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Smart working: regole da ridisegnare dopo il lockdown

Smart working o telelavoro? L’emergenza COVID-19 ci ha abituati ad una forma di lavoro a distanza che poco ha a che fare con il lavoro agile della legge n. 81/2017 e molto invece con il telelavoro. Nel disegno del legislatore, lo smart working si presenta come un’opportunità per “incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”, formalizzata in un accordo tra datore di lavoro e lavoratore. La dispensa dall’accordo individuale e il superamento, per esigenze straordinarie, di alcune condizioni precipue rendono necessario, scaduto il periodo emergenziale (che termina il prossimo 15 ottobre), rimettere il lavoro agile sui binari tracciati dalla legge n. 81/2017.

L’emergenza sanitaria ha rappresentato un potente propulsore per la sperimentazione di massa del lavoro da remoto. Tutte le attività d’ufficio che potevano svolgersi a distanza, comprese quelle commerciali, nel periodo del lockdown sono state gestite in questa modalità emergenziale. A distanza di ormai cinque mesi è giusto tuttavia chiedersi se quello che abbiamo sperimentato in questi mesi possa essere definito lavoro agile o se sia qualcosa di diverso.

L’avversione di una parte consistente del mondo sindacale al lavoro agile si è tramutata, in pochi mesi, in un deciso sostegno: ciò alimenta il dubbio sul fatto che l’esperienza vissuta sia realmente quella dello smart working.

La necessità di distanziamento sociale, se non di vero e proprio isolamento, nel periodo dall’11 marzo al 2 giugno, ha indotto i datori di lavoro, incoraggiati in tal senso dai vari DPCM emanati nel periodo, a disporre la prosecuzione dell’attività lavorativa del personale impiegatizio e commerciale da casa. In quei mesi, infatti, l’obbligo di restare al proprio domicilio non permetteva al lavoratore di rendere la prestazione lavorativa in luoghi diversi dalla propria abitazione. Possiamo quindi concludere che in quella fase emergenziale il lavoro da remoto si sia piuttosto concretizzato in una forma di telelavoro.

Il lavoro agile e il telelavoro si differenziano sotto molteplici profili:

1. il luogo della prestazione,

2. l’orario di lavoro,

3. la sicurezza sul lavoro.

Sotto il primo profilo, il telelavoro si svolge esclusivamente dall’abitazione del lavoratore, mentre il lavoro agile si può prestare in qualunque luogo liberamente scelto dal lavoratore, con i soli limiti imposti dalle esigenze di riservatezza. Inoltre, lo smart working prevede per definizione l’alternanza di lavoro prestato da remoto con attività svolta in azienda nel contesto tradizionale. Durante il lockdown e tutt’ora nella perdurante situazione emergenziale, invece, la prestazione lavorativa continua nella maggior parte dei casi a svolgersi esclusivamente da remoto, anche se non più necessariamente soltanto dall’abitazione del lavoratore. Manca cioè del tutto quell’alternanza tra momenti di lavoro a distanza e momenti di collaborazione e di frequentazione tra i lavoratori, che rappresenta l’elemento più caratterizzante dello smart working. Non ha nulla a che fare con il lavoro agile la condizione di isolamento sociale e di disgregazione del contesto lavorativo che abbiamo sperimentato in questi mesi e che si può giustificare solo nella perdurante congiuntura emergenziale, ma che nel lungo periodo rischia di ridurre la gratificazione del lavorare insieme e di impoverire la crescita professionale dei lavoratori e di non permettere di realizzare il valore aggiunto che può scaturire per le aziende solo dalla collaborazione vissuta e partecipata tra i lavoratori. In tal senso la tecnologia non può sopperire alla frequentazione fisica delle persone sul posto di lavoro.

Quanto all’orario di lavoro, la semplice trasposizione della turnazione aziendale nella prestazione da remoto ha poco a che fare con il lavoro agile e ricorda molto il telelavoro. La legge 81/2017, infatti, svincola la prestazione lavorativa del lavoratore agile da un rigido orario di lavoro proprio per contemperare le esigenze personali e familiari della persona con i doveri derivanti dal contratto di lavoro, imponendo esclusivamente il rispetto dei “soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”.

