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Cassa integrazione per COVID-19: come calcolare le 9 settimane di trattamento massimo

Le 9 settimane di integrazione salariale concesse con la causale COVID-19 riguardano l’unità produttiva e non i singoli lavoratori. A stabilirlo sono le regole generali, non espressamente derogate dal decreto Cura Italia. Ciò ha una conseguenza ben precisa: se il datore di lavoro mette in integrazione salariale un solo lavoratore (e gli altri no) per una settimana (anche per poche ore al giorno) “brucia”, ai fini del computo della durata massima di integrazione salariale concedibile, l’intera settimana. Cosa può fare allora l’impresa che ha inserito nella domanda solo una parte dei lavoratori?

La causale COVID-19 ha introdotto nel nostro ordinamento una integrazione salariale speciale destinata a “coprire” tutti i lavoratori in forza presso i datori di lavoro italiani alla data del 23 febbraio 2020 (ora, 17 marzo per effetto dell’art. 41 del D.L. n. 23/2020) per un massimo di 9 settimane nel periodo compreso tra il 23 febbraio ed il prossimo 31 agosto.

Da più parti è stata sostenuta una interpretazione finalizzata al computo delle settimane di integrazione salariale, attivabile attraverso vari strumenti, a seconda dei casi, come la Cassa integrazione guadagni ordinaria (CIGO), il Fondo di integrazione salariale (FIS), la CIG in deroga, la Cassa integrazione salariale operai dell'agricoltura (CISOA) o i Fondi bilaterali alternativi, come riferita ai singoli lavoratori e non all’unità produttiva ove gli stessi fanno capo e per la quale è stata presentata la richiesta.

La questione, a mio avviso, deve essere, invece, risolta tenendo conto delle regole generali e delle deroghe al D.Lgs. n. 148/2015 esplicitamente previste all’interno dei D.L. n. 9/2020 e, soprattutto, nel decreto Cura Italia (D.L. n. 18/2020).

Ebbene, a me sembra che, mentre deroghe particolari sono state, ad esempio, previste per il contributo addizionale, per i 90 giorni di anzianità aziendale o, per la “neutralizzazione” del periodo, non ce ne sia stata alcuna al principio di collegamento dell’ammortizzatore sociale con l’unità produttiva: di conseguenza, sempre da essa occorre far riferimento.

La questione non è, affatto, secondaria e trova una soluzione nella interpretazione del concetto di “settimana di fruizione”, ben esplicitato nella circolare INPS n. 58 del 20 aprile 2009 emanata, su indicazione pressante del Ministero del Lavoro, per attutire gli effetti della lunga crisi del 2008.

Ebbene, mutando un precedente indirizzo, l’Istituto stabilì che per considerare fruita una settimana occorre considerare le singole giornate con richiesta integrativa seppur dislocate in un arco temporale più lungo: la conseguenza di tale assunto è che, sempre rapportata all’unità produttiva, si considera “goduta” una settimana se l’azienda ha usufruito della Cassa per 5 o 6 giornate, a seconda che l’orario si riferisca ad una settimana “corta” o “lunga”.

Questo principio, che ha consentito ai datori di lavoro di fruire di una certa dose di flessibilità, fa sì che le 9 settimane di integrazione salariale per COVID-19, riguardano l’unità produttiva e non i singoli lavoratori. Ciò ha una conseguenza ben precisa: è il datore di lavoro che individua il numero e le qualifiche del personale per il quale chiedere l’intervento integrativo, sia ad orario ridotto che a zero ore.

Da quanto appena detto discende una precisa correlazione, chiaramente visibile, con un esempio.

Se il datore di lavoro mette in integrazione salariale un solo lavoratore (e gli altri no) per una settimana (anche per poche ore al giorno) “brucia”, ai fini del computo l’intera settimana

L’Istituto ha reso disponibile un foglio Excel mediante il quale l’impresa, calcolando il numero delle giornate di fruizione, può facilmente verificare se, al termine della integrazione salariale, ha ancora capienza all’interno delle 9 settimane complessive.

In questo periodo in cui la crisi ha provocato gli effetti più disparati, può essere accaduto che l’impresa abbia inserito nella istanza di integrazione salariale per un certo periodo (il limite massimo è, sottolineo, rappresentato dalle 9 settimane) una parte dei lavoratori “dimenticando” di inserirne altri, perché, ad esempio, in ferie: ebbene, se ha raggiunto il tetto massimo per l’unità produttiva considerata, perde il diritto ad usufruire dell’ammortizzatore ma può, in ultima analisi, cosa consentita, procedere ad integrare la domanda iniziale.

Del resto, tale ultima ipotesi è possibile per i lavoratori assunti tra il 24 febbraio ed il 17 marzo 2020, in un primo tempo esclusi ma ora reinseriti per effetto dell’art. 41 del D.L. n. 23/2020 come sarà possibile, una volta convertito in legge il D.L. n. 18/2020, inserire lavoratori a termine il cui contratto è stato, in costanza di integrazione salariale, prorogato o rinnovato, così come prevede l’art. 19-bis, inserito con un emendamento durante il dibattito in Senato, che fornisce una interpretazione autentica ad alcune disposizioni del D.L.vo n. 81/2015 per il periodo della crisi epidemiologica determinata dal coronavirus. Ovviamente, non essendo, al momento, intervenute altre modifiche, la proroga o il rinnovo (anche senza il rispetto dello “stop and go”) di contratti a tempo determinato in essere potranno avvenire secondo le condizioni stabilite dal “Decreto Dignità” con l’inserimento della causale, laddove richiesta, ed il pagamento del contributo addizionale dello 0,5%, se previsto, cosa che, ad esempio, non accade se il rinnovo è determinato da ragioni sostitutive.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/04/28/cassa-integrazione-covid-19-calcolare-9-settimane-trattamento-massimo

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