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Lavoro autonomo con le tutele del subordinato: cosa comporterà per le aziende

Come se non fossero già bastati i ripensamenti sulle agevolazioni fiscali, con la cancellazione della flat-tax per i lavoratori autonomi oggi ci troviamo, di fatto, a non poter più utilizzare la forma contrattuale della collaborazione coordinata e continuativa perché il rischio concreto non tanto “di una riconduzione” ma di una vera e propria pedissequa “applicazione” della disciplina del lavoro subordinato è una concreta realtà. Tutto ciò che cosa comporterà in termini pratici per le aziende? Che i committenti, alla stregua di un datore di lavoro, dovranno applicare al lavoro autonomo tutte (o a una parte sola?) le disposizioni del diritto del lavoro subordinato?

La recente sentenza della Corte di Cassazione sul caso Foodora (Cass. Civ. Sez. Lav. 24 gennaio 2020, n. 1663) apre nuovi ed inquietanti scenari sul futuro delle collaborazioni coordinate e continuative, decretandone forse consapevolmente la scomparsa.

Non voglio in questa sede soffermarmi sul tema del lavoro attraverso piattaforma, fattispecie che sta iniziando a delinearsi da qualche anno nel contesto del diritto del lavoro con tutte le necessarie implicazioni soprattutto - dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 101/2019, convertito con modificazioni in L. n. 128/2019 - in termini di tutele minime e di criteri di determinazione dei corrispettivi. Voglio invece soffermarmi su alcuni fattori di contesto che sembrano determinare una pericolosa inversione di tendenza rispetto a quanto fatto – positivamente – dapprima con il Jobs Act (si veda il mio articolo “Jobs Act e collaborazioni autonome: le conseguenze per le aziende dal 1° gennaio 2016”, Sintesi 2/2016) e poi la legge n. 81/2017 – definita da taluno il Jobs Act del lavoro autonomo. La Cassazione, infatti, al di là di quelli che sono i tecnicismi con i quali decide sul caso, ci dice qualcosa di molto più preoccupante perché in pratica cancella il buono delle riforme degli ultimi anni per riaffermare – con mero rinvio alla legge svuotando di contenuti il proprio ruolo interpretativo - il primato del lavoro subordinato sul lavoro autonomo e sulle collaborazioni coordinate. Essa in pratica sposta prepotentemente l’attenzione in termini di qualificazione del rapporto di lavoro, dal piano delle collaborazioni (coordinate, autonome o etero-organizzate che siano) a quello del lavoro subordinato. Probabilmente non considerando che nella realtà del nostro sociale esistono ormai molte tipologie di prestatori di lavoro e che il portato delle (buone) riforme degli ultimi anni non è stato che la traduzione in regole di diritto di esigenze e di volontà ben precise che l’applicazione pratica porta necessariamente ad adattare.

A partire dall’entrata in vigore del Jobs Act e significativamente dapprima con il D.Lgs. n. 81/2015 e poi con la L. n. 81/2017 si è infatti assistito ad un profondo ripensamento delle collaborazioni autonome, in primo luogo le collaborazioni coordinate e continuative, attratte nell’alveo del lavoro subordinato attraverso la norma di chiusura dell’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2015 (utilizzata proprio dalla Cassazione per affermare l’applicazione delle norme del lavoro subordinato al lavoro autonomo) e dall’altro attraverso l’introduzione di una serie di tutele specifiche per il lavoro autonomo non imprenditoriale, che si deve principalmente alla L. n. 81/2017. La stessa legge, peraltro, con la quale è stato introdotto nel nostro ordinamento il lavoro agile, quindi il ripensamento del lavoro subordinato in chiave di obiettivi e di risultato con la finalità di accompagnare i meccanismi di innovazione richiesti dalla nuova organizzazione del lavoro.

