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CIGO E FIS per Covid-19: quali sono le responsabilità dei datori di lavoro?

Il decreto Rilancio e gli interventi dell’INPS che si sono succeduti nel tempo relativamente alla cassa integrazione ordinaria e all’assegno ordinario FIS, con i quali è stata affrontata l’emergenza per Covid-19, si sono rivelati di dubbia chiarezza e hanno creato non pochi problemi tra gli operatori. Una particolare attenzione va prestata al pagamento a saldo delle prestazioni di integrazione salariale ed alla gestione degli eventuali indebiti, su cui gravano una serie di responsabilità del datore di lavoro. Cosa succede se l’imprenditore non rispetta le scadenze?

La conversione in legge del D.L. n. 34/2020 e la pubblicazione della circolare INPS n. 84 del 10 luglio u.s., offrono lo spunto per una verifica complessiva sulla cassa integrazione ordinaria e sull’assegno ordinario FIS con i quali è stata affrontata l’emergenza per COVID-19. Nella legge di conversione n. 77 sono stati inseriti i cambiamenti normativi già contenuti nel D.L. n. 52/2020 che, quindi, viene lasciato decadere.

L’analisi che segue cerca di focalizzare le questioni più controverse cercando di ridurre, sotto l’aspetto cognitivo, l’impatto di disposizioni che, accavallandosi nel tempo e che, sovente, sono state di dubbia chiarezza, hanno creato non pochi problemi tra gli operatori.

Ma, andiamo con ordine.

Dal combinato disposto tra le due norme si evince che:

a) i datori di lavoro che nell’anno 2020 riducono o sospendono l’attività per la crisi pandemica possono presentare istanza di concessione del trattamento di CIGO o di assegno ordinario FIS per 9 settimane comprese tra il 23 febbraio ed il 31 agosto: esse possono essere, da subito, incrementate di ulteriori 5 settimane a condizione che abbiano fruito interamente il periodo autorizzato. Le settimane aggiuntive non, necessariamente, debbono essere continuative, ma debbono essere collocate temporalmente entro il 31 agosto. La mancata fruizione di tutto il periodo antecedente (9 settimane oltre alle 5) non preclude la possibilità di chiedere le 4 settimane dal 1° ottobre (si pensi, ad esempio ad un focolaio scoperto alla fine di settembre in un’azienda di macellazione che aveva fatto poco o niente ricorso alla integrazione COVID-19).

Per le imprese che ricorrono al FIS per le settimane ulteriori c’è da sottolineare come alla luce dei requisiti richiesti (più di 5 dipendenti) la domanda possa essere presentata anche da chi, in quel momento è sceso sotto tale soglia occupazionale, essendo decisivo il requisito dimensionale posseduto alla data di inizio dell’intervento integrativo (punto 3 della circolare n. 84). Per completezza di informazione va ricordato come, per effetto di una modifica introdotta nel D.L. n. 34/2020, sono riconosciuti ai lavoratori titolari dell’assegno ordinario FIS gli assegni per il nucleo familiare con decorrenza dal 23 febbraio e che sia per la CIGO che per il FIS non è ostativo alla presentazione delle domande il non aver fatto fruire ai dipendenti interessati le ferie maturate (messaggio INPS n. 3777 del 19 ottobre 2019);

b) dal 17 giugno i datori di lavoro che abbiano esaurito il “plafond” precedente possono fruire di ulteriori 4 settimane in tutti i settori anche in periodi antecedenti il 1° settembre. La ragione appare strettamente correlata alla sospensione dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo fino al prossimo 17 agosto: in tal modo, il Governo offre una misura di sostegno ai datori di lavoro che avendo già fruito delle precedenti settimane, non possono offrire nulla ai propri dipendenti (pur se ciò non riesce a “coprire” tutte le aziende;

c) per i datori di lavoro che hanno unità produttive o lavoratori residenti o domiciliati nelle “zone rosse” di cui parla il D.L. n. 9/2020, la durata massima complessiva diviene di 31 settimane. Anche per costoro valgono le stesse regole concernenti il “periodo effettivamente fruito”.

La circolare INPS n. 84 del 2020, richiamando il messaggio n. 2101 del 21 maggio ricorda che ai fini dell’autodichiarazione del “periodo effettivamente fruito” le aziende che intendono presentare una istanza di CIGO o di FIS debbono compilare un file excel. convertito in pdf relativo al fruito che va inserito nell’allegato alla domanda. Su questo punto, la nota dell’Istituto si diffonde ampiamente, formulando casi specifici e ricordando che l’autodichiarazione è resa ex art. 47 del D.P.R. n. 445/2000 e che può essere soggetta a controlli documentali ed ispettivi.

