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CIGO e assegno ordinario: a chi, come e quanto spetta

La richiesta di Cassa integrazione salariale ordinaria è possibile per tutti i lavoratori in forza alla data del 23 febbraio 2020. A sottolinearlo è la circolare INPS n. 47/2020 che afferma che tale requisito sussiste anche nella ipotesi di trasferimento di azienda e nel caso in cui i lavoratori passino alle dipendenze di altro datore di lavoro subentrato nell’appalto. Tra i destinatari rientrano anche i lavoratori intermittenti e i lavoratori a domicilio “mono commessa”. Si tratta quindi di un ambito di applicazione molto ampio stante la motivazione emergenziale dell’intervento e la natura speciale della norma che lo disciplina. Quali sono le altre novità previste dal decreto Cura Italia per la concessione della CIGO e dell’assegno ordinario?

La crisi sociale dovuta al micidiale effetto del Coronavirus che sta attanagliando il nostro Paese con gravissime ripercussioni sia sotto l’aspetto sanitario che sotto quello lavorativo sta spingendo, giustamente, l’Esecutivo a varare provvedimenti finalizzati ad attutire l’impatto pernicioso del COVID-19.

La riflessione che segue tratta le questioni legate alle misure di sostegno del reddito da lavoro approvate con il decreto Cura Italia (D.L. 17 marzo 2020, n. 18), che segue quelle già contenute nel D.L. n. 9/2020 che ha riguardato le “zone rosse” e “zone gialle” di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna: tale ultimo provvedimento viene, relativamente agli ammortizzatori, sostanzialmente, assorbito dal testo che si sta commentando, in quanto ora, ad essere interessato è tutto il Paese. Va, però, da subito precisato che nei territori appena citati le 9 settimane previste dal D.L. n. 18/2020 si sommano al mese riconosciuto dal precedente provvedimento.

Le norme in materia di integrazione salariale varate sono “speciali” rispetto alla normativa generale contenuta nel D.L.vo n. 148/2015: ciò significa che la normativa e le indicazioni amministrative fornite dall’INPS presentano una valenza che è strettamente correlata a tale imprevedibile situazione determinata dal COVID-19.

La riflessione che segue, oltre che esaminare i contenuti degli articoli che trattano le integrazioni salariali nel D.L. n. 18/2020, intende mettere in evidenza i chiarimenti amministrativi che l’INPS ha emanato con la circolare n. 47 del 28 marzo 2020 e con i messaggi n. 1287/2020 e n. 1321/2020.

Sono 4 gli ammortizzatori sociali che vengono introdotti o rivisti per affrontare la crisi del Coronavirus, oltre a quello specifico per l’agricoltura ove si fa riferimento alla CISOA: di conseguenza, appare necessario, procedere con un certo ordine, avendo, in ogni caso, l’avvertenza di sottolineare alcuni aspetti importanti che vanno tenuti presenti.

L’art 19 dispone che, per un lasso temporale non superiore alle 9 settimane, i datori di lavoro che, a causa delle crisi epidemiologica, sono costretti a sospendere o ridurre la propria attività, possono presentare istanza di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale o di accesso all’assegno ordinario per i loro dipendenti, indicando nell’istanza la causale “emergenza COVID-.19”. Quest’ultima può essere inserita in richieste di CIGO dal 23 febbraio 2020 fino al 31 agosto p.v.. Per le unità produttive di imprese collocate nelle ex “zone rosse” di Lombardia e Veneto (comuni di Codogno ed altri della Lombardia e Vò del Veneto) e per le imprese collocate fuori da detti territori per il personale residente o domiciliato in detti comuni, che hanno presentato richiesta di CIGO ai sensi dell’art. 13 del D.L. n. 9/2020, è possibile cumulare le precedenti 13 settimane con le 9 del D.L. n. 18/2020.

Va sottolineato come il requisito sia l’inserimento nella forza aziendale alla data del 23 febbraio, senza che possa essere di ostacolo la mancanza dell’anzianità di almeno 90 giorni nell’unità produttiva, richiesta dall’art. 1, comma 2, del D.L.vo n. 148/2015.

Qui occorre, a mio avviso, cercare di chiarire alcune questioni.

La prima riguarda l’ambito di applicazione.

