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Lo smart working al tempo del coronavirus

Nella dinamica delle misure di sicurezza anti-coronavirus utilizzabili dalle aziende, la normativa emergenziale ha incentrato la sua attenzione sullo smart working. Con una disposizione di natura temporanea, si è infatti disposto che - fino al 15 marzo 2020 - i datori di lavoro con sede in Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria (e i lavoratori qui residenti o domiciliati che lavorano al di fuori da tali territori) potranno ricorrere allo smart working anche in assenza di accordi individuali. Resta, invece, confermato l’obbligo di consegna al lavoratore dell’informativa scritta sulla salute e sicurezza. E i dipendenti che non potranno svolgere il proprio lavoro a distanza?

Il testo del decreto legge n. 6/2020 (G.U. Serie Generale n. 45 del 23-02-2020) merita di essere commentato, per quanto di nostra competenza, giacché si occupa di alcuni aspetti di rilevanza giuslavoristica.

A tale riguardo, si rileva che il commento del decreto legge non può esse disgiunto da quello dei due decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri i quali, emanati il primo in pari data, il secondo a due giorni di distanza (DPCM 25 febbraio 2020), ne contengono alcune disposizioni attuative (efficaci per un limitato periodo di tempo dall’entrata in vigore), e segnatamente le misure finalizzate al contenimento dell’epidemia nei comuni noti alle cronache sanitarie come “zona rossa” (di Lombardia e Veneto), con le quali è stata sancita la pressoché totale interruzione di ogni attività sociale ed economica nonché la “segregazione fisica” degli abitanti, unitamente ad altri provvedimenti emergenziali di portata territorialmente più ampia coincidenti con le regioni: Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria, fra i quali spicca l’intervento, provvisoriamente derogatorio (interamente riscritto), della disciplina del lavoro agile di cui alla l. n. 81/2017.

Prima di addentrarci nella regolamentazione contingente del lavoro agile, occupiamoci del D.L. che ne costituisce il presupposto giuridico.

In prima battuta deve rimarcarsi, non avendo, come contesta l’OMS, ancora compreso dove sia/siano i focolai del contagio e quali le cause dello stesso, che le indicazioni topografiche di attuazione del decreto risultano quanto mai generiche; la norma, infatti, trova applicazione “nei comuni o nelle aree nei quali risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi è un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area già interessata dal contagio di virus (…)”.

A fronte di questo incerto campo di vincolatività del decreto, segue una elencazione, chiaramente non tassativa, di eventuali misure, adeguate e proporzionali all’evolversi della situazione epidemiologica, che potranno essere prese, a scopo cautelare, dalle autorità competenti.

Fra codeste misure, quelle a maggiore impatto, diretto e indiretto, sul lavoro riguardano la chiusura delle attività commerciali e delle attività lavorative delle imprese (e dei lavoratori) “ad esclusione di quelle che erogano servizi essenziali e di pubblica utilità (…) e di quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare ovvero in modalità a distanza”,

Ebbene, non essendovi stata, ad oggi, alcuna sospensione generalizzata delle attività lavorative e d’impresa – ad eccezione della richiamata “zona rossa” – spetterà al datore di lavoro decidere se e come assicurare la continuità operativa delle aziende garantendo, nel contempo, la tutela della sicurezza e della salute dei propri dipendenti e collaboratori.

Ciò dovrà avvenire valutando ex novo o aggiornando sia la valutazione relativa al rischio biologico di contagio da coronavirus, sia il protocollo sanitario elaborato dal medico competente; informando i lavoratori, anche telematicamente, sulle misure di sicurezza e salute da adottare; invitando o intimando chi fosse comunque malato dal non presentarsi sul posto di lavoro; sospendendo o riducendo le trasferte e i servizi svolti presso terzi committenti; dotando i lavoratori che debbono necessariamente prestare la propria attività di dispositivi di protezione individuale e di presidi medico chirurgici adeguati, nonché di procedure minime di sicurezza come da circolari del Ministero della Salute.

Nella dinamica delle misure di sicurezza anti coronavirus utilizzabili dalle aziende, la normativa emergenziale, in forza della previsione di cui alla lett. n) del D.L. n. 6/2020, ha incentrato la sua attenzione sulla modalità di lavoro domiciliare o a distanza. A tale proposito, merita evidenziare che all’art. 3 del DPCM del 23 febbraio, si dispone(va) l’applicabilità (efficace, ex art. 5, solo per 14 giorni dal 23 febbraio) del lavoro agile (smart working) di cui alla l. n. 81/2017, “in via automatica ad ogni rapporto di lavoro subordinato nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni e anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti”, prevedendosi, inoltre, la possibilità di adempiere gli “obblighi di informativa di cui all'art. 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, (…) in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro”.