Per quel che concerne il computo delle settimane di fruizione della CIGO/FIS valgono le regole fissate nella circolare n. 58/2009 con la dislocazione oraria su 5 o 6 giorni a seconda che la settimana sia “corta” o “lunga”: si considera fruito un giorno pur se in integrazione salariale c’è un solo lavoratore per un’ora. Nella circolare non è stata affrontata la questione delle aziende che lavorano su 7 giorni (ad esempio, gli alberghi): su questo punto ritengo che, salvaguardando i contenuti della circolare n. 58/2009, si possano inserire le ore di integrazione salariale della domenica nel giorno di riposo settimanale del lavoratore che, indubbiamente, è diverso dalla domenica.

La circolare n. 84/2020 ricorda come gli interventi integrativi per il Coronavirus siano speciali rispetto a quelli previsti, in via ordinaria, dal D.Lgs. n. 148/2015.

Tale specialità si concretizza in: a) mancanza di qualsiasi contributo addizionale come, invece, richiesto, in via ordinaria, dagli articoli 4, 29 e 33 del D.Lgs. n. 148/2015; b) nessuna computabilità nel biennio mobile per la CIGO e nelle 26 settimane per l’assegno ordinari FIS; c) nessuna computabilità nel limite dei 24 mesi (30 in edilizia e nel settore lapideo) del quinquennio mobile previsto per la durata complessiva dei trattamenti integrativi dall’art. 4 del D.L.vo n. 148/2015 e per 1/3 delle ore lavorabili ex comma 5 dell’art. 12; d) mancanza del requisito dei 90 giorni di anzianità nell’unità produttiva, essendo sufficiente l’essere in forza alla data del 25 marzo; e) in caso di trasferimento di ramo di azienda o di cessione ex art. 2112 c.c., nel rispetto di quanto già ricordato dalla circolare INPS n. 47/2020, si computa anche il periodo in cui i lavoratori sono stati alle dipendenze del precedente datore: la stesa cosa avviene se c’è un cambio di appalto; f) la causale “COVID-19 nazionale” non essendo imputabile né al datore, né ai lavoratori non necessita di alcuna prova in ordine alla sua sussistenza, con la conseguenza che l’azienda non è tenuta a presentare alcuna relazione come invece avviene, in via ordinaria, per effetto dell’art. 11 del D.Lgs. n. 148/2015.

Una riflessione si rende necessaria per quel che concerne la procedura sindacale che ha avuto un “iter un po' ondivago”, sol che si pensi al fatto che la legge n. 27/2020, con la quale era stato convertito il D.L. n. 18/2020, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 29 aprile, l’aveva cancellata.

Ora, il D.L. n. 34/2020 (e la legge di conversione lo ha confermato) afferma che i datori di lavoro sono dispensati dall’iter previsto, in via ordinaria, dagli articoli 14 e 15, comma 2 (CIGO) e 30, comma 2,(FIS) del D.Lgs. n. 148/2015, fermi restando l’informazione, la consultazione e l’esame congiunto che può svolgersi anche in via telematica e che va concluso nei 3 giorni successivi alla comunicazione. Di conseguenza, per la CIGO ed il FIS non c’è bisogno di alcun accordo essendo sufficiente per la presentazione dell’istanza la dichiarazione di responsabilità del datore di lavoro di aver seguito la procedura.

Ricordo alcune questioni importanti che si possono presentare: a) l’iter sindacale va svolto, in via preventiva, ogni volta che si intende presentare una domanda; b) trascorsi 3 giorni senza che l’esame congiunto sia stato richiesto si dà per concluso il procedimento; i regolamenti costitutivi dei Fondi di solidarietà possono prevedere oltre alla procedura di informazione, consultazione ed esame congiunto, anche l’accordo: se è così, occorre raggiungere un accordo non essendoci nella norma alcuna disposizione del tutto analoga a quella prevista per CIGO e FIS.

Particolarmente importanti sono i termini di presentazione delle domande di CIGO e FIS in quanto alla scadenza dei termini è legata la decadenza in capo al datore di lavoro da qualunque possibilità di ottenere ammortizzatori speciali COVID-19.

Su questo punto il D.L. n. 52/2020, i cui contenuti sono stati inseriti nella legge di conversione del D.L. n. 34/2020, stabilisce che: a) le richieste di intervento integrativo per sospensione o riduzione di orario vanno inviate, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio la causale invocata; b) in sede di prima applicazione della norma (il D.L. n. 52 è entrato in vigore il 17 giugno) i termini sono spostati al 17 luglio 2020 se tale data è posteriore a quella prevista per la scadenza delle istanze; c) le domande riferite al periodo 23 febbraio - 31 maggio 2020 vanno inviate, se ciò non è stato ancora fatto, entro il 15 luglio; d) i datori di lavoro che hanno presentato domanda ad un “canale integrativo” diverso rispetto a quello al quale si sarebbero potuti rivolgere (ad es. FIS piuttosto che CIG in deroga) o che, per errori od omissioni, hanno visto la propria istanza respinta, hanno 30 giorni di tempo per ripresentarla correttamente all’amministrazione competente: i 30 giorni sono un termine perentorio in quanto comportano la decadenza dal diritto e partono dal giorno della comunicazione dell’errore, anche nelle more della revoca dell’eventuale provvedimento.