L’accesso alla CIGO è possibile per i datori di lavoro, senza alcun limite dimensionale, appartenenti ai settori indicati dall’art. 10 del D.L.vo n. 148/2015, come sottolinea la circolare n. 47, e precisamente:

a) imprese manifatturiere, di trasporti, estrattive, di installazione di impianti, produzione e distribuzione dell’energia, acqua e gas;

b) cooperative di produzione e lavoro che svolgano attività lavorative similari a quelle degli operai delle imprese industriali, fatta eccezione delle cooperative ex DPR n. 602/1970, per le quali l’art. 1 del DPR non prevede la contribuzione per la CIG;

c) imprese dell’industria boschiva, forestale e del tabacco;

d) cooperative agricole, zootecniche e dei loro consorzi che esercitano attività di trasformazione, manipolazione e commercializzazione di prodotti agricoli propri per i soli dipendenti con contratto a tempo indeterminato;

e) imprese addette al noleggio e alla distribuzione dei film di sviluppo e stampa di pellicole cinematografiche;

f) imprese industriali per la frangitura delle olive per conto terzi;

g) imprese produttrici di calcestruzzo preconfezionato;

h) imprese addette agli impianti telefonici ed elettrici;

i) imprese addette all’armamento ferroviario;

j) imprese industriali degli Enti pubblici, salvo il caso in cui il capitale sia interamente di proprietà pubblica;

k) imprese industriali ed artigiane dell’edilizia e affini;

l) imprese industriali esercenti l’attività di escavazione e/o escavazione di materiale lapideo;

m) imprese artigiane che svolgono attività di escavazione e di lavorazione di materiali lapidei, con esclusione di quelle che svolgono talee attività di lavorazione in laboratori con strutture e organizzazione distinte dalle attività di escavazione.

Le aziende sopra indicate sono tenute, in via ordinaria, al pagamento del contributo per l’integrazione ordinaria, ben identificato dall’art. 13 del D.L.vo n. 148/2015 e precisamente:

a) 1,70% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per i dipendenti impiegati, operai ed apprendisti (con rapporto “professionalizzante”) delle imprese industriali che occupano fino a 50 dipendenti;

b) 2,00% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per i dipendenti già individuati sub a) delle imprese industriali che occupano più di 50 dipendenti;

c) 4,70% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per i dipendenti già individuati sub a) delle imprese industriali ed artigiane del settore edile;

d) 3,30% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per gli operai ed apprendisti professionalizzanti delle imprese dell’industria e artigianato lapidei;

e) 1,70% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per gli impiegati ed i quadri delle imprese dell’industria e dell’artigianato edile e lapidei che occupano fino a 50 dipendenti;

f) 2,00% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per i dipendenti già individuati sub a) delle imprese industriali che occupano più di 50 dipendenti;

La seconda concerne i destinatari dell’integrazione.

L’art. 19 dispone come la richiesta di integrazione salariale ordinaria sia possibile per tutti i lavoratori in forza alla data del 23 febbraio 2020: la circolare INPS n. 47 afferma che tale requisito sussiste anche nella ipotesi di trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c. e nel caso in cui i lavoratori passino alle dipendenze di altro datore di lavoro subentrato nell’appalto, atteso che vale anche il periodo in cui gli stessi sono stati impiegati presso il precedente appaltatore. Si tratta di un chiarimento importante, atteso che, nella ipotesi di un cambio di appalto realizzatosi il 1° marzo 2020, i dipendenti interessati sarebbero rimasti “fuori” dall’”ombrello protettivo” dell’ammortizzatore. Parlando di tutti i lavoratori in forza al 23 febbraio u.s. la disposizione dovrebbe ricomprendere anche i lavoratori a domicilio “mono commessa”, espressamente esclusi dall’art. 1, comma 1, del D.L.vo n. 148/2015.

Per quel che concerne l’integrazione salariale dei lavoratori intermittenti credo che gli stessi, in forza alla data sopraindicata, possano rientrarci alla condizione esplicitata nella circolare INPS n. 41/2006 laddove si afferma che la retribuzione persa a seguito di sospensione o riduzione di orario può essere integrata nell’ipotesi in cui il lavoratore abbia risposto alla chiamata prima del verificarsi della causa per la quale sono state richieste le integrazioni salariali.

La terza riguarda l’assegno ordinario.

Esso è previsto per i dipendenti dei datori di lavoro che sono destinatari delle provvidenze dei Fondi di solidarietà bilaterali, previsti dall’art. 26 e 27 del D.L.vo n. 148/2015 e del Fondo di Integrazione Salariale (FIS) con i limiti in esso indicati. Va tuttavia segnalato che, limitatamente all’anno 2020 non trova applicazione per il FIS la limitazione prevista dall’art. 29, comma 4, laddove alla luce dell’equilibrio di bilancio si afferma che le prestazioni erogate “sono determinate in misura non superiore a dieci volte l’ammontare dei contributi ordinari dovuti dal datore di lavoro, tenuto conto delle prestazioni già deliberate a qualunque titolo a favore dello stesso”.