L’impressione generale del contesto in cui queste riforme si sono innestate mi ha visto in linea generale favorevole al cambiamento in atto. Il diritto deve evolvere con l’evoluzione del contesto sociale che ne costituisce il fondamento. Il diritto del lavoro è in modo più significativo chiamato ad evolvere risultando lo strumento giuridico attraverso il quale viene interpretata l’evoluzione dell’organizzazione del lavoro. E’ questa sua particolare natura che assicura al diritto del lavoro di farsi strumento – effettivo – di accompagnamento del lavoro nell’impresa, soprattutto considerando che il modello tradizionale del lavoro subordinato a tempo indeterminato caratterizzato da un percorso di carriera lineare e dall’inamovibilità del lavoratore dal momento dell’assunzione al momento del pensionamento, non esiste più.

Ecco che allora il lavoro autonomo, la collaborazione coordinata e continuativa, le prestazioni autonome occasionali dovevano divenire, nell’impianto generale, un effettivo strumento di flessibilità organizzativa, necessarie anch’esse come altre tipologie contrattuali – se ben costruite e gestite - a garantire il passaggio dal modello tradizionale ad un modello più fluido e flessibile. Ma questo doveva avvenire con la consapevolezza del valore di queste forme contrattuali. Forse ciò si è realizzato all’inizio ma questo intento iniziale si è probabilmente perso man mano che si è andati avanti, forse anche grazie alla prima giurisprudenza intervenuta in merito alle nuove forme di lavoro attraverso piattaforma non sempre adeguatamente tutelate.

La Cassazione ci dice proprio questo, e cioè che il legislatore del 2015, in una prospettiva anti-elusiva, ha inteso limitare le possibili conseguenze negative delle forme di collaborazione etero-organizzate ovvero sbilanciate a favore del committente, prevedendo comunque l'applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato ogniqualvolta nella collaborazione venisse riscontrata – su un piano fattuale da provare tuttavia anche mediante presunzioni - l'ingerenza funzionale dell'organizzazione del committente. Quindi, in forza dell’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2015 dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato (ma quale? tutta? solo una parte? interrogativi di non poco conto..) tutte le volte in cui la prestazione – personale e continuativa - del collaboratore (autonomo) sia svolta in maniera continuativa nel tempo e con modalità di esecuzione organizzate dal committente (anche in relazione ai tempi e al luogo di lavoro, elementi oggi spariti dalla norma). La legge, come sappiamo, pone delle eccezioni, identifica delle fattispecie in cui esclude o limita questa ingerenza in forza di un interesse superiore legato alla particolare natura della prestazione (ad esempio nel caso delle libere professioni oppure nei casi in cui i contenuti legittimi della prestazione siano stati già “validati” dalla contrattazione collettiva di settore), mentre da altro punto di vista, ne qualifica la legittimità quando la possibile ingerenza venga annullata dal potere di organizzazione autonoma della prestazione da parte del collaboratore, da costruire contrattualmente e sul piano della gestione del rapporto di lavoro (ultimo periodo dell’ art. 409, n. 3 c.p.c. come modificato dalla L. n. 81/2017).

Il principio di fondo che ha dapprima guidato la riforma ma che ha comunque lasciato degli spazi di manovra all’interprete quantomeno prima degli ultimi approdi giurisprudenziali, è che oggi tali forme contrattuali autonome, seppure necessarie nel contesto della moderna organizzazione del lavoro, si prestino – normalmente – ad abusi. La conseguenza sarebbe – quantomeno a parere della Cassazione – che il legislatore abbia voluto facilitare il processo di riqualificazione del rapporto di lavoro autonomo, semplificandolo sulla base della identificazione di alcuni indici fattuali ritenuti significativi (personalità, continuità, etero-organizzazione) sufficienti a giustificare – pur mantenendo la natura autonoma del rapporto - l'applicazione della disciplina dettata per il rapporto di lavoro subordinato. Con ciò esonerando da ogni ulteriore indagine il Giudice. Ma soprattutto, ci viene detto, “senza che questi possa trarre, nell'apprezzamento di essi, un diverso convincimento nel giudizio qualificatorio di sintesi”.

