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La transazione fiscale non va rinviata

Il decreto Liquidità ha posticipato al 1° settembre 2021 l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa, per evitare che le imprese affrontino l’emergenza economica da Covid-19 con un nuovo set di regole che, in sede di prima applicazione, potrebbero generare incertezze interpretative e applicative. Vi sono però disposizioni del Codice la cui posticipazione in questo momento appare illogica e controproducente: ad esempio, quelle che rendono più efficace e più rapida la ristrutturazione dei debiti fiscali attuata mediante la transazione fiscale. Si tratta di misure che sono tanto più utili quanto più grave è la situazione finanziaria in cui le imprese versano; misure che è del tutto inopportuno rinviare proprio ora che ve n’è più bisogno.

Con il decreto Liquidità (D.L. 8 aprile 2020 n. 23), l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa è stata prorogata dal 15 agosto 2020 al 1° settembre 2021, per evitare che le imprese si trovino ad affrontare la “crisi da coronavirus” con un nuovo sistema di regole che prevede significative innovazioni, alcune condivisibili e altre meno, che in sede di prima applicazione potrebbero generare incertezze interpretative e applicative che è preferibile rinviare a momenti meno turbolenti.

Ciò è comprensibile, ma vi sono disposizioni di tale Codice la cui posticipazione, proprio perché si tratta di norme introdotte per agevolare il superamento delle crisi aziendali, è in questo momento al contrario illogica e controproducente. Ci riferiamo alle disposizioni che rendono più efficace e più rapida la ristrutturazione dei debiti fiscali attuata mediante la c.d. “transazione fiscale”, attualmente disciplinata dall’art. 182-ter della legge fallimentare; si tratta, quindi, di misure che sono tanto più utili quanto più grave è la situazione finanziaria in cui le imprese versano, cioè di misure che per tale motivo è del tutto inopportuno rinviare proprio ora che ve n’è più bisogno.

Grazie alla transazione fiscale le imprese che si trovano in una situazione di crisi finanziaria, reversibile o irreversibile, possono proporre all’Agenzia delle Entrate una falcidia e/o una dilazione di pagamento dei debiti tributari ben più ampia di quella ordinaria, dimostrando la necessità delle falcidie e delle dilazioni richieste per mezzo di un piano di risanamento attestato da un professionista indipendente.

I benefici discendenti dalla transazione fiscale variano notevolmente, quindi, da caso a caso e non sono regolati da misure percentuali prestabilite da norme di legge né da atti dell’amministrazione finanziaria; dipendono infatti dalla capacità dell’impresa debitrice di pagare una cifra con una certa dilazione piuttosto che un’altra con una diversa dilazione, sulla base essenzialmente di due principi:

- al Fisco non può essere offerta una somma inferiore a quella che riceverebbe a seguito della liquidazione dell’impresa debitrice;

- i crediti erariali privilegiati non possono essere soddisfatti in misura meno vantaggiosa di quella proposta per i crediti privilegiati di rango inferiore e il trattamento dei crediti erariali chirografari non può essere differenziato rispetto a quello degli altri crediti chirografari e comunque a quello degli altri crediti chirografari di cui sia previsto il trattamento più favorevole.

Per questi motivi, nel corso dell’ultimo decennio abbiamo assistito a transazioni fiscali che hanno comportato, ad esempio, il pagamento del 50% dei debiti tributari in sette/otto anni, così come, a fronte di situazioni aziendali più compromesse, del 30% dei debiti in quindici anni o, come è recentemente accaduto, seppur a fronte di riduzioni più contenute, in oltre venti anni.