Le istanze che sono indirizzate ai Fondi bilaterali di categoria dovrebbero essere accolte nei limiti dei tetti aziendali previsti dai regolamenti di detti Fondi.

Ma, come si calcolano l’assegno di integrazione salariale e quello ordinario e quali sono gli importi massimi attuali?

La misura del trattamento integrativo è pari all’80% della retribuzione globale che sarebbe spettata per le ore non prestate comprese tra zero ore ed il limite orario contrattuale. Le modalità di quantificazione dell’ammontare del trattamento integrativo in relazione alla dislocazione oraria della prestazione ed alle modalità di erogazione della retribuzione, ivi comprese le indennità accessorie rispetto alla retribuzione base, sono sempre le stesse.

La misura del trattamento è soggetta agli stessi obblighi contributivi già esistenti come l’art. 26 della legge n. 41/1986 che prevede una riduzione dell’ammontare del trattamento pari al 5,84%. L’ammontare massimo dell’integrazione salariale non può superare i “massimali” ex lege n. 427/1980.

Questi sono, per il 2020 (circolare INPS n. 20 del 10 febbraio 2020), gli importi massimi mensili, rapportati alle ore autorizzate e per un massimo di 12 mensilità, comprensive dei ratei delle mensilità aggiuntive:

a) 998,181 euro allorquando la retribuzione mensile di riferimento comprensiva dei ratei delle mensilità aggiuntive è pari od inferiore a 2.159,48 euro: essi, al netto, sono 939,89 euro;

b) 1.199,72 euro nei casi in cui la retribuzione mensile di riferimento, anch’essa comprensiva dei ratei delle mensilità aggiuntive è superiore a 2.159,48 euro: al netto la somma è pari a 1.129,66.

Le somme sopra riportate (comma 10) sono incrementate del 20% per i trattamenti concessi in favore delle imprese edili e lapidee a causa di intemperie stagionali e per il 2020 sono:

a) 1.197,82 euro che, al netto, diventano 1.127,87 allorquando la retribuzione mensile di riferimento comprensiva dei ratei delle mensilità aggiuntive è pari od inferiore a 2.159,84 euro;

b) 1439,66 euro che, al netto, diventano 1.355,58 nei casi in cui la retribuzione mensile di riferimento, anch’essa comprensiva dei ratei delle mensilità aggiuntive è superiore a 2.159,48 euro.

L’integrazione salariale sostituisce l’indennità giornaliera di malattia e la eventuale integrazione prevista dal contratto (art. 3, comma 7 del D.L.vo n. 148/2015) e non è dovuta nelle ipotesi di festività non retribuite e di assenze senza diritto alla retribuzione (comma 8): ai lavoratori interessati spettano, in rapporto al periodo di paga adottato ed alle stesse condizioni dei lavoratori ad orario normale, gli assegni familiari (comma 9).

A tal proposito la circolare n. 197/2015 dell’INPS chiarisce che se lo stato di malattia insorge durante l’intervento integrativo concesso a zero ore, il lavoratore continua a godere del trattamento integrativo: l’attività è totalmente sospesa ed il lavoratore non deve neanche comunicare il proprio stato di malattia.

Se lo stato di malattia è antecedente l’inizio della sospensione si possono verificare due ipotesi: se tutto il personale va in CIGO anche il lavoratore in malattia entra nel trattamento ordinario dalla data di inizio dello stesso; se, invece, la sospensione non riguarda tutto il personale dell’unità produttiva il lavoratore continua a beneficiare dell’indennità di malattia, se previsto dalla legislazione vigente.

Ma, tornando, dopo questa breve parentesi, a parlare degli ammortizzatori ordinari ex art. 19 del D.L. n. 18/2020, si evince che la specialità della norma traspare dal fatto che una serie di documenti e passaggi procedurali che, in via ordinaria, sono richiesti, non trovano applicazione. Mi riferisco:

a) all’art. 14: qui la circolare n. 47 sottolinea come le imprese non siano tenute al rispetto della previsione contenuta nel comma 6, relativa alla esecuzione degli adempimenti previsti: ciò significa che l’informazione, la consultazione e l’esame congiunto, svolto con le organizzazioni sindacali, anche in via telematica che va effettuato entro 3 giorni dalla comunicazione, rimane un fatto “interno” e non necessita di alcuna allegazione. Vengono meno, altresì, meno alcune puntuali indicazioni amministrative fornite dall’Istituto, in particolar modo, con la circolare n. 139/2016. La causale “COVID-19 nazionale” è qualificabile, in modo palese, come “oggettivamente non evitabile”;