Il precetto di cui sopra, invero tutt’altro che chiaro, evidenziava da subito almeno un paio di problemi interpretativi: il primo aveva ad oggetto la portata generale o specifica della norma, valida solo, si leggeva, “nell'ambito di aree considerate a rischio nelle situazioni di emergenza nazionale o locale”, così da potersi intendere, con interpretazione restrittiva, limitata alla sola “zona rossa”, mentre, con interpretazione estensiva, applicabile in tutti gli altri ambiti territoriali, nazionali o locali, via via coinvolti dal rischio epidemico; il secondo aveva a che fare con il riferimento agli obblighi di informativa di cui all’art. 23 della l. n. 81/2017, non comprendendosi se la norma si riferisse all’informativa di sicurezza sul lavoro agile, disciplinata all’art. 22, co.1, o all’invio telematico della comunicazione dell'accordo per lo svolgimento della prestazione lavorativa agile prevista dall’art. 23 co. 1, rilevante agli esclusivi fini assicurativi, anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell'INAIL.

Al fine di ovviare a tali dilemmi nel nuovo DPCM, che contiene ulteriori disposizioni attuative del D.L. n. 6/2020, pubblicato nella G.U. n. 47 del 25 febbraio 2020, l’art. 3 nella precedente formulazione viene abrogato e interamente sostituito.

Per la verità la novella normativa di cui all’art. 2 del DPCM 25 febbraio, non risolve appieno i problemi sopra evidenziati, e, nella formulazione pubblicata, purtroppo lascia qualche dubbio sull’applicabilità delle deroghe temporanee alla disciplina del lavoro agile ex l. n. 81/2017: dubbi residuali in merito al profilo territoriale, dubbi sostanziali rispetto a quello dell’informativa della sicurezza sul lavoro e della comunicazione di attivazione del lavoro agile agli enti competenti.

Quanto al primo profilo di dubbio il nuovo testo sancisce, che in via provvisoria, ossia fino al 15 marzo 2020, i datori di lavoro aventi sede legale o operativa nelle Regioni: Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria, e i lavoratori ivi residenti o domiciliati che svolgano attività lavorativa al di fuori da tali territori, potranno utilizzare la modalità di lavoro agile in ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalla legislazione di riferimento, “anche in assenza degli accordi individuali”.

Ne consegue, pertanto, che l’applicazione della modalità di lavoro agile in deroga al vincolo dell’accordo individuale opererà non solo nella “zona rossa” bensì in tutte le regioni tassativamente elencate e risulterà utilizzabile sicuramente nei confronti di ogni rapporto di lavoro subordinato posto in essere con un datore di lavoro che ha sede legale o operativa in dette regioni, nonché, ragionevolmente interpretando il provvedimento normativo, varrà anche nei confronti dei lavoratori ivi residenti o domiciliati, nel caso in cui svolgano l’attività lavorativa fuori da tali territori in quanto dipendenti da datori di lavoro con sede legale o operativa in regioni diverse da quelle appellate.

Quanto, invece, alla seconda questione, il nuovo testo ha corretto l’evidente errore commesso richiamando l’informativa dell’art. 23 della l. n. 81/2017, ora sostituita dal giusto riferimento all’art. 22 e ha confermato la previsione di assolvimento dell’obbligo di consegna al lavoratore dell’informativa in materia di sicurezza sul lavoro in via telematica, utilizzando la documentazione resa disponibile sul sito dell'INAIL. A tal proposito si segnala che, dal 26 febbraio, è scaricabile sul sito dell’Istituto assicuratore un modello di informativa sulla salute e sicurezza nel lavoro agile ai sensi dell’art. 22, comma 1, l. 81/2017 che i datori di lavoro potranno utilizzare per informare i propri lavoratori agili.

Resta, pertanto, impregiudicato, anche in codesta disciplina emergenziale, l’obbligo della consegna dell’informativa scritta sui rischi (generali e specifici) “connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro” di cui all’art. 22 del D.lgs. n. 81/2017, che il lavoratore agile, per così dire, forzato, dovrà necessariamente ricevere dal datore di lavoro seppure in via telematica e con schema standardizzato.

Nonostante il venir meno, nel nuovo testo dell’art. 3 del DPCM del 23 febbraio, del riferimento all’art. 23 della l. n. 81/2017, e pur in assenza di un accordo individuale, pare doversi confermare l’obbligo in esso contenuto di comunicazione telematica per l’attivazione del lavoro agile. Conferma di ciò si trae direttamente da un comunicato del Ministero del lavoro del 24 febbraio in cui si afferma che nel caso di specie “nella procedura telematica l'accordo individuale è sostituito da un'autocertificazione che il lavoro agile si riferisce ad un soggetto appartenente a una delle aree a rischio. Nel campo "data di sottoscrizione dell'accordo", va inserita la data di inizio dello smart working”.

In conclusione, merita di essere ricordato che non tutti i dipendenti potranno svolgere il proprio lavoro in modalità agile, sicché mentre chi, in conseguenza della tipologia di mansioni e già in possesso di strumenti tecnologici e di collegamento telematico, è in grado di operare da remoto potrà continuare a lavorare, previo coordinamento con il datore di lavoro che dovrà comunque fornire le disposizioni necessarie allo svolgimento dell’attività lavorativa, chi, diversamente, sempreché sano, in ragione delle mansioni e/o della mancanza di detti strumenti e collegamenti, non è in grado di lavorare a distanza, dovrà recarsi sul posto di lavoro per rendere la prestazione lavorativa o esserne espressamente temporaneamente esonerato dal datore di lavoro per motivi di sicurezza e salute, con mantenimento della retribuzione.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/02/29/smart-working-tempo-coronavirus

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