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Lavoro intermittente: il contratto collettivo non può porre veti

L’utilizzo dei lavoratori intermittenti non può essere precluso dalla contrattazione collettiva. E’ quanto si legge in una recente sentenza della Corte di cassazione che confuta l’orientamento del Ministero del Lavoro, affermando che il veto eventualmente posto dalla contrattazione collettiva in merito all’utilizzabilità del lavoro intermittente non trova conferma nel dato testuale e sistematico della disciplina di riferimento. Gli ermellini, infatti, affermano che “le parti sociali non hanno alcun potere di interdizione in ordine alla possibilità di utilizzo di questa tipologia contrattuale”. Qual è il campo di applicazione del lavoro intermittente?

La contrattazione collettiva non può precludere l’utilizzo dei lavoratori intermittenti. E’ quanto prevede la Corte di Cassazione che, con la recente sentenza n. 29423 del 13 novembre 2019, di fatto sconfessa un opposto parere del Ministero del lavoro, affermando che è legittimo il lavoro intermittente, anche senza limiti di età, a condizione che la casistica sia comunque prevista dal R.D. n. 2657/1923.

Il lavoro intermittente è il contratto, anche a tempo determinato, col quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente.

L’obiettivo principale perseguito dal Legislatore con l’introduzione di questa disciplina è stato quello di dare una veste giuridica, ed una fondamentale copertura previdenziale ed assicurativa, ad una serie di prestazioni in tutto o in parte sommerse o che, nella migliore delle ipotesi, sono artatamente “fatturate” secondo le regole tipiche del lavoro autonomo, pur essendo sostanzialmente presenti tutte le caratteristiche del lavoro subordinato.

L’utilizzo di queste prestazioni di lavoro è generalmente possibile, salvo che nei casi seguenti per i quali risulta espressamente vietato:

- rapporti di lavoro alle dipendenze della P.A.

- sostituzione di lavoratori in sciopero;

- presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, nei 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi (che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni), salvo che il contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti ovvero per assumere lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, o abbia una durata iniziale non superiore a 3 mesi;

- presso unità produttive nelle quali è operante una sospensione dei rapporti o riduzione dell’orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni;

- da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell’art. 28 e ss., del D.Lgs. n. 81/2008.

I datori di lavoro possono fare ricorso al job on call in presenza dei seguenti requisiti alternativi:

- per le prestazioni rese da soggetti con meno di 24 anni di età (prestazione svolta comunque entro il 25° anno di età) ovvero con più di 55 anni di età;

- per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente ovvero per periodi predeterminati (settimana/mese/anno) secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi (anche di secondo livello) stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale;

- in mancanza di disciplina collettiva, per le prestazioni previste da apposito decreto del Ministero del lavoro (attualmente D.M. 24/10/2004 che richiama le attività previste dal Regio decreto n. 2657/1923 ormai abrogato!).

Proprio con riferimento al possesso dei requisiti oggettivi, il Ministero del lavoro, per mezzo della nota n. 18194/2016, affermava che il contratto collettivo ha il potere di inibire l’utilizzo del lavoro intermittente.

Secondo questa interpretazione restava, comunque, sempre legittimo il ricorso alla tipologia contrattuale di che trattasi in presenza dei requisiti soggettivi (età dei lavoratori). L’effetto che scaturiva da tale scelta è che la violazione delle clausole contrattuali preclusive inevitabilmente determinava, in mancanza degli alternativi requisiti soggettivi, la nullità del contratto speciale stipulato “contra legem” con la conseguente conversione, anche per mano del personale ispettivo incaricato delle verifiche, in rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato (forma comune prevista nel nostro ordinamento dall’art. 1, del D.Lgs. n. 81/2015).

Per mezzo della sentenza n. 29423 del 13/11/2019 la Suprema Corte confuta il parere ministeriale affermando, invece, che il veto eventualmente posto dalla contrattazione collettiva in merito all’utilizzabilità del lavoro intermittente, non trova conferma nel dato testuale e sistematico della disciplina di riferimento.

Gli ermellini, difatti, affermano che:

- le parti sociali non hanno alcun potere di interdizione in ordine alla possibilità di utilizzo di questa tipologia contrattuale;

- le norme prevedono un potere di intervento sostitutivo da parte del Ministero del lavoro da adottarsi con apposito decreto, circostanza questa che dimostra inequivocabilmente la volontà del Legislatore di garantire l’operatività dell’istituto, a prescindere dal comportamento inerte o contrario delle parti sociali;

- l’art. 34 del previgente D.Lgs. n. 276/03 (oggi art. 13, D.Lgs. n. 81/2015), tra le ipotesi di divieto del ricorso al lavoro intermittente, non contempla anche quella di inerzia o veto delle parti sociali.

Ferme restando le indicazioni operative che saranno definite dal competente Ispettorato Nazionale del Lavoro, la decisione della Corte comporta che la violazione del divieto di utilizzo di lavoratori intermittenti, eventualmente previsto dalla contrattazione collettiva, non potrà più condurre all’automatica trasformazione del contratto di lavoro.

Il contratto intermittente può esser stipulato sia a tempo indeterminato che a termine. In quest’ultimo caso non trovano applicazione, tuttavia, le seguenti limitazioni: obbligo della causale, contigentamento numerico, “Stop & Go”, durata massima e limite delle proroghe.