b) all’art. 15, comma 2 e 30, comma 2: non c’è più l’obbligo di presentare l’istanza di concessione del trattamento ordinario (integrazione o assegno) entro i 15 giorni successivi all’inizio della sospensione o della riduzione di orario per la CIGO o non prima di 30 giorni dall’inizio della sospensione o riduzione dell’attività programmata e non oltre i “canonici” 15 giorni dall’inizio della stessa (assegno ordinario).

Ma, allora, entro quale termine va presentata la domanda?

Il termine ultimo entro cui va inoltrata l’istanza è alla fine del quarto mese successivo a quello in cui ha avuto inizio la sospensione o la riduzione dell’attività lavorativa. Il periodo intercorrente tra il 23 febbraio e la data di pubblicazione del messaggio n. 1321/2020 (23 marzo 2020) viene, ai fini della presentazione dell’istanza, “neutralizzato”: così ha disposto la circolare n. 47.

Da ciò discende che, trattandosi di una causale unica per tutti (COVID-19), non risulta necessaria la usuale relazione tecnica di accompagnamento.

Alcune delucidazioni, a mio avviso, si rendono necessarie per la compilazione della domanda di CIGO o di FIS.

Essa va compilata per ciascuna unità produttiva, per cui se l’impresa ne ha più di una, ne deve compilare un numero uguale: ciò è determinato dal fatto che il sistema richiamato che è quello “ordinario” postula un controllo sull’uso complessivo dell’ammortizzatore, riferito alla singola unità produttiva, per 24 o 36 mesi in relazione al biennio o al quinquennio mobile. Per ciascuna unità produttiva va identificata sia la generalità delle tipologie contrattuali che quella degli apprendisti coinvolti, con la possibilità di sommare per ogni unità produttiva le ore di tutti i rapporti di lavoro.

L’istruttoria, ricorda la circolare n. 47/2020, tenuto conto della causale, si caratterizza come estremamente celere, atteso che le imprese non debbono fornire alcuna prova in ordine alla transitorietà dell’evento, né alla non imputabilità dell’evento. Tra le altre cose, si ricorda come il fatto di non aver fruito delle ferie maturate non sia di ostacolo all’accoglimento delle istanze sia di CIGO che di FIS alla luce di quanto già detto dall’Istituto con il messaggio n. 3777 del 18 ottobre 2019.

I periodi di integrazione salariale sono “neutri” in modo tale da non essere conteggiati a fronte di future richieste. Da ciò discende che anche quei datori di lavoro che avessero superato il plafond massimo previsto, per la CIGO o per l’assegno ordinario possono accedere all’ammortizzatore. Di conseguenza si può affermare che:

a) la durata massima complessiva può superare i 24 mesi di un quinquennio mobile (art. 4, comma 1) - con le ovvie eccezioni, in caso di utilizzazione del contratto di solidarietà difensiva nel primo biennio di “godimento” che già consentono di arrivare a 36 mesi -.ed i 30 mesi (sempre nel quinquennio mobile) nelle imprese industriali ed artigiane dell’edilizia ed affini, di quelle industriali esercenti l’attività di escavazione e/o lavorazione di materiale lapideo (art. 4, comma 2);

b) la durata massima può andare in deroga a tutte le previsioni (e le eccezioni) previste dall’art. 12, ivi compresa quella indicata dal comma 4 con la quale si stabilisce che “non possono essere autorizzate ore di integrazione salariale ordinaria eccedenti il limite di 1/3 delle ore ordinarie lavorabili nel biennio mobile, con riferimento a tutti i lavoratori dell’unità produttiva mediamente occupati nel semestre precedente la domanda di concessione dell’integrazione salariale”: tale previsione è stata già esclusa, in via amministrativa dalla circolare n. 38 dell’INPS, emanata dopo la pubblicazione del D.L. n. 9/2020, per le integrazioni salariali nelle “zone rosse” e “zone gialle” della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia-Romagna;

c) anche il comma 3 dell’art. 29 che prevede la durata massima delle prestazioni attraverso il Fondo di solidarietà (26 settimane in un biennio mobile in materia di integrazioni salariali straordinarie) può essere “sforato”.

d) la durata massima prevista per l’assegno ordinario nelle varie ipotesi dall’art. 30, comma 1, può essere superata;

e) le durate massime previste, in via riepilogativa, per i Fondi di solidarietà, dall’art. 39 possono essere superate.

