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Il dopo COVID-19 nell’organizzazione delle imprese. Una partita da vincere. Come?

Cassa integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga. E’ la soluzione del legislatore per aiutare le imprese a superare le difficoltà finanziarie dovute alla sospensione o alla riduzione dell’attività produttiva a causa del Coronavirus. Se è vero che gli ammortizzatori sociali sono importanti, è la liquidità che aiuta e accompagna in modo concreto i processi di riorganizzazione aziendale. Per scongiurare e contenere l’impatto della recessione, che è ormai alle porte, le imprese dovranno mettere in atto azioni mirate, specifiche e strutturali di natura organizzativa e gestionale. Una nuova partita che coinvolge a tutti i livelli e in tutti i settori le organizzazioni sindacali e la contrattazione di secondo livello. Le aziende e i manager sono pronti?

Difficile fare previsioni sullo scenario che ci si presenterà quando sarà finita l’emergenza ma in questa fase, a quasi 60 giorni dalle prime chiusure e con la prospettiva di blocco ancora per alcune settimane, possiamo fare un’analisi fondata sui primi dati e le prime proiezioni disponibili. Dati non certo confortanti ma che impongono una riflessione attenta sugli strumenti organizzativi messi in campo nell’emergenza e sulle misure che dovranno essere adottate man mano che verrà avviata la ripresa.

Innanzitutto una prima riflessione sugli ammortizzatori sociali. Come sappiamo, il decreto Cura Italia (e prima di esso il decreto emanato per la zona rossa) ha previsto l’applicazione su tutto il territorio nazionale e per tutti i settori di tre strumenti: la cassa integrazione ordinaria, quella straordinaria e una cassa integrazione in deroga. Tutti e tre questi strumenti sono accomunati dalla durata – 9 settimane – e dai presupposti generali di applicazione – tutto il personale in forza alla data del 23 febbraio 2020 (ma anche quello assunto successivamente e fino al 17 marzo 2020 in base all’ultimo decreto Liquidità) – con l’obiettivo di creare le premesse per assicurare sostegno economico in tutti i settori (ad eccezione del lavoro domestico) e, laddove prevista la continuità delle attività, garantendo al contempo l’adozione di meccanismi di rotazione che assicurino la presenza nelle aziende nel rispetto dei fondamentali protocolli di sicurezza.

Tuttavia da subito gli strumenti messi in campo hanno manifestato alcune oggettive difficoltà. In primo luogo, si è dovuto dare corso a procedure semplificate di avvio e di istruttoria della domanda con transito verso il trattamento ordinario COVID-19 anche delle aziende già interessate da trattamenti di integrazione salariale straordinaria e prevedere per tutti gli strumenti messi in campo il meccanismo di anticipo diretto di tutti i pagamenti – con il non semplice coinvolgimento delle banche – non potendo richiedere ai datori di lavoro già in affanno di procedere anche all’anticipo dei trattamenti. In secondo luogo, non si è minimamente tenuto conto delle difficoltà di gestione della Cassa in deroga sulla cui complessità si è dovuti intervenire – come era prevedibile – in corsa, con gli immaginabili risvolti pratici: dalla applicazione – non necessaria nelle piccole imprese per fortuna - dello strumento dell’accordo sindacale (ancorché telematico) all’attesa dei provvedimenti regionali che frammenta la procedura. Difficoltà solo parzialmente attenuate dalla previsione della presentazione di un’unica istanza per le aziende con unità produttive ubicate in cinque o più Regioni. Ma le difficoltà sono solo all’inizio, perché con la grande quantità di piccole e micro-imprese presenti in Italia i pagamenti potrebbero realisticamente subire importanti ritardi rendendo oltremodo difficoltosa la ripresa per quelle piccole e piccolissime realtà che già oggi hanno problemi di liquidità che peraltro il nuovo decreto “Liquidità” non pare ad una prima analisi risolvere. Con le prevedibili ripercussioni sulla tenuta stessa di queste realtà economiche che tra l’altro, con la ripresa – auspicata e auspicabile – della loro attività dovranno affrontare importanti riorganizzazioni per dare seguito ai protocolli di sicurezza anti-contagio che ci accompagneranno ancora per molti mesi.

E qui arriviamo alla riflessione sul dopo. La Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro con una indagine condotta sui consulenti del lavoro ha stimato che più del 75% della forza lavoro delle aziende private è interessato dagli ammortizzatori sociali messi in campo per l’emergenza. L’OIL per parte sua ha stimato (COVID-19 and World of Work: Impact and Responses) che a livello mondiale le misure di emergenza e le chiusure forzate produrranno i propri effetti non solo sulla quantità di lavoro ma necessariamente anche sui guadagni delle famiglie e sui consumi finendo poi per aprire – quasi sicuramente – ad un periodo di recessione che sul piano del lavoro coinvolgerà ancora una volta e in modo più diretto e strutturale sempre le medesime categorie di lavoratori quali giovani, ultracinquantenni, immigrati, donne e categorie protette.

Gli ammortizzatori sociali sono importanti, ma è la liquidità quella che aiuta e accompagna in modo concreto i processi di riorganizzazione. Perché proprio per scongiurare e se possibile contenere l’impatto della recessione alle porte sarà necessario mettere in atto azioni mirate, specifiche e strutturali di natura organizzativa e gestionale dirette al mantenimento in vita delle attività e, conseguentemente, al mantenimento della forza lavoro.

Diversi sono gli strumenti che potranno essere adottati e da questo punto di vista il dialogo sindacale e la condivisione degli obiettivi con le organizzazioni sindacali nella forma degli accordi aziendali anche di prossimità sarà di ausilio per l’applicazione degli strumenti tradizionali di gestione del rapporto di lavoro e anche per la sperimentazione di quelli nuovi. Si può pensare ad esempio all’introduzione di meccanismi di rotazione del personale diretti ad assicurare il rispetto delle nuove prescrizioni di sicurezza in materia di rischio biologico legato al virus, facendo appello alla regolazione – condivisa – di tutti gli strumenti di flessibilità a disposizione, dal lavoro a termine o in somministrazione al lavoro parasubordinato fino al part-time e al lavoro intermittente. Ma anche la gestione attenta e consapevole dell’orario di lavoro nello sforzo di assicurare – soprattutto nel settore terziario - turnazioni e orari di apertura al pubblico tali da garantire l’accesso contingentato – e sicuro – alla clientela. Si pensi ai bar e ristoranti, ai parrucchieri, estetiste e centri benessere, ma anche alle palestre o anche semplicemente ai negozi e ai centri commerciali. Per non parlare dell’adozione strutturale di strumenti di innovazione tecnologica sperimentati durante l’emergenza per garantire la continuità di alcune attività, ma sempre più essenziali in futuro.

Si apre oggi una nuova sfida per le relazioni industriali, una partita che mai come oggi coinvolge a tutti i livelli e in tutti i settori le organizzazioni sindacali. Anzi proprio in questo particolare momento storico gli attori sindacali possono fare della contrattazione di secondo livello la fonte più autorevole per accompagnare la nuova organizzazione dell’impresa, oltre la sola sfida della robotica e dell’innovazione tecnologica ma con l’obiettivo di cogliere da questa tremenda esperienza e in chiave creativa lo stimolo per la rinascita.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/04/18/covid-19-organizzazione-imprese-partita-vincere-come

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