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Nuovi PIR: potenziati gli investimenti verso imprese di minori dimensioni

Per convogliare il risparmio privato verso il mondo delle imprese, soprattutto quelle di minori dimensioni, il decreto Rilancio prevede il potenziamento strutturale dei piani di risparmio a lungo termine - PIR. Viene consentito, agli investitori, di costituire un secondo PIR con dei vincoli di investimento più specifici. Si introducono poi un vincolo di concentrazione degli investimenti pari al 20 per cento e limiti all’entità degli investimenti pari a 150.000 euro all’anno e a 1.500.000 euro complessivamente. La nuova disciplina consente inoltre la costituzione del nuovo PIR attraverso un’ampia categoria di intermediari. Si innalza poi il limite di concentrazione al 20 per cento anche per i PIR costituiti, dal 1° gennaio 2020.

Tra le numerose previsioni contenute nel decreto Rilancio (D.L. n. 34/2020) per sostenere finanziariamente il tessuto imprenditoriale del nostro Paese vi è anche, all’art. 136, il potenziamento strutturale dei piani di risparmio a lungo termine (PIR). Riprendendo una recente proposta di Assogestioni si incentivano infatti gli investimenti, sia in capitale di rischio che in capitale di debito, nell’economia reale e, in particolare, nel mondo delle società non quotate, potenziando la capacità di tali strumenti di investimento di convogliare il risparmio privato verso il mondo delle imprese.

La nuova iniziativa si colloca in una prospettiva ampia in cui si inseriscono anche le riflessioni in corso sul sostegno allo sviluppo economico che può essere fornito, nell’ambito del principio della diversificazione di portafoglio dagli investitori istituzionali di tipo previdenziale anche in considerazione dell’impulso comunitario (per i fondi pensione si pensi al recente recepimento della Direttiva IORP 2 e della Direttiva Shareholder rights 2 per la cui regolamentazione secondaria di attuazione la Covip ha di recente avviato una pubblica consultazione fino al prossimo 22 giugno)

Va ricordato come i PIR sono stati introdotti nel nostro ordinamento dalla legge di Bilancio 2017 sull’esempio degli Individual Saving Accounts del Regno Unito e ai Plan d’Epargne en Actions francesi e sono stati poi integrati con il decreto fiscale collegato alla legge di Bilancio 2020.

L’avvento dei PIR ha fino ad ora contribuito all’incremento registrato nel numero di quotazioni nel segmento AIM Italia di Borsa Italiana, quello dedicato alle PMI ad alto potenziale di crescita. Prova ne sia che dal 2017 si sono registrate oltre 80 offerte pubbliche iniziali, o Ipo, per un controvalore di raccolta in equity pari a circa 3 miliardi di euro.

Lo strumento è concepito per migliorare le opportunità di rendimento il risparmiatore e, allo stesso tempo, aumentare le opportunità delle imprese di ottenere risorse finanziarie per investimenti di lungo termine, favorendo, infine, lo sviluppo dei mercati finanziari. Il piano può essere costituito da “persone fisiche residenti nel territorio dello Stato”, cioè fiscalmente residenti in Italia, che non abbiano, nello stesso momento, più di un piano di risparmio e non condividano il piano con altre persone fisiche, indipendentemente dalla loro età (può essere titolare di un PIR anche un minorenne).

Si prevede poi un sensibile vantaggio fiscale dal momento che i redditi da capitale e i rendimenti sono esentati da imposte qualora l’investimento venga mantenuto per più di 5 anni, con la possibilità di continuare a investire anche oltre questo orizzonte temporale. Sono poi esenti da imposta di successione.

Dal punto di vista tecnico i PIR sono dei contenitori giuridici che possono assumere varie forme (fondi comuni, conti titoli, gestioni patrimoniali) e contenere diverse forme di prodotti finanziari purché vengano rispettate, nella composizione dei portafogli, le limitazioni previste dalla normativa.

Più nello specifico, attingendo al sito istituzionale del Comitato nazionale di educazione finanziaria quellocheconta.gov.it, l’investimento non deve superare 30.000 euro annui e i 150.000 euro complessivi; gli strumenti finanziari di uno stesso emittente e la liquidità che lo compongono non devono essere superiori al 10 per cento dell’investimento totale; almeno una parte (70 per cento) dell’investimento totale è destinata a strumenti finanziari cosiddetti “qualificati”.

Una parte di questi strumenti finanziari qualificati (almeno il 30 per cento del citato 70 percento) è destinata a strumenti finanziari di imprese non inserite nel FTSE MIB o in altri indici equivalenti di altri mercati regolamentati esteri. Gli strumenti finanziari sono detenuti, singolarmente o cumulativamente (quando si succedono l’uno all’altro in modo da essere considerati in modo unitario), per un periodo di tempo minimo di 5 anni; gli strumenti finanziari che lo compongono non sono emessi o stipulati con soggetti residenti in Paesi non collaborativi.

