• Home
  • News
  • Jobs Act autonomi. Deleghe scadute. Da dove ricominciare?

Jobs Act autonomi. Deleghe scadute. Da dove ricominciare?

Un vero e proprio esercito di consulenti, liberi professionisti, piccoli artigiani, prestatori di servizi, free-lancers e operatori del terziario. Sono gli autonomi, una categoria che raccoglie poco più di 4 milioni e mezzo di lavoratori e che rappresenta circa un quarto della forza lavoro complessiva. Per anni senza tutele, con il Jobs Act autonomi sembravano vedere realizzate le attese maturate da anni: un rafforzamento delle garanzie (anche) previdenziali e il profilarsi di un nuovo ruolo certificatorio verso la Pubblica amministrazione per i liberi professionisti. A distanza di qualche anno, nulla di tutto questo si è realizzato. E le deleghe conferite al Governo per completare la disciplina sono oramai scadute. Cosa non ha funzionato?

Il lavoro autonomo rimane una caratteristica essenziale del sistema produttivo nazionale, facendo registrare una presenza assai più numerosa, rispetto alla gran parte degli altri Paesi europei.

Secondo le stime dell’ISTAT, infatti, i lavoratori autonomi sono poco più di 4 milioni e mezzo, venendo a rappresentare circa un quarto di tutta la forza lavoro complessiva (i dipendenti hanno da poco raggiunto la soglia dei 18 milioni, dopo aver oscillato intorno alla soglia dei 17 milioni per vari anni).

Una buona parte dei lavoratori autonomi, peraltro, opera per così dire “in solitaria”, non avendo alle proprie dipendenze alcun collaboratore (secondo le stime sono quasi 3,7 milioni di soggetti, una buona parte dei quali è di sesso femminile).

Si tratta di un vero e proprio esercito di consulenti, liberi professionisti, piccoli artigiani, prestatori di servizi, free-lancers e operatori del terziario, cui non si applica quasi nessuna delle protezioni che lo Stato sociale ha elaborato nel corso del secolo XX, in ordine sia al rispetto di soglie minime, sia alla tutela della stabilità del rapporto, sia alle prestazioni previdenziali.

Ovvio perciò che quando, al termine della scorsa legislatura, fu approvato, dopo un lungo iter parlamentare, il Jobs Act “degli autonomi” (D. Lgs. 22 maggio 2017 n. 81, “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale”), sembravano realizzarsi attese che maturavano oramai da anni. Si trattava di riconoscere l’apporto fondamentale che questi lavoratori arrecano in termini di flessibilità al sistema produttivo, garantendo non solo un rafforzamento delle tutele previdenziali (malattia, maternità e disoccupazione), ma anche l’introduzione di regole nuove, capaci di assicurare più stabilità a professioni fortemente esposte alle perturbazioni del mercato.

Si sperava, quindi, di poter in qualche modo coinvolgere questi soggetti (soprattutto i liberi professionisti) in una attività di sostegno e di snellimento della pubblica amministrazione, attribuendo loro poteri di certificazione. Oppure di assicurare loro, attraverso gli uffici dei servizi per l’impiego, un supporto in termini di assistenza, in relazione alla partecipazione a gare o bandi pubblici o, più in generale, all’incontro fra domanda ed offerta di lavoro.Nulla di tutto questo si è però sino ad ora realizzato (a parte i precetti in ordine ad es. ai tempi di pagamento, già contenuti nella legge del 2017) di modo che, a quasi tre anni dall’emanazione di quel provvedimento, le deleghe conferite al Governo per completare la disciplina sono oramai scadute, senza che si sia pensato veramente di riprendere in mano il dossier.

Le ragioni di questo fallimento sono tante: innanzi tutto, si deve rilevare come la tecnica della delega legislativa sia oramai diventata una scappatoia troppo facile per emanare provvedimenti su argomenti divisivi, e poter poi vantare di aver raggiunto un risultato in termini di regolazione (una legge “bandiera”, come si diceva un tempo, utile per potersi presentare al corpo elettorale, ma zeppa di principi e vuota di norme di concreta applicazione). Bisognerebbe, in questo senso, capire che il Parlamento è proprio il luogo del confronto pubblico per la risoluzione dei problemi e per la mediazione politica, di modo che ai decreti legislativi si dovrebbero lasciare solo aspetti tecnici (e non già, come sempre più spesso avviene, il peso di decisioni che il legislatore non riesce a prendere).

In secondo luogo, si deve rilevare come il compito che la legge finiva per assegnare alle strutture pubbliche a beneficio dei lavoratori autonomi era, in verità, ancor più difficile di quello che quelle stesse strutture dovrebbero svolgere nei confronti dei subordinati. L’idea che i “Centri per l’impiego” siano in grado di fare da intermediari, per singole commesse, fra imprese che cercano collaboratori e lavoratori autonomi che offrono la propria professionalità, infatti, si scontra con la tradizionale difficoltà di quegli stessi centri ad assicurare una risposta a quanti si affacciano sul mercato del lavoro, per trovare un’occupazione a ben vedere più standard, quale quella che deriva dal lavoro subordinato.

Nello stesso senso l’idea, propria di altri ordinamenti, che i professionisti (avvocati, architetti ingegneri, commercialisti, consulenti del lavoro) possano ridurre alla sola vigilanza le funzioni dello Stato, sobbarcandosi un ruolo preventivo di accertamento e certificazione (ad es. in materia urbanistica, fiscale, di igiene alimentare o ambientale) si viene a scontrare con un impianto legislativo che rimane, in molti settori (se non in tutti) ancora troppo confuso, per poter permettere ai singoli di poter asseverare “a cuor leggero” la conformità a legge di merci, attrezzature, macchinari o di altre situazioni di fatto.

La sola tutela che riesce così a svilupparsi è quella previdenziale, dove l’INPS ha strutture operative sufficientemente solide per poter incrementare la propria attività, raccogliendo anche la contribuzione che proviene dagli autonomi (e così incrementando i flussi economici utili a garantire l’ordinaria operatività dell’Istituto).

C’è solo da aggiungere che, a differenza di quella specifica categoria di autonomi (veri o presunti tali) costituita dagli operatori della logistica, che, invece, ha occupato il centro della scena politica e mediatica con la questione dei riders e che ha consapevolezza della propria condizione di debolezza, i 3 milioni e mezzo di lavoratori “indipendenti” si identificano più nella figura dell’imprenditore che in quella del lavoratore, e non si percepiscono perciò nei termini del soggetto debole dello scambio contrattuale.

In questo senso, gli autonomi (a parte qualche eccezione) sembrano nutrire troppa diffidenza verso il lavoro subordinato per percorrere sino in fondo la strada della coalizione e per presentarsi all’opinione pubblica e ai decisori politici, con proposte condivise e comuni a tutti i settori.

Parimenti, si dovrebbe premere anche per una riconsiderazione della questione al livello europeo, perché la legislazione, in nome della concorrenza, ha negli ultimi anni finito per applicare ai liberi professionisti e agli autonomi le regole della libertà d’impresa, senza rendersi conto della natura prevalentemente personale della prestazione resa da tanti lavoratori, che li avvicina per tanti versi ai subordinati.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/02/08/jobs-act-autonomi-deleghe-scadute-ricominciare

Iscriviti alla Newsletter




È necessario aggiornare il browser

Il tuo browser non è supportato, esegui l'aggiornamento.

Di seguito i link ai browser supportati

Se persistono delle difficoltà, contatta l'Amministratore di questo sito.

digital agency greenbubble