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Nuovi modelli di rappresentatività: a che punto siamo?

Misura della rappresentatività, contratti leader e agevolazioni per le imprese, contratti pirata e attività di vigilanza dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Sono numerosi i temi che hanno coinvolto la contrattazione collettiva nel 2019 e che saranno oggetto di sviluppo nel 2020, anche alla luce dei disegni di legge oggi in Parlamento. Il progetto per una visione unitaria dei vari argomenti sembra ancora condizionato da troppe variabili e, come accade in questi casi, la fine lavori ancora non si intravede. Con le conseguenti incertezze per aziende ed operatori del settore. Se ne parlerà nel corso del VII Forum TuttoLavoro, organizzato da Wolters Kluwer in collaborazione con Dottrinalavoro.it, RCS Academy e Corriere della Sera, in programma a Roma il 27 novembre 2019.

Il 2019 ha registrato un rinnovato interesse sul tema della contrattazione collettiva con la sperimentazione di spunti innovativi rispetto al passato.

Come è noto il mancato recepimento delle disposizioni dell’art. 39 Cost. hanno lasciato il nostro sistema sguarnito di strumenti efficaci avanti alle mutazioni del mercato del lavoro ed a fenomeni come la fine dell’unità sindacale e la proliferazione di organizzazioni dei lavoratori cresciute in autonomia rispetto al modello confederale.

Senza voler ripercorrere la storia dei rapporti sindacali dal grande accordo interconfederale del giugno 2011 ci limiteremo a fotografare quanto è avvenuto nell’anno che volge al termine e registrare i fermenti che apriranno il 2020.

Il primo sasso nello stagno è stato lanciato dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) a maggio con circolare 7/2019. Nel documento l’agenzia ispettiva nata dal Jobs Act, sconfessava quando aveva evidenziato solo pochi mesi prima nel proprio sito web.

Nel giungo del 2018 così una nota dell’INL ammoniva “…. L'azione si concentra nei confronti delle imprese che non applicano i contratti «leader» sottoscritti da CGIL, CISL e UIL ma i contratti stipulati da OO.SS. che, nel settore, risultano comparativamente meno rappresentative (CISAL, CONFSAL e altre sigle minoritarie). Fermo restando il principio di libertà sindacale, infatti, la fruizione di benefici, così come il ricorso a forme contrattuali flessibili, è ammesso a condizione che si applichino i contratti "leader" del settore, contratti che vanno comunque sempre utilizzati per l'individuazione degli imponibili contributivi. Le imprese che non applicano tali CCNL potranno pertanto rispondere di sanzioni amministrative, omissioni contributive e trasformazione a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro flessibili”.

Il comunicato, che tanto scalpore aveva destato tra gli operatori rimase on-line circa una settimana e poi fu rimosso.

La posizione assunta con circolare n. 7 fu decisamente diversa. Facendo riferimento alle disposizioni dell’art. 1, comma 1175, l. n. 296/2006 l’Ispettorato si è soffermato sulla valutazione della locuzione “rispetto della contrattazione collettiva” quale condizione per la fruizione dei benefici normativi e contributivi.

In particolare, rivolgendosi ai propri uomini addetti alla vigilanza, così l’INL si pronunciò “….A tale riguardo e al fine di verificare se il datore di lavoro possa o meno fruire dei benefici, il personale ispettivo dovrà svolgere un accertamento sul merito del trattamento economico/normativo effettivamente garantito ai lavoratori e non un accertamento legato ad una formale applicazione del contratto sottoscritto dalle “organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In altri termini, atteso che la disposizione in parola chiede il “rispetto” degli “accordi e contratti collettivi stipulati da organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”, si ritiene che anche il datore di lavoro che si obblighi a corrispondere ai lavoratori dei trattamenti economici e normativi equivalenti o superiori a quelli previsti da tali contratti, possa legittimamente fruire dei benefici normativi e contributivi indicati dall’art. 1, comma 1175, della L. n. 296/2006”.

Come immaginabile queste parole ebbero una grande ripercussioni tra le forze sociali e tra gli operatori della materia. Per la prima volta in modo chiaro si fece una distinzione tra i concetti di “applicazione” e “rispetto”. Ecco dunque farsi strada anche in sede amministrativa una nuova “pesatura” dei contratti collettivi, non più e non solo riferita ai contraenti ma quanto alla qualità dei suoi contenuti.

