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Reddito di cittadinanza. Sostegno all'inserimento al lavoro: molto rumore per nulla

Ad un anno dalla sua approvazione, il reddito di cittadinanza continua ad essere al centro del dibattito politico e delle riflessioni degli studiosi. Una misura con due anime: quella volta al contrasto della povertà e quella di sostegno all’inserimento al lavoro, che non sembra abbia dato tutti gli effetti sperati. L’insieme dei dati dell’ANPAL e dell’INPS (vedremo prossimamente cosa ci diranno anche le indagini ISTAT) dimostrano che, pur non avendo certamente “abolito la povertà”, il reddito di cittadinanza ha inciso positivamente sulle condizioni di quella parte della popolazione maggiormente afflitta da difficoltà economiche. E’ sul fronte dell’occupazione che la misura si è rivelata inefficace a causa di molteplici elementi di debolezza del sistema: avremmo potuto attenderci risultati diversi?

Il reddito di cittadinanza, a circa un anno di distanza dalla sua approvazione, continua ad essere al centro del dibattito politico e delle riflessioni degli studiosi. Sul primo versante possiamo ricordare le proposte di revisione avanzate da più parti nel corso della discussione sulla legge di Bilancio per il 2020 (principalmente nel tentativo di spostare una parte delle risorse destinate al reddito di cittadinanza ad altri obiettivi ed in particolare alla riduzione del cuneo fiscale); sull’altro versante si susseguono le pubblicazioni di studi che, guardando all’istituto con visioni meno contingenti, mettono in luce risultati raggiunti e criticità riscontrate nell’attuazione del provvedimento.

E’ dunque giunto il momento per verificare se ed in che misura le due anime del reddito di cittadinanza, quella volta al contrasto della povertà e quella di sostegno all’inserimento al lavoro, hanno dato gli effetti sperati.

Le affermazioni di Parisi, Presidente dell’ANPAL, secondo cui “il reddito di cittadinanza sta funzionando su tutto il territorio, compreso il Mezzogiorno, dimostrandosi uno strumento non solo finalizzato a ridurre la povertà ma anche favorire l’occupazione, per persone particolarmente in difficoltà”, sembrano frutto di ottimismo per dovere d’ufficio. I dati a disposizione inducono, invece, a maggiore prudenza e, soprattutto, a separare il giudizio rispetto all’efficacia della legge in esame nel perseguire i due obiettivi dichiarati (contrastare la povertà e sostenere l’inserimento al lavoro).

I periodici monitoraggi dell’INPS, molto particolareggiati per quanto riguarda le i nuclei familiari coinvolti, le caratteristiche dei beneficiari del sostegno al reddito e gli importi ad essi erogati, consentono di valutare l’impatto del provvedimento sulla povertà; essi offrono dati eloquenti: oltre un milione di famiglie e circa 2,5 milioni di soggetti hanno beneficiato del sostegno (RDC più PDC). Il Presidente dell’INPS Tridico, passando a valutazioni più sofisticate, si è soffermato su due punti per affermare che il reddito di cittadinanza ha funzionato su questo fronte: ha posto l’accento sul fatto che il parametro con cui si valuta il livello di disuguaglianza (coefficiente di Gini) è sceso di 1,2 punti e che il tasso di povertà è sceso dal 38% al 30%, concludendo con l’affermazione che vi è stato un trasferimento netto di risorse verso gli strati di popolazione più poveri.

Vedremo prossimamente cosa ci diranno le indagini ISTAT, ma l’insieme dei dati sopra illustrati porta a dire che, pur non avendo certamente “abolito la povertà”, il RDC ha inciso positivamente sulle condizioni di quella parte della popolazione maggiormente afflitta da difficoltà economiche.

Fa piacere constatare, inoltre, che comincia ad esservi consapevolezza di alcuni limiti del provvedimento, limiti immediatamente segnalati dalla dottrina ed ignorati dalla maggioranza nel corso del dibattito parlamentare. In particolare, ci si sta rendendo conto di quanto sia punitivo nei confronti dei nuclei familiari più numerosi il meccanismo di calcolo dell’importo del RDC.

Sul secondo versante della legge, quello che riguarda le politiche attive del lavoro e l’occupazione dei beneficiari del RDC, purtroppo dobbiamo constatare, invece, che l’attuazione della legge è ancora in grave stato di arretratezza e che i risultati appaiono inconsistenti. I (pochi) dati disponibili confermano la sostanziale ineffettività della legge nella promozione al lavoro.

L’ANPAL calcola in 730 mila i percettori attivabili ai fini dell’inserimento al lavoro. Di questi, in base a dati del Coordinamento delle Regioni, a novembre 2019 poco più di 200.000 persone erano state convocate dai Centri per l’impiego (per l’esattezza 205.820) cioè circa il 28% dei soggetti potenzialmente coinvolgibili; 69. 234 lavoratori avevano svolto il colloquio previsto (cioè il 37% dei convocati) e 50.280 avevano sottoscritto il “Patto per il lavoro” (pari al 73% di coloro che avevano svolto il colloquio).

