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Coronavirus, dalla malattia alla politica lo scontro a tutto campo tra Usa e Cina

Anche l’assemblea annuale dell’Oms (lunedì) è finita dentro il confronto geopolitico delle due superpotenze. E giovedì a Pechino Xi Jinping va in Parlamento: annuncerà la fine dell’emergenza?

E arrivò il giorno dell’assemblea annuale Oms. Che è diventata, ormai, il nuovo terreno di scontro geopolitico tra gli Stati Uniti e la Cina. Donald Trump ha già tagliato i fondi che gli Usa versavano all’Organizzazione, accusata di essere prona al volere di Pechino. Xi Jinping non si è esposto direttamente (qualche problema ce l’ha anche in patria), ma dalla Città Proibita replicano alla Casa Bianca con gli stessi toni usati da Washington per denunciare le responsabilità cinesi nella diffusione del Covid-19. Il clima è da guerra fredda, e l’Organizzazione mondiale della sanità non ci è finita in mezzo per caso. Il minimo che si possa dire è che non abbia gestito l’esplosione della pandemia come sarebbe stato lecito attendersi. Perciò sì, oggi e domani i Paesi membri dell’Organizzazione discuteranno (in video conferenza) di sanità mondiale ai tempi del virus, ma gli schieramenti saranno più politici che scientifici. Restano troppe ombre su quel che è successo (e succede) in Cina. E troppi sono, ancora, gli interrogativi lasciati aperti dai rapporti tra Pechino e Tedros Adhanom Ghebreyesus, il direttore generale Oms eletto a suo tempo proprio con l’appoggio cinese e dopo l’intensa campagna dell’Unione africana guidata, allora, dal dittatore dello Zimbabwe Robert Mugabe.

Ennesima riunione dell’Ecofin dedicata all’aggiornamento sulle misure anti-Covid. Non è il caso di attendersi decisioni operative, per esempio sul Recovery Fund: semplicemente “i ministri procederanno – informa l’ordine del giorno ufficiale - a uno scambio di opinioni sui progressi compiuti in merito alle misure di risposta adottate dall’Unione, la presidenza croata informerà sullo stato di avanzamento del regolamento sul sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione (il Sure), si farà il punto sulle discussioni in corso per rendere operativa la rete di sicurezza per le imprese tramite il fondo di garanzia paneuropeo della Bei”. Per qualcosa di concreto occorrerà aspettare giugno.

Già a marzo il crollo aveva superato il 50%. Aprile è stato un disastro assoluto: in molti dei principali mercati europei le vendite di auto si sono sostanzialmente azzerate. Perciò alcuni Paesi, a partire dalla Francia, hanno immediatamente varato piani di aiuto. Altri, a partire dall’Italia, continuano a ignorare gli appelli dell’intera filiera automotive, come non fosse – con il suo effetto moltiplicatore - uno degli assi portanti di Pil, esportazioni, occupazione, entrate fiscali. Nemmeno l’Unione europea, però, si è posta il problema. E allora costruttori, componentisti, produttori di pneumatici, rappresentanti dei concessionari e delle officine hanno unito le forze anche a livello comunitario e hanno spedito l’ennesimo appello alla Ue. Non è solo un grido d’allarme, questa volta la lettera contiene un piano d’azione congiunto con 25 “raccomandazioni”. Nessuna risposta, finora. Forse oggi, quando l’Acea comunicherà i dati di vendita di aprile in tutta l’Unione e confermerà che stiamo attorno allo zero, qualcuno si riscuoterà almeno a Bruxelles.

Il 30 aprile, in assemblea, l’amministratore delegato Philippe Donnet non ha azzardato stime per il 2020. Si è limitato a osservare che anche Generali “sarà sotto pressione, perché il nuovo business sta rallentando”. Quanto e come lo dirà oggi, nel corso della conference call che segue di ventiquattr’ore il consiglio sulla trimestrale. Fin qui si è mostrato comunque fiducioso: “Siamo di fronte a scenari complessi e per molti versi inediti, ma manterremo i nostri obiettivi per il 2021”.

Ricomparirà sui radar tra oggi e domani. E per provare a dimostrare che Pechino non ha niente da nascondere, alla Conferenza consultiva politica del popolo cinese (si apre oggi) e al Congresso nazionale del popolo (avvio domani) Xi Jinping ha prevedibilmente confermato gli inviti agli ambasciatori esteri a Pechino. Limitazioni strette – un solo rappresentante per ambasciata, test Covid, obbligo di permanenza alla Diaoyutai State Guesthouse – ma nulla rispetto al drastico taglio delle presenze stampa: alle due assemblee che segnano l’evento politico ed economico più importante dell’anno, e che di solito si tiene in marzo, saranno ammesse poche centinaia di giornalisti rispetto ai tremila, più o meno, dell’era pre-virus. Anche se, o esattamente perché, nelle intenzioni della regia politico-propagandista dovrebbe essere proprio l’annuncio della (supposta) “vittoria” nella guerra contro il Covid-19 a dominare la scena.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/impresa/finanza/quotidiano/2020/05/16/coronavirus-malattia-politica-scontro-campo-usa-cina

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