiungere che nella valutazione della solvibilità delle aziende spesso il focus è sul breve periodo (tre – sei mesi) come peraltro prevede anche la suddetta normativa; questo tuttavia può far emergere risultati di analisi erronei ogniqualvolta gli squilibri di breve periodo siano il risultato di rilevanti impieghi di risorse per investimenti volti a stimolare la crescita della redditività futura, nonché la generazione di conseguenti e congrui flussi di cassa.

Parlare di “difficoltà economico finanziarie” o, in altre parole, della capacità delle imprese di perdurare nel tempo in modo autonomo, comporta peraltro la necessità di valutare costantemente la solvibilità nel breve periodo (equilibrio finanziario/monetario di breve periodo), la solidità nel medio e se possibile nel lungo periodo (equilibrio finanziario/patrimoniale) e la redditività nel medio e se possibile nel lungo periodo (produzione di un reddito congruo rispetto agli investimenti effettuati).

Il D.Lgs. n. 14/2019 introduce un percorso di ricomposizione della crisi che può essere suddiviso in più fasi con caratteristiche particolarmente differenti. Tali fasi, elencate nel prosieguo, sono successive e vengono attivate al verificarsi di determinate condizioni:

- fase 1: monitoraggio continuo. La normativa impone la verifica continua dell’equilibrio economico finanziario per tutti i soggetti interessati dal suddetto decreto. In questa fase, la normativa introduce l’obbligo di adottare un sistema informativo capace di produrre tempestivamente informazioni sullo stato di salute delle imprese che in termini operativi comporta necessariamente una maggiore tempestività nella rilevazione contabile e nell’archiviazione/elaborazione di ulteriori informazioni extra contabili necessarie per le suddette valutazioni;

- fase 2: attivata dall’emersione di fondati indizi sulla crisi. Si tratta dell’allerta manifestata alle imprese da parte degli organi di controllo societario, del revisore contabile (o della società di revisione), dell’Agenzia delle Entrate, dell’Istituto nazionale della previdenza sociale o dell’Agente della riscossione. Se l’assetto organizzato non è adeguato o si verificano condizioni di disequilibrio economico finanziario, tali soggetti hanno il dovere di “allertare” i debitori affinché entro un congruo termine intervengano per ripristinare le condizioni di equilibrio;

- fase 3: composizione assistita della crisi d’impresa, attivata dalla segnalazione all’OCRI (Organismo di Composizione della Crisi d’impresa) o all’OCC (Organismo di Composizione della Crisi da sovraindebitamento). Decorsi i termini di cui alla fase precedente senza che il debitore abbia provveduto a rimuovere le cause dello squilibrio economico finanziario, gli organi di controllo, l’Agenzia delle Entrate, l’INPS e/o l’Agente della riscossione devono senza indugio provvedere ad effettuare la segnalazione all’OCRI o all’OCC sancendo il passaggio a questa fase che si articola in due parti. Nella prima, l’OCRI assume tutte le informazioni necessarie, anche tramite l’audizione del debitore, per valutare l’effettivo stato di crisi e indagare gli eventuali rimedi proposti da debitore stesso. La seconda riguarda la procedura di composizione della crisi che si attiva tramite istanza del debitore;

- fase 4: procedura di regolazione della crisi e dell’insolvenza per intervento del tribunale. Qualora lo stato di crisi non venga rimosso dall’intervento del debitore o per effetto della composizione assistita della crisi, si apre questa fase che si svolge dinanzi il Tribunale. In tale ambito le opzioni attivabili sono diverse e dipendono dalle caratteristiche dello stato di crisi.

Uno degli obiettivi ricercati dal Legislatore con la suddetta riforma riguarda l’introduzione di strumenti capaci di creare una cultura preventiva della crisi. Nella norma, tale aspetto trova definizione nell’ambito degli strumenti di allerta volti a caratterizzare le prime due fasi sopra descritte. Nello specifico, costituiscono strumenti di allerta (art. 12, c. 1, D.Lgs. n. 14/2019):

- l’adeguata struttura organizzativa rispetto alle esigenze informative;

- il sistema di indicatori necessario per valutare lo stato di salute delle imprese;

- gli obblighi di segnalazione.

Costituiscono indicatori della crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività. Al fine di consentire l’individuazione di indici capaci di cogliere compiutamente i suddetti squilibri, il Legislatore ha delegato il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili (CNDCEC) per elaborarli con cadenza almeno triennale.

Il meccanismo di indagine messo a punto nel documento in bozza pubblicato a fine ottobre dal CNDCEC si basa su una sequenza gerarchica di sette parametri. Nel documento viene proposto un percorso di valutazione che consente di approfondire anche la gravità dello stato di crisi.

Il focus iniziale viene posto sul segno del patrimonio netto; qualora emerga infatti un segno negativo a causa di perdite di valore superiore alle altre poste di patrimonio netto, la crisi risulterebbe inevitabile in quanto pregiudicata la continuità aziendale. Il superamento di tale situazione richiede la ricapitalizzazione dell’impresa per un importo sufficiente a ricostituire almeno il minimo legale del capitale sociale.

In presenza di un patrimonio netto positivo, il secondo indice da considerare è il Debt Service Coverage Ratio (DSCR) a 6 mesi, che viene calcolato come il rapporto tra i flussi di cassa liberi previsti nei 6 mesi successivi e l’ammontare dei debiti attesi da rimborsare nel medesimo periodo di tempo. Un valore inferiore ad 1 è indicativo di uno stato di squilibrio; tanto più infatti tale indice assume un valore minore all’unità tanto più l’impresa avrà difficoltà a rimborsare i debiti a brevissimo termine. Valori superiori invece manifestano un equilibrio finanziario ed uno stato di solvibilità dell’azienda.

