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Ticket licenziamento più caro nel 2020: quanto va versato

Nei casi di interruzione di un rapporto a tempo indeterminato che dà diritto all’indennità di disoccupazione NASpI l’azienda è tenuta a versare il ticket licenziamento. L’importo del ticket, aggiornato dall’INPS con la circolare n. 20 del 2020, è pari nel 2020 a 503,30 euro (41% di 1.227,55 euro) per ogni anno di lavoro effettuato. L’importo massimo del contributo è pari a 1.509,90 euro – arrotondato alle 2 cifre – per rapporti di lavoro di durata pari o superiore a 36 mesi. Il contributo va versato, in un’unica soluzione, entro il giorno 16 del secondo mese successivo al licenziamento: in quali casi?

Lo scorso 10 febbraio l’INPS con la circolare n. 20 del 10/02/2020 ha aggiornato la retribuzione da prendere a riferimento per il calcolo dell’indennità di disoccupazione (NASpI) per l’anno 2020.

Detto aggiornamento ridetermina anche il contributo dovuto dalle aziende nei casi di interruzione unilaterale del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, introdotto dalla Riforma Fornero dal 2013 (comma 31, dell’articolo 2, della legge n. 92/2012). La norma, infatti, prevede l’erogazione all’INPS, da parte del datore di lavoro, di una somma pari al 41% del massimale mensile di NASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni, nei casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che, indipendentemente dal requisito contributivo, darebbero diritto alla NASpI.

La disposizione quindi evidenzia un presupposto fondamentale: a prescindere dall’effettiva percezione della NASpI, da parte del lavoratore licenziato, il datore di lavoro è comunque tenuto all’assolvimento della contribuzione in tutti i casi in cui la cessazione del rapporto generi in capo al lavoratore stesso il teorico diritto alla indennità, cioè allorquando lo stato di disoccupazione sia da considerarsi involontario.

Ricordo, in particolare, che il contributo è dovuto anche qualora il lavoratore non abbia maturato i requisiti soggettivi per l’accesso alla NASpI, ovvero il datore di lavoro sia a conoscenza della ricollocazione del lavoratore presso altro impiego.

In virtù dell’aggiornamento previsto dalla circolare INPS n. 20, del 10 febbraio 2020, il ticket licenziamento, per l’anno 2020, è pari a 503,30 euro (41% di 1.227,55 euro) per ogni anno di lavoro effettuato, fino ad un massimo di 3 anni (l’importo massimo del contributo è pari a 1.509,90 euro – arrotondato alle 2 cifre – per rapporti di lavoro di durata pari o superiore a 36 mesi).

Il contributo deve essere calcolato in proporzione ai mesi di anzianità aziendale e senza operare alcuna distinzione tra tempo pieno e part-time. Infine, vanno calcolati i mesi superiori a 15 giorni: la quota mensile è pari a 41,94 euro/mese (503,30/12).

Nel computo dell'anzianità aziendale sono compresi i periodi di lavoro con contratto diverso da quello a tempo indeterminato (ad esempio, a tempo determinato), se il rapporto è poi proseguito senza soluzione di continuità.

Il contributo va versato, in un’unica soluzione, entro il giorno 16 del secondo mese successivo al licenziamento.

La norma di legge non prevede il contributo unicamente nei casi di licenziamento ma anche in qualsiasi ipotesi di risoluzione del rapporto che presupponga l’erogazione dell’indennità di disoccupazione. Vediamo quali sono questi casi.

In caso di dimissioni per giusta causa, al lavoratore spetta la NASpI.

L’INPS, con la circolare 163/2003, e la giurisprudenza di legittimità, hanno identificato una serie di ipotesi:

a) reiterato mancato pagamento della retribuzione. Per realizzare questa casistica, vi dovrà essere l’evidenza che il mancato pagamento sia stato non episodico ma continuato nel tempo, tale da far venire meno la fiducia del lavoratore nei confronti del proprio datore di lavoro;

b) aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro;

c) modificazioni peggiorative delle mansioni, tali da pregiudicare la vita professionale del lavoratore;

d) notevoli variazioni nelle condizioni di lavoro a seguito di cessione ad altre persone (fisiche o giuridiche) dell’azienda;

e) spostamento del lavoratore da una sede ad un’altra, senza che sussistano le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”, previste dall’art. 2103 codice civile;

f) comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico nei confronti del dipendente;

g) mobbing, consistente in un insieme di condotte vessatorie e reiterate poste in essere da parte di superiori e/o colleghi nei confronti di un lavoratore. Dette condotte devono essere prolungate nel tempo e lesive della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso.

La richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice durante il periodo tutelato di maternità (da 300 giorni prima della data presunta del parto e fino al compimento del primo anno di vita del figlio), da diritto alla NASpI.

La disposizione si applica anche al padre lavoratore qualora abbia fruito del congedo di paternità:

a) astensione dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono,

b) in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.

c) qualora la madre sia lavoratrice autonoma avente diritto all'indennità.

La risoluzione consensuale intervenuta tra il datore di lavoro ed il lavoratore non determina, in capo al lavoratore, il diritto a ricevere l’indennità di disoccupazione, tranne in due casi:

1. La risoluzione consensuale prevista all’interno della procedura di conciliazione obbligatoria (art. 7 della legge n. 604/1966), in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo da parte di un datore di lavoro con più di 15 dipendenti. La procedura, per determinare l’erogazione della NASpI al lavoratore, deve essere rivolta esclusivamente nei confronti dei lavoratori tutelati dall’articolo 18 (non per quelli assunti a “tutele crescenti”) e deve concludersi con un verbale di conciliazione sottoscritto dinanzi alla Commissione di conciliazione presso l’Ispettorato territoriale del lavoro. Ricapitolando, i presupposti devono essere:

a) Azienda con più di 15 dipendenti

b) Intenzione di licenziare per giustificato motivo oggettivo

c) Lavoratore con le tutele previste dall’articolo 18 della legge 300/1970

d) Conciliazione dinanzi alla Commissione di conciliazione presso l’Ispettorato territoriale del lavoro

2. La risoluzione consensuale determinata in un verbale di conciliazione in sede c.d. “protetta”, in caso di diniego del lavoratore al trasferimento ad altra sede della stessa azienda distante più di 50 km dalla residenza del lavoratore e\o mediamente raggiungibile in 80 minuti o più con i mezzi pubblici (circolare 108 del 10 ottobre 2006). Le sedi deputate a redigere e sottoscrivere un verbale di conciliazione in sede protetta sono le seguenti: Ispettorato territoriale del lavoro, sede sindacale, Commissione di certificazione e giudice istruttore (quarto comma dell’articolo 2113 c.c.).

Ha diritto all’indennità di disoccupazione anche il lavoratore che al termine del contratto di apprendistato non è stato qualificato. Detto recesso è equiparabile al licenziamento, così come previsto dall’articolo 2118 del Codice civile.

Ricordo che durante il periodo di preavviso continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato.

Tabella riepilogativa

Nella seguente tabella, sono specificate le tipologie di risoluzioni che rientrano (o meno) nella casistica dei recessi che possono portare alla ricezione dell’indennità di disoccupazione.

Tipologia di risoluzione da rapporto a tempo indeterminatoTicket dovuto
Licenziamento per giustificato motivo oggettivoSI
Licenziamento per giustificato motivo soggettivoSI
Licenziamento per giusta causaSI
Licenziamento durante o al termine del periodo di provaSI
Licenziamento per superamento del periodo di comportoSI
Licenziamento lavoratore intermittente (esclusivamente per i periodi lavorati che concorrono al computo dell’anzianità aziendale)SI
Licenziamento personale domesticoNO
Recesso dell’Apprendista al termine del periodo formativoSI
Dimissioni volontarieNO
Dimissioni per giusta causaSI
Dimissioni nel periodo tutelato per maternitàSI
Risoluzione consensuale dinanzi la Commissione di conciliazione ITL (articolo 410 c.p.c.)NO
Risoluzione consensuale in sede sindacale (articolo 411 c.p.c.)NO
Risoluzione consensuale a seguito di conciliazione obbligatoria per GMO presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro (per aziende in tutela reale – articolo 18 Legge 300/70). Non si applica nei confronti dei rapporti a tempo indeterminato a tutele crescentiSI
Risoluzione in caso di trasferimento oltre 50 Km dalla residenza del lavoratoreSI
Licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro, in attuazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dal CCNLNO
Interruzione di rapporto a tempo indeterminato nel settore delle costruzioni edili per completamento delle attività e chiusura del cantiere NO
Decesso del lavoratoreNO

Le considerazioni contenute nel presente contributo sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/02/24/ticket-licenziamento-caro-2020-versato

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