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Ritenute fiscali negli appalti al test delle esclusioni

In vista della scadenza per il primo versamento delle ritenute fiscali, le imprese si preparano a fare i conti con i nuovi limiti alle compensazioni negli appalti introdotti dal decreto fiscale 2020. Viene infatti esclusa la possibilità di compensazione per i versamenti eseguiti da imprese appaltatrici, affidatarie e subappaltatrici che effettuano opere o servizi per un importo annuo superiore a 200.000 euro, caratterizzate dal prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi del committente e svolte mediante l’utilizzo di beni strumentali riconducibili a quest’ultimo. Con la circolare n. 1/E del 12 febbraio 2020 l’Agenzia delle Entrate ha fornito i primi chiarimenti necessari per definire l’ambito applicativo delle nuove regole e, tenuto conto delle oggettive difficoltà che le imprese saranno chiamate a fronteggiare per adeguarsi ai nuovi obblighi, ha sancito una moratoria delle sanzioni fino al 30 aprile 2020.

Per contrastare il fenomeno dell’omesso versamento delle ritenute negli appalti, il decreto fiscale (D.L. 124/2019) ha escluso la possibilità di compensazione per i versamenti eseguiti da imprese appaltatrici, affidatarie e subappaltatrici nell’ambito di contratti di opere o servizi caratterizzati dal prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi del committente.

La disciplina è contenuta nell’articolo 4 del D.L. 26 ottobre 2019 n. 124, con il quale il legislatore ha introdotto nel D.Lgs. 241/97 il nuovo articolo 17-bis che sancisce il divieto di compensazione nel versamento delle ritenute e impone al committente alcuni obblighi di controllo.

L’ambito di applicazione della norma è riferito ai committenti che affidano l’esecuzione di una o più opere o di uno o più servizi per un importo complessivo annuo superiore a 200.000 euro, attraverso “contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma”.

Affinché operi la disciplina occorre che le suddette condizioni siano tutte verificate: un’attenta valutazione diventa quindi fondamentale, poiché il mancato riscontro anche solo di una di esse è sufficiente per consentirne la disapplicazione.

Come chiarito nella circolare 1/E/2020 è inoltre necessario che l’opera o il servizio siano eseguiti da “un’impresa”. Sono pertanto esclusi dall’ambito applicativo i contratti stipulati con esercenti arti e professioni. La stessa circolare ha chiarito che la disposizione non si applica ai condomini e agli enti non commerciali limitatamente all’attività istituzionale.

Per quanto concerne il limite di 200.000 euro, la norma non contiene alcun riferimento alle modalità di computo relativamente ai contratti infrannuali e a quelli con corrispettivo variabile in funzione del risultato. In quest’ultimo caso è infatti evidente che il superamento o meno della soglia è desumibile solo in corso d’anno, a consuntivo, e quindi non era chiaro da quale momento scattino gli obblighi previsti dalla norma.

Sul punto la circolare 1/E/2020 dell’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il limite di 200.000 euro deve essere determinato per ciascuna impresa prendendo in considerazione l’anno solare (1° gennaio - 31 dicembre) Ai fini del computo della predetta soglia, si dovrà fare riferimento a tutti i contratti in essere nell’anno, alle eventuali modifiche contrattuali sopraggiunte e a tutti i nuovi contratti stipulati nell’anno con ciascuna impresa. Nel caso di contratti di durata annuale o pluriennale che presentino un prezzo predeterminato, il calcolo della soglia su base annua avverrà secondo un meccanismo di pro-rata temporis su base mensile.

La circolare ha poi chiarito che nel caso in cui il contratto non individui un prezzo o una scadenza predeterminata si seguirà un criterio di cassa. In questo caso, gli obblighi previsti dall’articolo 17-bis decorreranno in relazione ai redditi di lavoro dipendente e assimilati da erogare dopo il superamento della soglia di 200.000 euro su base annua di pagamenti effettuati dal committente all’affidatario e cesseranno alla scadenza dei contratti.

Nel silenzio della norma sussistevano numerosi dubbi su come determinare la prevalenza della manodopera in determinate attività dovendosi ritenere, nel silenzio della norma, che tale. Al riguardo la circolare 1/E/2020 ha chiarito che occorrerà fare riferimento al numeratore alla retribuzione lorda riferita ai soli percettori di reddito di lavoro dipendente e assimilato e al denominatore al prezzo complessivo dell’opera (o dell’opera e del servizio nel caso di contratti misti). La prevalenza vada individuata ragguagliando il costo della manodopera sostenuto dal prestatore sul totale dei costi sostenuti per l’esecuzione della specifica attività.si intenderà superata quando il rapporto tra numeratore e denominatore è superiore al 50%.