I benefici discendenti dalla transazione fiscale sono quindi evidenti e ben superiori a quelli ricavabili da provvedimenti come la rottamazione delle cartelle o il saldo e stralcio, i quali finiscono per avvantaggiare anche chi non ne avrebbe bisogno, hanno un campo di applicazione limitato (poiché non trovano applicazione per i debiti non iscritti a ruolo, prevedono solo la falcidia di sanzioni e interessi e non consentono dilazioni di pagamento così lunghe come quelle consentite dalla transazione fiscale) e sono insufficienti per i casi più critici e di maggiore entità, che richiedono invece soluzioni più ampie e “su misura”, quali sono quelle consentite dalla transazione fiscale.

Tuttavia questo istituto può essere attuato solo nell’ambito di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis della legge fallimentare e ciò comporta che, mentre nel concordato il Fisco deve pronunciarsi sulla proposta di trattamento dei crediti tributari in sede di adunanza dei creditori, per il che i tempi di risposta dell’Agenzia delle Entrate sono scanditi dal tribunale attraverso la fissazione della data di tale adunanza, non è previsto dalla legge alcun termine entro il quale l’Agenzia deve pronunciarsi sulla proposta di transazione fiscale formulata nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti e conseguentemente spesso i tempi di risposta sono così lunghi da comportare, non la soluzione, ma l’aggravamento del dissesto.

Inoltre, il Fisco non di rado, per approvare la proposta, pretende pagamenti superiori a quelli compatibili con la situazione dell’impresa creditrice e ciò non consente di superare definitivamente le situazioni di crisi.

Per superare queste criticità, il comma 5 dell’art. 48 del Codice della crisi d’impresa ha opportunamente previsto che il tribunale può omologare gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza di adesione dell’amministrazione finanziaria alle proposte di transazione fiscale connesse a tali accordi, quando:

- l’adesione è determinante al fine del raggiungimento della percentuale del 60% (o del 30% in taluni casi) dei crediti, stabilite per la omologabilità degli accordi stessi, come normalmente accade, e

- il soddisfacimento dei crediti erariali offerto dall’impresa debitrice risulta, anche sulla base delle risultanze di un’apposita attestazione resa da un professionista indipendente, più conveniente di quello derivante dall’alternativa liquidazione dell’impresa.

È evidente che una norma come questa aiuta le imprese a superare lo stato di crisi in cui si trovano, accelerando i tempi del loro risanamento, il quale può essere realizzato solo mediante interventi tempestivi e rapidi, e al tempo stesso evita, come recita la relazione accompagnatoria del Codice, comportamenti dell’amministrazione finanziaria caratterizzati da eccessive rigidità.

E, allora, perché rinviarne l’entrata in vigore?

L’auspicio è che il legislatore ci ripensi e ne disponga l’entrata in vigore alla data originaria del 15 agosto 2020 o, visto che occorre metterci mano, anche dal prossimo 1° luglio.

Il gettito erariale non ne risentirebbe granché, perché, in assenza di queste misure, le imprese che potrebbero avvalersene probabilmente non riuscirebbero comunque a pagare i loro debiti, e, anziché risanarsi, agonizzerebbero inutilmente per portare poi i libri in tribunale, dopo aver combinato pasticci di vario genere.

Al contrario, dal risanamento aziendale e dalla prosecuzione dell’attività da esso consentita il Fisco trarrebbe un doppio beneficio, grazie alle imposte che recupererebbe e a quelle che percepirebbe successivamente, a seguito della produzione di reddito da parte dell’impresa debitrice, dei suoi dipendenti e dei suoi fornitori, e al minor ricorso agli ammortizzatori sociali che sarebbe altrimenti inevitabile.

 

Transazione fiscale e crisi d'impresadi Giulio Andreani e Angelo TubelliUn’analisi approfondita e completa della disciplina della transazione fiscale e della transazione previdenziale, alla luce degli orientamenti dottrinali, delle circolari dell’Agenzia delle Entrate e degli enti previdenziali, e della giurisprudenza fallimentare e tributaria

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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/impresa/fallimento-e-procedure-concorsuali/quotidiano/2020/06/26/transazione-fiscale-non-rinviata

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