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Decreto Rilancio e Piano Colao: lo smart working diventa “diritto genitoriale”

Il decreto Rilancio e il Piano Colao spingono ulteriormente verso l'utilizzazione dello smart working, sia nel settore pubblico che nel settore privato. Nella fase della ripartenza economica si coniugano così le esigenze dell'organizzazione del datore di lavoro con quella di conciliazione vita-lavoro, in particolar modo per i lavoratori con figli under 14. E’ vero, oggi siamo ancora di fronte ad uno smart working “emergenziale” per il quale vale la regola di fondo che il lavoro nella sede fisica dell'azienda deve rimanere una eccezione, ma il futuro per questa nuova modalità agile di lavoro potrebbe rivelarsi davvero “radioso”.

L’articolo 90 del D.L. n. 34/2020 (Decreto Rilancio) conferma e rilancia – anche per la c.d. “Fase 2” del contrasto alla pandemia da Covid-19 – il forte sostegno allo smart working come mezzo per ridurre le occasioni di contagio e contribuire, al contempo a scongiurare ulteriori danni al tessuto economico e sociale del Paese.

E lo fa, non solo confermando, nei fatti, tutte le disposizioni assunte a partire dallo scorso mese di marzo a sostegno di questa modalità lavorativa, ma inserendo un vero e proprio “diritto” dei genitori di figli under 14 dipendenti nel settore privato a svolgere la propria prestazione lavorativa – ove compatibile con ruolo e mansioni – in modalità “agile”.

E ribadendo che, nella PA, lo smart working rappresenta la modalità “ordinaria” della prestazione lavorativa (ove compatibile con incarico e mansioni)

L’articolo 18 della legge 81/17 definisce il lavoro agile (o smart working) quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale.

Tale modalità lavorativa opera, “in quanto compatibile”, anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle PA.

Con l’insorgenza della pandemia da Covid-19, il Governo ha ritenuto che, al duplice fine di ridurre il rischio di contagio e mantenere in attività molteplici realtà lavorative, il lavoro agile potesse rappresentare una valida soluzione.

Quindi, il DPCM dell'8 marzo 2020 ha previsto, su tutto il territorio nazionale (dopo le prime esperienze nelle ex “zone rosse”) la possibilità, per i datori di lavoro, di ricorrere allo smart working (artt. 18-23 della L. 81/17), per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020 (ossia, allo stato attuale, fino al 31 luglio 2020), per ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi generali dettati dalla Legge citata, ma anche in assenza degli accordi individuali.

Sono state altresì previste modalità telematiche semplificate per le relative comunicazioni obbligatorie verso l’INAIL.

Successivamente, l’art. 87 del D. L. 18/2020 (“Cura Italia”) convertito dalla legge n. 27/2020, ha disposto che, sempre fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica, il lavoro agile è la “modalità ordinaria” di svolgimento della prestazione lavorativa nelle PA, che, conseguentemente:

a) limitano la presenza del personale nei luoghi di lavoro per assicurare esclusivamente le attività indifferibili e che richiedono necessariamente tale presenza;

b) prescindono dagli accordi individuali e dagli obblighi informativi previsti dalla L. 81/17.

Viene inoltre disposto (per la PA) che la prestazione lavorativa in lavoro agile può essere svolta anche attraverso strumenti informatici “nella disponibilità” del dipendente qualora non siano forniti dall'amministrazione.

Nell’aprire alla “Fase 2”, come noto, il mondo del lavoro risulta diviso in due: le aziende ed i lavoratori che continuano a lavorare come hanno potuto fare nella c.d. “Fase 1”, che dovranno adattare la prestazione lavorativa alle nuove e meno restrittive regole ma, al contempo, tenendo conto dell’aumento dei colleghi e dei cittadini che li circondano e, quindi, con misure di sicurezza talvolta anche maggiori. E, invece, tutti quegli imprenditori e lavoratori che provano a “ricominciare” dopo mesi di stop.

In ambedue i casi, esiste, evidentemente, una dicotomia fondamentale.

Da una parte, tutte quelle categorie di imprese e lavoratori la cui attività – in tutto o in parte – non può prescindere dal quotidiano contatto con i colleghi di lavoro e/o con i clienti ed utenti. Questi lavoratori, potranno svolgere la propria prestazione esclusivamente a condizione di aver posto in essere tutte le misure di sicurezza previste e disciplinata dalle recenti norme governative, dai protocolli stipulati dalle parti sociali, dalle Linee Guida INAIL e da quelle della singole regioni.

D’altra parte, continuano ad esistere – e potrebbero anche crescere – estese platee di lavoratori per i quali, sia per motivi “socio-sanitari” che per motivi lavorativi, il lavoro agile continua ad essere l’unica opzione o, per meglio dire, quella migliore.

Questo tema è affrontato dall’art. 90 del D. L. 34/2020, secondo il quale, innanzitutto, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio under 14, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell'attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali, fermo restando il rispetto degli obblighi informativi previsti dalla L. 81/17, e a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione.

Si precisa, come già a suo tempo per la PA, che la prestazione di lavoro agile può essere svolta anche attraverso strumenti informatici “nella disponibilità” del dipendente qualora non siano forniti dal datore di lavoro.

Viene – comunque – ribadito, a prescindere dal nuovo “diritto genitoriale” sopra indicato, che la prestazione lavorativa in modalità agile può essere applicata dai datori di lavoro privati ad ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalla L. 81/17, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti.