Ma quali potranno essere le conseguenze per il futuro? Molteplici e a mio avviso tutte negative per aziende e lavoratori, comportando incertezze applicative sui moltissimi rapporti di lavoro autonomo in corso.

Ed infatti, viene da chiedersi quale disciplina dettata per i rapporti di lavoro subordinati dovrà esser applicata ai rapporti di lavoro autonomo etero-organizzati? Una parte? E se sì, quale? Ovvero tutta quanta la disciplina, comprensiva di tutto l’impianto normativo pensato per la gestione del rapporto di lavoro (art. 2103 c.c, mansioni e trasferimenti), la sua tutela (malattia, infortunio, maternità e paternità, permessi ex lege 104 e così via) e financo – soprattutto - quella relativa al licenziamento illegittimo?

Come si può notare, interrogativi di non poco conto soprattutto considerando che tale normativa sarà sempre applicata ex post da un Giudice in caso di contenzioso e su contratti e atti del committente posti in essere avendo in mente unicamente la disciplina del lavoro autonomo (e per ciò ad altissimo rischio di loro caducazione se analizzati, col senno di poi, con le “lenti” del rapporto di lavoro subordinato).

Come se non fossero già bastati i ripensamenti in termini di agevolazioni fiscali che la legge di Bilancio per il 2020 ha introdotto per i lavoratori autonomi (in pratica con la cancellazione della flat-tax), oggi ci troviamo di fatto a non poter più utilizzare la forma contrattuale della collaborazione coordinata e continuativa perché il rischio concreto non tanto “di riconduzione” ma di vera e propria pedissequa “applicazione” della disciplina del lavoro subordinato è una concreta realtà. Per legge e senza un grande sforzo ermeneutico. Ma tutto ciò che cosa comporterà in termini pratici? Che i committenti dovranno (alla stessa stregua di un ordinario datore di lavoro) applicare al lavoro autonomo tutte (o una parte sola?) le disposizioni del diritto del lavoro subordinato, e quindi ad es. gestire la malattia, la maternità, le sospensioni del rapporto senza tenere conto delle regole proprie della Gestione separata INPS che sono comunque utili ad assicurare un insieme di valide tutele.

Ed ancora, saranno tenuti a valutare con estrema attenzione ogni strumento di gestione del rapporto di lavoro – del collaboratore o del lavoratore autonomo in presenza di potenziale etero – organizzazione – avendo come punto di riferimento la disciplina del lavoro subordinato in materia di licenziamenti, di esercizio dello jus variandi e delle mansioni?

Si faccia l’esempio del recesso dal rapporto di lavoro autonomo, normalmente attuato mediante una semplice comunicazione scritta. Ebbene, dovendosi applicare “le norme del rapporto di lavoro subordinato” automaticamente quel recesso potrebbe essere considerato illegittimo (nella forma e nella sostanza) con le conseguenze magari previste dall’art. 18 L. 300/70 e dall’art. 2 del D.Lgs. n. 23/2015 se il committente ha più di 15 dipendenti.

D’ora in avanti in presenza di un rapporto di lavoro autonomo potenzialmente etero-organizzato ed etero-diretto i committenti dovranno agire e porre in essere tutte le cautele come se si trovassero di fronte ad un rapporto di lavoro subordinato, adottando pertanto una duplicità di criteri di gestione (lavoro autonomo e subordinato) che certamente ingesserà la normale attività e la stessa normale gestione del rapporto medesimo. Il rischio di una applicazione a posteriori della normativa di riferimento del lavoro subordinato è oggi davvero altissimo.

Lo scenario non ci lascia molto confidenti. Per esperienza ormai l’incertezza normativa e applicativa non ha mai fatto bene né alle imprese né a lavoratori

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/lavoro-autonomo/quotidiano/2020/03/14/lavoro-autonomo-tutele-subordinato-comportera-aziende

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