Il lavoro agile dovrebbe in altre parole consentire al lavoratore, ad esempio, di assentarsi dalla postazione lavorativa “mobile” (è proprio l’art. 18 della L. 81/2017 ad affermare che il lavoratore agile opera senza una postazione fissa) per svolgere piccole commissioni o altre incombenze di tipo familiare, quali ad esempio portare il figlio a scuola o dal medico, il tutto nel rispetto dei propri doveri lavorativi che inevitabilmente si configurano sempre più come un’obbligazione di risultato. In questa prospettiva, nel lavoro agile la nozione di lavoro straordinario è priva di significato, perché il lavoratore dovrebbe poter gestire in autonomia la prestazione lavorativa collocandola nella maniera più efficiente per coniugarla con le altre necessità personali e familiari, pur sempre all’interno di una fascia oraria giornaliera e nei limiti dell’orario settimanale. Nel lavoro agile questa autonomia trova un limite nelle esigenze di coordinamento con le altre funzioni aziendali, con i colleghi che operano in team, con le esigenze imposte dal servizio al cliente. L’adattamento di queste molteplici esigenze personali e lavorative dovrebbe essere il tratto distintivo del lavoro agile rispetto al telelavoro e al tradizionale lavoro nello spazio fisico aziendale.

Sul piano della sicurezza sul lavoro, proprio in considerazione del fatto che il lavoro agile si fonda sulla “mobilità” del lavoratore, che può di volta in volta scegliere dove collocare temporaneamente la propria “postazione di lavoro”, la legge prevede l’estensione della copertura antinfortunistica dell’INAIL agli spostamenti del lavoratore dall’abitazione al luogo prescelto per lo svolgimento della prestazione (art. 23, cc. 2 e 3, L. 81/2017). Per la stessa ragione, la legge prevede che al lavoratore agile venga fornita un’informativa scritta sui rischi generali e specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro, ferma restando la piena responsabilizzazione del lavoratore per la propria sicurezza. Infatti è la legge a imporre allo smart worker di “cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi generali e specifici connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali”. Ad esempio, potremmo paradossalmente immaginare una prestazione di lavoro agile da parte di un lavoratore a cui sia richiesta particolare creatività e originalità all’interno di un parco, seduto su un’altalena: questo non è vietato in astratto, ma il buonsenso e la responsabilità del lavoratore stesso dovrebbero fortemente sconsigliarlo.

In altre parole, è ben vero che il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre le misure di prevenzione per fronteggiare i rischi (art. 22, c. 2, L. 81/2017), ma è impossibile per lui esercitare la normale funzione di supervisione e controllo dell’attività lavorativa, dal momento che il lavoro agile sfugge al suo campo visivo.

Al contrario nel telelavoro la postazione lavorativa domiciliare del lavoratore deve garantire alcuni requisiti minimi di sicurezza imposti dalla specifica normativa del DLgs 81/2008, quali ad esempio l’ergonomicità della seduta, la superficie non riflettente del piano di lavoro, il corretto rapporto aero-illuminante del locale, etc. Della conformità della postazione del telelavoratore è responsabile in prima persona il datore di lavoro, che deve farne oggetto di sopralluogo e di considerazione nella idonea valutazione dei rischi.

Nel disegno del legislatore del 2017, il lavoro agile rappresenta un’opportunità per “incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”. In questa prospettiva, l’accordo tra le parti risponde ad interessi diversi, ma convergenti: insomma, una soluzione win win. La dispensa dall’accordo individuale e il lavoro esclusivamente da remoto nel periodo emergenziale non devono indurre a ritenere, al contrario, che il lavoro agile rappresenti una sorta di benefit per il solo lavoratore o, peggio, un diritto soggettivo.

Il lavoro agile ha senso di esistere se consente non solo di agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, ma anche di incrementare la produttività.

Superata l’emergenza (prorogata al 15 ottobre 2020) sarà senz’altro necessario rimettere il lavoro agile sui binari tracciati dalla L. 81/2017 per ritornare a una sana alternanza tra lavoro in azienda e lavoro da remoto, oppure rivisitare l’istituto per adeguarlo a questa sperimentazione di massa.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/07/30/smart-working-regole-ridisegnare-lockdown

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