Le difficoltà nel calcolo del DSCR e/o la sua inadeguatezza nel fornire l’informazione sullo stato di salute delle imprese, impone al valutatore di proseguire l’indagine applicando i seguenti cinque indici proposti dal CNDCEC:

- rapporto tra oneri finanziari e fatturato è una misura della sostenibilità degli oneri finanziari. Tanto maggiore è il denominatore tanto minore risulta il peso della componente finanziaria sul conto economico. Indici complementari che integrano tale indagine sono il rapporto tra gli oneri finanziari e il risultato operativo ed il rapporto tra il cash flow e gli oneri finanziari da pagare entro i successivi sei mesi. Il primo misura quanta parte del risultato generato dalla gestione caratteristica è assorbito dalla gestione finanziaria, mentre il secondo misura la capacità del flusso di cassa generato dall’impresa di supportare il pagamento degli oneri finanziari a breve termine. Quest’ultimo indicatore è un “di cui” del DSCR;

- rapporto tra il patrimonio netto e l’ammontare complessivo dei debiti esprime il rapporto di indebitamento, misurando l’adeguatezza patrimoniale dell’impresa. Tanto minore risulta il valore che emerge dal rapporto tanto più l’impresa risulta sottocapitalizzata ed indebitata;

- rapporto tra il cash flow e il totale attivo misura la cassa generata da ogni euro investito. Questo indice esprime una misura finanziaria del ROI – Return On Investment se si utilizza il cash flow generato dalla gestione caratteristica. I due indici andrebbero analizzati in modo complementare anche attraverso una disamina temporale con un ricalcolo periodico su orizzonti temporali definiti, come ad esempio su base trimestrale, semestrale o annuale. Il ROI misura la capacità dell’impresa di generare reddito, mentre il secondo misura quanta parte di tale reddito viene tramutata in cassa;

- rapporto tra attivo e passivo a breve termine è una prima misura della condizione di liquidità dell’impresa. La logica alla base di tale indice è la contrapposizione tra gli asset che si trasformeranno in cassa entro i futuri dodici mesi e le passività da estinguere nel medesimo orizzonte temporale. Tuttavia, la dottrina economico aziendale ha da tempo evidenziato come tale indice possa essere forviante, soprattutto se assume valori prossimi all’unità, questo poiché al numeratore viene ricompreso anche il valore del magazzino la cui trasformazione in cassa nel breve termine è tutt’altro che certa. Per ovviare a tale limite, la dottrina propone ulteriori due indici, che potrebbero essere utilizzati anche in questa sede per rendere la valutazione più robusta. Il primo rapporta le attività a breve, tra cui non viene ricompreso il magazzino, e le passività a breve. Il secondo, invece, rapporta le attività liquide o liquidabili entro tre mesi con le passività a breve termine. Valori superiori all’unità del primo e soprattutto del secondo manifestano l’equilibrio finanziario nei dodici mesi;

- rapporto tra la somma dei debiti tributari e quelli previdenziali e il totale attivo misura il livello di indebitamento verso l’Agenzia delle Entrate e l’INPS. Tale rapporto assume rilievo soprattutto per effetto della previsione normativa circa la segnalazione di crisi che può essere effettuata dall’Agenzia delle entrate, dall’INPS e dall’Agente della riscossione.

La necessità di determinare periodicamente gli indici illustrati in precedenza impone alle imprese di adeguare il proprio sistema informativo al fine di raccogliere tempestivamente i dati necessari.

L’aggiornamento della contabilità ordinaria rappresenta l’aspetto centrale dell’adeguato assetto organizzativo ma non l’unico. La gestione dello scadenziario può, infatti, supportare in modo essenziale la definizione dei debiti da pagare, dei crediti da incassare e la loro classificazione in funzione delle scadenze. Tale informazione supporta la valutazione dell’equilibrio finanziario prospettico di breve periodo.

La normativa sulla crisi d’impresa mira a creare un comportamento preventivo virtuoso delle imprese per evitare segnalazioni di crisi. Tuttavia, l’impostazione tecnica che tale normativa introduce avrà necessariamente anche un ulteriore effetto positivo, ossia lo stimolare una visione più ampia circa l’utilità delle informazioni economico finanziarie.

In particolare, si ritiene che da un lato si accorceranno i tempi di aggiornamento nella tenuta della contabilità e, dall’altro, si struttureranno i dati affinché sia possibile estrapolare informazioni sui flussi di cassa in modo più agevole e soprattutto veloce.

Ad oggi, parlare ed analizzare il cash flow nelle PMI e, in certi casi, anche nelle imprese di più grandi dimensioni risulta complicato poiché i dati contabili vengono rilevati per finalità differenti (prevalentemente fiscali). Con la normativa sulla crisi d’impresa, invece, si pone l’accento sul concetto di cash flow (a consuntivo e soprattutto prospettico) poiché rappresenta uno dei valori su cui basare la valutazione dello stato di salute delle imprese.

Questo aspetto influenzerà, pertanto, l’impostazione degli operatori economici nella raccolta delle informazioni economico finanziarie che, inevitabilmente, dovranno consentire la determinazione dei flussi di cassa in modo agevole.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/impresa/fallimento-e-procedure-concorsuali/quotidiano/2019/11/16/crisi-impresa-indici-prevenirla-utilizzarli

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