L’integrazione salariale ordinaria per Coronavirus non è soggetta, inoltre, al pagamento di alcun contributo addizionale: la stessa cosa si può dire anche nelle forme di interventi previste sia dai Fondi di categoria che dal FIS.

Un chiarimento molto importante la circolare INPS n. 47/2020 lo riserva al caso in cui un datore di lavoro abbia in corso una integrazione salariale o un assegno ordinario con una delle causali previste dall’art. 11 (ad esempio, carenza di commesse) o abbia presentato una istanza di concessione non ancora autorizzata: ebbene, può essere richiesta l’integrazione con la causale “COVID-19 nazionale” per il periodo compreso tra il 23 febbraio ed 31 agosto 2020 per un massimo di 9 settimane, con la neutralizzazione del periodo e il non pagamento del contributo addizionale.

Gli oneri finanziari relativi alle prestazioni dei Fondi sono a carico del bilancio statale nel limite di 80 milioni di euro per l’anno in corso e sono trasferiti ai predetti Fondi con Decreto “concertato” tra i Ministri dell’Economia e del Lavoro.

I Fondi bilaterali del Trentino e dell’Alto Adige costituiti ex art. 40 del D.L.vo n. 148/2015 garantiscono la corresponsione dell’assegno ordinario con le modalità indicate dall’art. 19.

L’assegno ordinario viene corrisposto ai lavoratori dipendenti, in forza alla data del 23 febbraio 2020 e fino al 30 agosto, iscritti al FIS e che occupano, mediamente, più di 5 dipendenti.

Le modalità di pagamento delle indennità sono quelle usuali (pagamento da parte del datore di lavoro e successivo conguaglio): tuttavia, tenuto conto della eccezionalità è possibile chiedere il “pagamento diretto” da parte dell’INPS, unitamente al pagamento degli assegni familiari, se dovuti, su istanza del datore di lavoro, senza la produzione di alcuna documentazione di sofferenza economica: si tratta, come si vede, di una procedura accelerata ben diversa, da quella prevista, in via ordinaria, dall’art. 7, comma 4, del D.L.vo n. 148/2015.

Due parole di chiarimento, a mio avviso, si rendono necessarie per il calcolo della media superiore alle 5 unità.

La rilevazione va effettuata sulla forza aziendale complessiva relativa al semestre precedente la richiesta di integrazione salariale: nel computo, che va fatto per tutti i 6 mesi antecedenti, anche per quelli ove il numero dei dipendenti risulti minore alle 6 unità, rientrano i lavoratori subordinati a tempo indeterminato, quelli a termine, i dirigenti, gli apprendisti, i lavoratori a domicilio, quelli intermittenti in proporzione all’orario svolto nell’ultimo semestre (art. 18 del D.L.vo n. 81/2015), i telelavoratori, i dipendenti distaccati, mentre i part-time vanno calcolati “pro-quota” (art. 9 del D.L.vo n. 81/2015) ed i sostituti di un lavoratore assente avente diritto alla conservazione del posto “contano” solo nel caso in cui non sia stato preso in considerazione il “titolare del posto”. E’ appena il caso di precisare che non vi rientrano i rapporti di collaborazione, anche occasionale (art. 2 del D.L.vo n. 81/2015, art. 409, n. 3, cpc e art. 2222 c.c.) gli stage, i tirocini e le c.d. “borse lavoro” che non configurano alcun rapporto di lavoro subordinato.

Un chiarimento si rende necessario per il calcolo delle 9 settimane: resta, pienamente valida la circolare INPS n. 58 del 20 aprile 2009, in base alla quale si computano le singole giornate di sospensione dal lavoro e si considera usufruita una settimana di CIGO soltanto nel caso in cui la contrazione dell’orario abbia interessato 6 giorni (5, in caso di settimana corta): da ciò ne consegue che il numero delle settimane effettivamente fruite nasce dalla somma dei singoli giorni.

Tutte le misure previste sia per la CIGO che per le prestazioni erogate dal FIS o dai Fondi settoriali sono riconosciute nel limite massimo di spesa pari a 1.347,1 milioni di euro per il 2020: l’INPS deve monitorare continuamente la spesa e, qualora, sia pure in via prospettica, il tetto venga raggiunto, l’Istituto deve bloccare le ulteriori istanze. Alla copertura degli oneri si provvede ai sensi dell’art. 126.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/04/02/cigo-assegno-ordinario-chi-spetta

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