Quanto ai dati sugli occupati, possiamo affidarci, innanzi tutto, ad informazioni del novembre scorso di ANPAL servizi secondo cui, a quella data, erano 17.637 i beneficiari del RDC che avevano trovato occupazione; dalla stessa fonte si ricava la prevalenza nell’occupazione dei maschi (circa il 60%) e la prevalenza di assunzioni mediante contratto di lavoro a tempo determinato (il 69%).

Vi sono poi da considerare le recentissime dichiarazioni del Presidente dell’INPS Tridico in base alle quali sarebbero circa 29 mila coloro che hanno trovato occupazione, cioè il 3,97% dei beneficiari del RDC considerati occupabili. Non solo. Non è chiaro se questi dati si riferiscano esclusivamente agli occupati a seguito delle politiche attive poste in essere in attuazione della legge o prendano in considerazione tutti coloro che si sono ricollocati a seguito dell’incontro spontaneo tra domanda ed offerta nel mercato del lavoro. Comunque sia, verrebbe da dire “molto rumore per nulla”.

Ma avremmo potuto attenderci risultati diversi? In proposito possono essere segnalati i principali elementi di debolezza del sistema (cioè della legge e delle scelte delle amministrazioni preposte):

- la piattaforma informatica su cui dovevano basarsi sia la gestione dell’attività dei Centri per l’impiego che quella dei Servizi sociali non è ancora attiva;

- i nuovi operatori collocati presso i Centri per l’impiego (c.d. Navigators) con la finalità di coadiuvare l’espletamento delle procedure del RDC e di agevolare il matching necessitano spesso non solo della ‘normale’ socializzazione allo specifico contesto organizzativo (informazione, relazioni, etc.), ma anche una consistente formazione ex-novo, in quanto chiamati a svolgere mansioni del tutto estranee alla loro precedente esperienza di lavoro (quando presente) e a volte distanti anche dai contenuti effettivi dei corsi di studi frequentati;

- sono da segnalare anche i ritardi nella predisposizione delle decisioni in merito alle “Modalità operative ed ammontare dell’assegno di ricollocazione nell’ambito del reddito di cittadinanza” (v. Delibera ANPAL 13 dicembre 2019, n. 29) e della disciplina dell’impiego dei beneficiari del RDC in progetti per attività utili alla collettività promossi dai Comuni (v. il D.M. 22 ottobre 2019 – Definizione, forme, caratteristiche e modalità di attuazione dei Progetti utili alla collettività - PUC).

Soprattutto va posto in evidenza che le misure di sostegno all’inserimento al lavoro previste risultano inadeguate rispetto all’obiettivo perseguito. La concessione di consistenti incentivi economici solo a fronte di assunzioni a tempo pieno ed a tempo indeterminato appare incongruente rispetto ad un mercato del lavoro in cui anche molti tra i soggetti più “forti” vengono assunti, almeno inizialmente, con contratti di lavoro a termine.

Inoltre, l’aver limitato “l’Assegno di ricollocazione” a strumento di aiuto destinato soltanto a coloro che non abbisognano di formazione, ha trasformato questo promettente istituto, ridimensionandone l’impatto potenziale: destinato in origine a sostenere i soggetti con maggiori difficoltà di inserimento, esso si offre ora come uno strumento che offre servizi intensivi ai lavoratori che non hanno particolare bisogno di servizi (cioè a quei lavoratori che già hanno le caratteristiche professionali richieste dal mercato e che sono facilmente ricollocabili o, addirittura, che si ricollocano da soli). Ma, sia i dati delle ricerche che l’esperienza sul campo dimostrano che purtroppo molti tra i beneficiari del reddito di cittadinanza avrebbero esigenza di servizi intensivi; tra questi in particolare vanno segnalate proprio le attività di formazione, per superare il divario che li separa dalle competenze richieste dalla domanda di lavoro, e quelle di accompagnamento intensivo, per aiutarli a destreggiarsi in un mercato del lavoro sempre più complesso.

Le considerazioni svolte inducono ad una valutazione critica in relazione alla effettiva coerenza tra le scelte di policy (indirizzate alla parte più debole della popolazione oggetto dell’intervento) e le decisioni assunte per la loro effettiva implementazione; nel caso delle politiche attive del lavoro, queste ultime sono state affidate a strumenti e regole forgiati per altri tipi di target e, dunque, in quanto tali, inevitabilmente inadatte al raggiungimento del risultato perseguito (l’inserimento al lavoro).

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/01/25/reddito-cittadinanza-sostegno-inserimento-lavoro-rumore

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