La circolare dell’Agenzia delle Entrate ha poi fornito indicazioni su come procedere alla verifica del requisito relativo all’utilizzo di beni strumentali del committente. Al riguardo il legislatore non ha posto riferimenti quantitativi lasciando ipotizzare che potesse essere sufficiente anche un utilizzo residuale di beni strumentali del committente. Tale interpretazione non è stata avallata dall’Agenzia delle Entrate che ha chiarito che il requisito in esame non sussiste nel caso in cui i beni strumentali vengano utilizzati in modo occasionale oppure non siano indispensabili per l’esecuzione dell’opera o del servizio.

Quand’anche tutte e quattro condizioni che determinano l’operatività della disciplina risultino verificate una via di fuga dall’applicazione delle nuove regole è costituita dal quinto comma dell’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 241/1997 che definisce alcune deroghe, prevedendo che i nuovi obblighi non trovino applicazione se l’impresa appaltatrice, affidataria e subappaltatrice, nell’ultimo giorno del mese precedente a quello di scadenza del versamento delle ritenute, integri i seguenti requisiti:

· risulti in attività da almeno tre anni;

· sia in regola con gli obblighi dichiarativi;

· abbia eseguito nel corso dell’ultimo triennio cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate versamenti per un importo non inferiore al 10% dell’ammontare dei ricavi o dei compensi risultanti dalle dichiarazioni medesime;

· non abbia iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi o avvisi di addebito affidati agli agenti della riscossione per imposte sui redditi, IRAP, ritenute e contributi previdenziali per importi superiori a 50.000 euro, per i quali siano ancora dovuti pagamenti o non siano in essere provvedimenti di sospensione o rateizzazione.

Per dimostrare il possesso dei requisiti necessari per disapplicare la disciplina, l’Agenzia delle Entrate rilascerà un certificato che avrà una validità di 4 mesi dal giorno in cui viene emesso (documento unico di regolarità fiscale - DURF).

Tale certificato è stato approvato con provvedimento n. 54730 del 6 febbraio 2020 e sarà rilasciato in modo conforme al modello contenuto nell’allegato A, mentre la sussistenza dei requisiti sarà riscontrata dall’amministrazione finanziaria secondo i criteri definiti nell’allegato B.

Tra gli aspetti chiariti dal provvedimento, il citato allegato B precisa che ai fini della verifica delle iscrizioni a ruolo devono essere considerati gli accertamenti esecutivi, gli avvisi di addebito e le iscrizioni a ruolo per importi superiori a 50.000 euro per i quali i termini di pagamento siano scaduti e non siano in essere provvedimenti di sospensione. Inoltre, con una soluzione favorevole per i contribuenti, viene chiarito che ai fini del computo della soglia – che deve essere verificata con riferimento all’ultimo giorno del mese oggetto della richiesta – saranno essere esclusi “interessi, sanzioni ed oneri diversi”.

Il DURF sarà messo a disposizione dell’impresa o di un suo delegato presso un qualunque ufficio territoriale della Direzione provinciale competente in base al domicilio fiscale dell’impresa. Per i grandi contribuenti il certificato è messo a disposizione presso le Direzioni regionali.

L’impresa o un suo delegato potrà segnalare all’ufficio che ha emesso il certificato eventuali dati omessi e l’Agenzia delle Entrate, effettuati gli opportuni riscontri, procederà all’emissione di un nuovo certificato.

In occasione del Forum dei dottori commercialisti ed esperti contabili del 13 gennaio 2020, l’Agenzia delle Entrate ha confermato che le predette condizioni devono sussistere congiuntamente e che l’impresa che effettua i lavori o le opere deve risultare operativa negli ultimi tre anni coerentemente con i criteri delineati nel provvedimento dell’Agenzia n. 110418 del 12 giugno 2017.

Con riferimento al requisito dei versamenti legati alle dichiarazioni dei redditi, effettuati nell’ultimo triennio in misura pari almeno al 10% dei ricavi o compensi, la circolare 1/E/2020 ha chiarito che per i soggetti aderenti al consolidato fiscale, ai fini della determinazione dei versamenti complessivi, può essere fatta valere anche l’“imposta teorica” corrispondente al reddito complessivo proprio attribuito al consolidato fiscale. Inoltre nel caso in cui al momento della richiesta del DURF siano scaduti i termini per la presentazione di due sole dichiarazioni, il riscontro dei requisiti sarà effettuato solo su queste ultime.

Preso atto delle oggettive difficoltà che le imprese saranno chiamate a fronteggiare per adeguarsi tempestivamente ai nuovi obblighi di legge, la circolare 1/E/2020 stabilisce che nei primi mesi di applicazione della norma (e in ogni caso, non oltre il 30 aprile 2020), qualora l’appaltatore abbia effettuato correttamente il versamento delle ritenute fiscali, ma non abbia utilizzato per ciascun committente deleghe distinte, come previsto dalla legge, al committente non sarà contestata alcuna sanzione.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/02/11/ritenute-fiscali-appalti-test-esclusioni

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