La nota dell’Ispettorato non si proponeva di “sdoganarecontratti pirata, che devono rimanere tali e mai potranno aprire la strada ad agevolazioni economiche, ma evidenziava il paradosso circa una selezione contrattuale unicamente basata sui firmatari dei contratti e non sulle clausole ivi contenute.

In altri termini la Finanziaria 2007 collegando le agevolazioni contributive al rispetto dei CCNL voleva garantire che vantaggi economici andassero ad aziende socialmente responsabili che retribuissero in modo corretto i propri dipendenti. Tale concetto nel tempo si è contorto focalizzandosi non già sulle effettive erogazioni salariali di taluni datori di lavoro bensì sulla formale condivisione di contrattazione maggiormente rappresentativa che, in assenza di chiari indici, veniva ricondotta a quella confederale.

Pochi mesi dopo però lo stesso INL precisò la portata della propria posizione. La circolare n. 9 del 10 settembre 2019 evidenziava come i ragionamenti della circolare n. 7 fossero riferibili unicamente alle condizioni richieste per le agevolazioni contributive e non per la funzione sussidiaria prevista dal Legislatore nei confronti della contrattazione collettiva post Jobs Act.

In pratica l’agenzia ispettiva ricordava la portata dell’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015 che affida la possibilità di gestire le flessibilità contrattuali unicamente alla contrattazione posta in essere da organizzazioni maggiormente rappresentative.

In estrema sintesi per le agevolazioni contributive è necessario il rispetto dei livelli economici e normativi della contrattazione definita da organizzazioni comparativamente più rappresentative mentre per le flessibilità è necessaria l’adesione alla stessa.

“Tale interpretazione riguarda esclusivamente l’art. 1, comma 1175, della l. n. 296/2006 e non si presta ad una applicazione estensiva che porti a riconoscere anche ai contratti sottoscritti da OO.SS. prive del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi le prerogative che il Legislatore ha inteso riservare esclusivamente ad una platea circoscritta di contratti e che, se esercitate da soggetti cui non spettano, risultano evidentemente inefficaci sul piano giuridico “ (circolare n. 9/2019 INL).

Anche a le parti sociali hanno scaldato i motori sul tema. In particolare, va ricordata la convenzione (l’ennesima! n.d.r.) del 19 settembre 2019 sottoscritta da INL, INPS, Confindustria Cgil, Cisl e Uil. Detta convenzione prevede, ai fini della misurazione della rappresentatività, la valutazione di 2 parametri:

- il dato associativo (numero di deleghe sottoscritte dai lavoratori relative ai contributi sindacali) per il quale si affida all’Inps il servizio di raccolta, elaborazione e comunicazione;

- il dato elettorale (voti espressi in occasione delle elezioni delle Rsu) per il quale viene affidata all’Inps e all’INL l’attività di raccolta.

Sarà il solo INPS a procedere alla ponderazione del dato elettorale con il dato associativo.

La risposta del sindacalismo autonomo è arrivata con l’accordo interconfederale sottoscritto il 28 ottobre 2019 da CIFA e CONFSAL per la promozione di un nuovo modello di relazioni industriali, il contrasto al dumping contrattuale e salariale e la definizione di un nuovo modello di rappresentatività sindacale. L’accordo, ravvisando nel parametro della presenza sindacale del 5% di categoria il minimo per abilitare alla contrattazione, apre le porte ai “contratti di qualità” ossia contratti che recepiscano le nuove esigenze dei lavoratori e del mercato del lavoro.

Esigenze che vanno dalla formazione al welfare aziendale, dalla contrattazione decentrata alla flessibilità ed alla bilateralità. Nel modello viene affidata al CNEL la funzione di comparare in termini qualitativi i vari contratti.

Da ultimo aleggia “lo spettro” del salario minimo legale. I disegni di legge oggi in Parlamento prevedono due impostazioni diverse, se dovesse procedere la proposta del Movimento 5 Stelle, primo firmatario l’attuale ministro del lavoro Nunzia Catalfo, le ripercussioni sull’attuale organizzazione contrattuale, in particolar modo rispetto al primo livello di contrattazione, subirebbe certamente notevoli ripercussioni.

Il cantiere è aperto …. il progetto però sembra ancora condizionato da troppe variabili e, come accade in questi casi, la fine lavori ancora non si intravede. Con le conseguenti incertezze per aziende ed operatori del settore.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/11/19/modelli-rappresentativita-punto-siamo

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