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Contagio COVID sul lavoro indennizzato dall’INAIL a condizione che sussistano le prove

Il riconoscimento dell’origine professionale del contagio non è in alcun modo correlato con i profili di responsabilità civile e penale del datore di lavoro nel contagio stesso. Tale responsabilità è infatti ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali. E’ quanto ha chiarito l’INAIL nella circolare n. 22 del 2020 che fornisce chiarimenti in merito alla tutela infortunistica applicabile ai lavoratori in caso di contagio avvenuto nei luoghi di lavoro.

Non è responsabile il datore di lavoro del contagio al proprio dipendente, se ha adottato ogni misura prevista dai protocolli divulgati per la sicurezza. In ogni caso, si tratterebbe di infortunio indennizzabile a condizione però che sussista la prova che il virus sia conseguito all’ambiente di lavoro.

Con la circolare n. 22 del 20 maggio 2020 l’INAIL interviene nuovamente in tema di responsabilità del datore di lavoro per infortunio conseguito alla infezione da Covid – 19 e di corretta interpretazione dell’art. 42 del DL “Cura Italia”, così come convertito nella legge n. 27 del 24 aprile scorso.

La circolare sostanzialmente ribadisce precedenti interventi dell’Istituto – ultimo in ordine di tempo la circolare n. 13 del 3 aprile e il comunicato del 15 maggio scorsi – e potrebbe, forse, dirsi superfluo, se la sua opportunità non fosse dettata da alcuni recenti allarmismi sul tema.

In buona sostanza, l’INAIL ribadisce che, fatta eccezione per alcune categorie di lavoratori (personale medico-sanitario, personale addetto ad attività di front office, in sintesi) non esiste una presunzione - che in ogni caso sarebbe comunque vincibile con prova contraria - di riconducibilità causale della contrazione dell’infezione al luogo di lavoro.

Ed in effetti, a ben vedere, la natura pandemica del Covid-19, ossia la sua diffusione in ogni luogo sul territorio, anche intuitivamente, non consente in via generale di presumerne l’origine professionale.

L’Istituto precisa sul punto che anche quando risultasse che il virus è stato in concreto ed effettivamente contratto in ambito lavorativo e fosse così possibile qualificare l’infezione come infortunio sul lavoro, discenderebbe soltanto l’indennizzabilità dell’evento da parte dell’INAIL medesimo.

Secondo principi noti, validi sempre ed anche in questo caso, l’infortunato, per ottenere l’indennizzo, è tenuto a provare l’occasione della contrazione dell’infezione.

Con il documento di prassi, l’INAIL conferma che, in simili ipotesi, la copertura assicurativa in favore del lavoratore riguarda anche il periodo di assenza dal lavoro per la “quarantena”.

In tale contesto, l’art. 42 del D.L. Cura Italia aveva già previsto, in deroga ai principi generali, che gli infortuni derivanti da Covid-19 non rilevano ai fini dell’andamento aziendale, ossia in relazione all’incremento del tasso di premio di assicurazione obbligatoria.

Con riferimento alla responsabilità civile e penale del datore di lavoro, l’INAIL ha precisato che può sussistere soltanto quando sia accertata la sua colpa nel verificarsi dell’‘infortunio.

Ne consegue così che in concreto, occorre che la contrazione da parte del dipendente del Covid-19, non solo sia effettivamente avvenuta in occasione di lavoro, ma sia anche imputabile al datore di lavoro.

In proposito, peraltro la circolare n. 22 precisa che in ogni caso “il riconoscimento del diritto alle prestazioni da parte dell’Istituto (in favore dell’infortunato) non può assumere rilievo per sostenere l’accusa in sede penale”, tanto meno in sede civile nei confronti del datore di lavoro.

Solo nell’ipotesi in cui sia dimostrata una effettiva responsabilità del datore di lavoro, l’INAIL ha titolo per pretendere il rimborso di quanto erogato al lavoratore infortunato.

Peraltro, il dipendente potrebbe agire per ottenere un ulteriore risarcimento del danno (rispetto a quanto ricevuto dall’INAIL) nei confronti del proprio datore di lavoro. Egli, quindi, in propria difesa, potrà dimostrare di avere attuato quanto possibile per scongiurare l’infortunio (art. 2087 cod. civ.).

Una recente sentenza della Suprema Corte (n. 3282/2020) ha affermato che il datore di lavoro non risponde per responsabilità oggettiva ma solo per “difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore”

La circolare n. 22 ha così concluso che l’imprenditore non è, in generale e con riferimento all’infezione pandemica in particolare, tenuto ad assicurare “il rischio zero” e pertanto il difetto di diligenza del datore di lavoro deve ritenersi senz’altro esclusa quando egli abbia concretamente adempiuto alle misure di prevenzione, protezione individuale, formazione ed informazione del personale, alla sorveglianza sanitaria speciale nei confronti dei lavoratori di età a rischio o con patologie sensibili, ecc. poste con i notissimi Protocolli condivisi in tema di sicurezza Covid-19 (del 14 marzo e del 24 aprile 2020).

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/05/21/contagio-covid-lavoro-indennizzato-inail-condizione-sussistano-prove

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