Il lavoro a chiamata è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore alle 400 giornate (a prescindere dalla durata effettiva della prestazione giornaliera) di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari. Da questa limitazione restano tuttavia esclusi i settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo.

Per quanto concerne l’orario di lavoro - in considerazione del fatto che la disciplina non prevede alcun obbligo in merito sia alla durata della prestazione, sia alla collocazione temporale della prestazione lavorativa, sia all’alternanza tra periodi lavorativi e periodi di inattività – l’articolazione è rimessa all’autonomia contrattuale delle parti.

Tale libertà non può comunque eccedere le limitazioni di carattere generale (previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva) poste a difesa dell’integrità psico-fisica dei lavoratori. E’ per tale ragione che si ritengono pienamente applicabili, anche a questa particolare tipologia contrattuale, le limitazioni all’uopo previste, fra l’altro, dal D.Lgs. n. 66/2003 in tema di durata massima dell’orario di lavoro, riposo giornaliero, pausa, riposi settimanali, ferie annuali e lavoro notturno.

Inoltre, l’art. 17 del D.Lgs. n. 81/2015 stabilisce che:

- il lavoratore intermittente non può ricevere, per i periodi lavorati, un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello;

- che nei suoi confronti trovano applicazione in misura “proporzionale” gli istituti normativi tipici del rapporto di lavoro subordinato;

La facoltà, quindi, concessa dalla legge al datore di lavoro di attivare il contratto di lavoro intermittente rispetto ad esigenze e tempi non predeterminabili, non consente di escludere l’applicazione delle disposizioni in materia di lavoro straordinario e delle relative maggiorazioni retributive, nel rispetto delle disposizioni del D.Lgs. n. 66/2003 e di quanto eventualmente previsto dal contratto collettivo applicato (MPLS, Interp. n. 6/2018).

Gli adempimenti di carattere amministrativo susseguenti alla stipula di un contratto intermittente non sono molto differenti da quelli riguardanti l’assunzione di un qualunque lavoratore subordinato. Le uniche particolarità risiedono nel fatto che:

- a comunicazione telematica preventiva di assunzione, trattandosi di un rapporto di lavoro unitario, andrà obbligatoriamente trasmessa soltanto una volta all’inizio del contratto di lavoro;

- la comunicazione preventiva di assunzione dovrà specificare, fra l’altro, l’obbligatorietà o meno della chiamata e le modalità dell’eventuale disponibilità concordata;

- prima dell’inizio di ciascuna prestazione lavorativa a chiamata (o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni) il datore di lavoro ha l’obbligo di effettuare una specifica comunicazione indicandone la durata della prestazione. Questa comunicazione va effettuata con sms, email (o Pec), web/online o tramite l’App «Lavoro intermittente» (cfr. D.Intermin. 27 marzo 2013 e MLPS Circ. n. 27/2013).

In caso di inadempimento all’obbligo della comunicazione preventiva della prestazione lavorativa, è prevista una sanzione amministrativa da 400 a 2.400 euro in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione (violazione non diffidabile ex art. 13, del D.Lgs. n. 124/2004).

Con riguardo alle modalità di computo, il Ministero del lavoro ha chiarito che questa sanzione trova applicazione con riferimento ad ogni lavoratore e non invece per ciascuna giornata di lavoro per la quale risulti non rispettato l’obbligo comunicativo. In pratica per ogni ciclo di 30 giornate che individuano la condotta del trasgressore, trova applicazione una sola sanzione per ciascun lavoratore (circ. n. 27/2013).

Lavoro intermittente tabella di sintesi
DestinatariPer le prestazioni rese da soggetti con meno di 24 anni di età (prestazione svolta comunque entro il 25° anno di età) ovvero con più di 55 anni di età; Per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente ovvero per periodi predeterminati (settimana/mese/anno) secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi (anche di secondo livello) stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale; In mancanza di disciplina collettiva, per le prestazioni previste da apposito decreto del Ministero del lavoro (attualmente D.M. 24/10/2004 che richiama le attività di cui al R.D. n. 2657/1923).
Il contratto va stipulato in forma scritta ai fini della prova e deve contenere specifici elementi- Indicazione della durata e delle ipotesi, oggettive e soggettive, che consentono la stipulazione del contratto;- Luogo e modalità della disponibilità, eventualmente garantita dal lavoratore;- Trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per la prestazione eseguita e la relativa indennità di disponibilità, ove prevista; - Indicazione delle forme e modalità con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l’esecuzione della prestazione di lavoro; - Tempi e modalità di pagamento della retribuzione e dell’indennità di disponibilità; - Eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al tipo di attività dedotta in contratto.
Tipologie di contratto(in relazione alla durata prevista)- A tempo indeterminato; - A tempo determinato;
Tipologie di contratto(in relazione all’erogazione dell’indennità)- Con pagamento a favore del lavoratore di un’indennità di disponibilità: il lavoratore è obbligato a rispondere alla chiamata del datore; - Senza il pagamento di alcuna indennità di disponibilità: il lavoratore può anche non rispondere alla chiamata del datore.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/11/27/lavoro-intermittente-contratto-collettivo-non-porre-veti

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