Viene, infine, confermato l’obbligo di comunicazione in modalità telematica semplificata all’INAIL dei nominativi dei lavoratori e la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile.

Quanto ai dipendenti pubblici, l’articolo 90 del D.L. Rilancio, conferma integralmente le disposizioni del citato art. 87 del D.L. Cura Italia, che indicano il lavoro agile come modalità ordinaria della prestazione (ove compatibile con le mansioni assegnate)

Ma cosa accadrà dopo il 31 luglio 2020, ossia alla scadenza del termine del periodo di “emergenza sanitaria deliberato dal Consiglio dei Ministri il 31 gennaio scorso?

Esistonodue possibilità.

La prima, ovviamente non auspicabile, è che la situazione epidemiologica non sia apprezzabilmente migliorata e, pertanto, si renda necessario prorogare la durata della dichiarazione di emergenza sanitaria. In tal caso, ovviamente, tutta la disciplina sopra illustrata prolungherà i propri effetti sino alla nuova data prevista per il termine dell’emergenza, senza necessità di nuovi interventi.

La seconda possibilità è che, dal 1° agosto prossimo, la situazione sia apprezzabilmente migliorata e non si renda necessario prorogare l’emergenza ma, più semplicemente, restare nella odierna Fase 2 o passare a fasi successive di minor “rigore”. Ebbene, in questo secondo caso, dovrebbero venir meno tutte le eccezioni alla disciplina dettata per lo smart working dalla L. 81/2017, prima tra tutte la deroga all’accordo individuale obbligatorio per la scelta volontaria del lavoro agile da parte dei dipendenti.

Quale che sarà il futuro dello smart working in Italia al termine dell’emergenza da Covid-19 (auspicabilmente radioso ma, probabilmente, non così tanto), un fatto è certo: la cornice normativa emergenziale “spinge” tutti i datori di lavoro, pubblici e privati a continuare a considerare – anche nella Fase 2 – il lavoro agile come la “consigliatissima” modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa, in tutti i casi nei quali ciò sia possibile. Ossia ogni volta che il lavoratore possa svolgere la propria prestazione lavorativa da remoto senza apprezzabili difficoltà o evidenti cali di produttività.

Pertanto, tornando a quanto si è accennato in premessa, i datori di lavoro – anche alla luce delle possibili responsabilità penali da infortunio sul lavoro in cui potrebbero incorrere nel caso in cui non apprestassero le idonee misure per il rientro in sicurezza sui luoghi di lavoro – dovrebbero seriamente privilegiare la permanenza del personale in smart working, invece di immaginare accelerazioni su “piani di rientro” che, in molti casi, non discendono da effettive esigenze lavorative o produttive ma dal “timore atavico” che il lavoratore non sia produttivo se non è “sotto gli occhi del padrone”.

Da ultimo un breve cenno al Piano Colao presentato l’8 giugno dal Gruppo di Lavoro incaricato dal Governo al fine di individuare le linee guida per una ripresa post Covid-19 del tessuto economico-sociale del Paese.

Il Piano, indica la necessità di monitorare e valutare l'utilizzo attuale dello smart working nel mondo delle PA e delle imprese al fine di implementare modifiche alla normativa vigente.

Si dovrà pertanto puntare ad una nuova disciplina legislativa dello smart working per tutti i settori, le attività e i ruoli (manageriali e apicali inclusi) per i quali tale modalità di lavoro sia percorribile, ponendo l’accento sulla sua "pari fruibilità" per uomini e donne nonchè sulla sua individuazione quale opzione praticabile per aziende e lavoratori, nell’ottica della creazione di nuova impresa e/o nuovi posti di lavoro.

Nella logica della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, la nuova disciplina dovrà confermare la possibilità - consentita in fase emergenziale, da ultimo, con l’art. 90 del Decreto Rilancio - di un accesso preferenziale allo smart working da parte dei genitori con figli fino ai 14 anni.

Il Piano Colao suggerisce, inoltre, l’opportunità di promuovere, nel breve periodo, sia nel pubblico che nel privato, l’adozione di un codice etico dello smart working con specifica considerazione dei tempi extra lavorativi (tra i quali impegni domestici e cura della famiglia) e in ottemperanza alla legge n. 81/2017 (stesse ore lavorative e giornate come da contratto nazionale), al fine di:

1) massimizzare la flessibilità del lavoro individuale;

2) concordare i momenti di lavoro “collettivo”, da tenersi in orari standard e, quindi, tendenzialmente predefiniti e nel rispetto della pausa pranzo, dei weekend e delle regole previste per il lavoro straordinario;

3) adottare sistemi trasparenti di misurazione degli obiettivi e della produttività per valutare la performance sui risultati e non sul tempo impiegato, che non solo è meno agevolemente misurabile, ma soprattutto non è rilevante nello smart working.

Per concludere, va detto che se le linee guida del Piano Colao saranno perseguite, può dirsi che questa modalità lavorativa potrà finalmente “decollare” coniugando al meglio la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, la responsabilizzazione dei lavoratori dipendenti e le esigenze di produttività che devono riguardare tanto il lavoro privato che quello alle dipendenze della PA.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/rapporto-di-lavoro/quotidiano/2020/06/10/decreto-rilancio-piano-colao-smart-working-diritto-genitoriale

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