Va ricordato come per effetto delle novità introdotte dal 1° gennaio 2020 per i piani di risparmio a lungo termine costituiti a decorrere da tale data, come ricorda Assogestioni, l’universo investibile è per il 70 per cento di strumenti emessi da emittenti italiani, di cui 25 per cento da società non appartenenti all’indice FTSE MIB e 5 per cento da società non appartenenti né al FTSE MIB né all’indice FTSE Italia Mid Cap

E’ utile riportare anche quelle che sono le osservazioni recentemente formulate da Assogestioni che ha sottolineato come i vincoli di investimento e i limiti di concentrazione previsti dalla normativa esistente hanno consentito ai PIR di funzionare bene all’interno di portafogli liquidi, tipicamente appannaggio di una clientela retail, contenendo il rischio insito negli investimenti in PMI quotate e tarandolo a un livello adeguato alle esigenze dei risparmiatori persone fisiche, che trovano nel fondo aperto e di pronta liquidabilità lo strumento di investimento di elezione.

Si auspica però un sostegno ancora più forte all’economia reale e dello sviluppo del mercato finanziario nazionale creando dei portafogli maggiormente vincolati ai segmenti di mercato meno liquidi, ma proprio per questo ancora più vicini alle imprese più piccole. Pur potendo comunque investire in asset illiquidi, si sottolinea, i PIR esistenti non risultano del tutto adatti allo scopo.

La causa è duplice ed è insita nel vincolo di investimento di 30mila euro all’anno e nel limite di concentrazione al 10 per cento, limitazioni giuste e necessarie per costruire portafogli pienamente liquidi. La proposta è allora quella di prevedere un PIR specializzato in PMI, strumento alternativo e complementare al PIR ordinario, votato agli investimenti in strumenti non quotati, scambiati sui cosiddetti mercati privati.

PIR ordinari e alternativi, rivolti soprattutto a risparmiatori più patrimonializzati che possono avere una soglia di investibilità molto più elevata in strumenti più rischiosi e complessi, nonché di una maggiore capacità di detenzione dei titoli nel lungo e lunghissimo termine, possono esplicare i loro effetti a beneficio delle imprese oggetto di investimento con un effetto sinergico, è la considerazione.

La proposta di Assogestioni prevedeva poi soglie di investimento più elevate mutuando i limiti previsti dalla normativa sugli ELTIF, che contemplano una soglia di 150mila euro all’anno per un importo complessivo non superiore a 1.500.000 di euro nonché modifiche all’oggetto dell’investimento agevolato e ai i limiti alla concentrazione agli investimenti.

La misura ora introdotta dal decreto Rilancio, basandosi sulla disciplina generale prevista per i PIR dalla legge di Bilancio per il 2017, tende a convogliare in maniera consistente gli investimenti verso imprese di minori dimensioni concedendo la possibilità, agli investitori, di costituire un secondo PIR con dei vincoli di investimento più specifici.

Gli investimenti qualificati, infatti, sono composti da strumenti finanziari, anche non negoziati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione, emessi o stipulati con imprese radicate in Italia, diverse da quelle i cui titoli azionari formano i panieri degli indici FTSE MIB e FTSE Mid Cap della Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati, nonchè da prestiti erogati alle predette imprese e da crediti delle medesime imprese.

Si introducono poi un vincolo di concentrazione degli investimenti pari al 20 per cento e limiti all’entità degli investimenti pari a 150.000 euro all’anno e a 1.500.000 euro complessivamente. La nuova disciplina consente la costituzione del nuovo PIR attraverso un’ampia categoria di intermediari. Gli investimenti qualificati di tale nuova tipologia di PIR, infatti, possono essere effettuati, oltre che tramite OICR aperti e contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione, anche tramite FIA, quali, a mero titolo semplificativo: ELTIF, fondi di private equity, fondi di private debt e fondi di credito.

Si innalza poi il limite di concentrazione al 20 per cento anche per i PIR costituiti, dal 1° gennaio 2020, ai sensi del decreto fiscale sopra citato. Ulteriore modifica introdotta riguarda poi dal lato del risparmiatore l’unicità del PIR che va ora intesa nel senso che ciascun contribuente può costituire un piano ordinario e un nuovo PIR.

L’intermediario o l’impresa di assicurazioni presso il quale sono costituiti i piani, all’atto dell’incarico acquisisce dal titolare un’autocertificazione con la quale lo stesso dichiara di non essere titolare di un altro piano di risparmio a lungo termine delle due tipologie.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/impresa/contratti-dimpresa/quotidiano/2020/06/11/pir-potenziati-investimenti-imprese-minori-dimensioni

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