Per quel che concerne il pagamento delle prestazioni di integrazione salariale ai dipendenti sono possibili sia l’anticipazione da parte del datore di lavoro, con conguaglio successivo sui contributi previdenziali, che il pagamento diretto per il quale, tuttavia, non trova applicazione la procedura prevista, in via ordinaria, dall’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 148/2015.

Per il pagamento diretto, però, occorre seguire, pedissequamente, ciò che ha precisato l’art. 22-quater del D.L. n. 34/2020:

a) l’anticipo è pari al 40% delle ore richieste per l’intero periodo;

b) la domanda deve essere presentata entro 15 giorni dall’inizio del periodo di sospensione o di riduzione di orario;

c) l’INPS autorizza le domande e dispone l’anticipazione del trattamento entro 15 giorni dal ricevimento delle stesse (fa fede il protocollo telematico).

In sede di prima applicazione, come già chiarito con il messaggio n. 2489 del 17 giugno 2020 e con la circolare n. 78/2020 per le aziende che hanno inteso richiedere l’anticipo del trattamento per periodi antecedenti il 18 giugno, il termine di presentazione dell’istanza era stato fissato al 3 luglio.

L’INPS, con la circolare n. 78/2020, sottolinea che: a) la possibilità dell’anticipo riguarda le istanze presentate per CIGO, FIS e CIGD a partire dal 18 giugno; b) al fine di favorire la immediata disponibilità delle risorse economiche in favore dei lavoratori, le nuove regole si applicano anche alle domande presentate in data antecedente il 18 giugno, autorizzate dall’INPS a condizione che l’azienda non abbia ancora presentato il modello SR41; c) la corretta liquidazione delle prestazioni postula una sorta di preistruttoria finalizzata alla verifica della validità e della congruità dei dati forniti: il tutto per rispettare il termine di 15 giorni fissato dal Legislatore; d) il datore di lavoro dovrà prestare particolare attenzione alla correttezza dei dati trasmessi, onde evitare che l’istanza sia oggetto di reiezione o di annullamento, con la conseguenza che lo stesso anticipo sia considerato come indebito; e) gli esiti dei controlli sono consultabili dalle aziende nella sezione della procedura che si chiama “Esiti della procedura dell’anticipo”.

In che modo viene calcolato l’anticipo?

Dopo aver ricordato che i massimali di integrazione salariale da prendere in considerazione sono pari a 1.199,72 euro per CIGO, assegno ordinario e cassa in deroga ed a 1.727,41 per l’assegno ordinario per il Fondo Credito, l’INPS ha affermato che l’elaborazione dell’anticipazione avviene sulla base di un algoritmo che tiene conto del 40% del valore orario del massimale, moltiplicato per il numero di ore di prestazione richieste dal datore di lavoro. Le somme sono erogate dalle strutture territoriali dell’INPS sulle quali insistono le singole unità produttive ed il lavoratore ha la possibilità di accedere, per la visura, al proprio fascicolo previdenziale attraverso il portale dell’Istituto.

Sotto l’aspetto fiscale, come viene trattato l’anticipo?

La risposta è al punto 7 della circolare n. 78/2020: l’erogazione viene trattata come un prestito e non comporta l’applicazione di alcuna ritenuta fiscale: quest’ultima sarà determinata soltanto in fase di liquidazione totale dell’integrazione salariale. In tale sede sarà la stessa procedura “CIG-pagamento diretto” a calcolare le imposte dirette e l’importo netto da corrispondere sul quale sarà recuperato quanto erogato sotto forma di anticipo e se dovuto, il contributo del 5,84%.

Pagamento a saldo

Una particolare attenzione, a mio avviso, occorre prestare al pagamento a saldo ed alla gestione degli eventuali indebiti, in quanto una serie di responsabilità gravano sul datore di lavoro.

La circolare n. 78/2020 richiama, innanzitutto, il comma 3 dell’art. 1 del D.L. n. 52/2020: è fatto obbligo al datore di lavoro di inviare all’INPS il modello SR41 con tutti i dati necessari per il saldo entro la fine del mese successivo al termine del periodo di integrazione salariale autorizzato o, se posteriore, entro 30 giorni dalla adozione del provvedimento di concessione, fermo restando che se il 17 luglio (30 giorni di entrata in vigore del D.L. n. 52) è posteriore, in sede di prima applicazione, è quest’ultima la data di riferimento. Il modello SR41 dovrà essere unico per tutto il periodo richiesto con la domanda.

Ma, cosa succede se l’imprenditore non rispetta le scadenze?

Scatta una precisa responsabilità a carico dello stesso nel senso che il pagamento della prestazione e gli oneri correlati rimangono a suo carico e di conseguenza, anche gli anticipi erogati ai dipendenti sono considerati come indebiti con il conseguente recupero sull’azienda. E’ questo un passaggio molto importante.

Ma questo non è il solo caso di responsabilità datoriale.

L’Istituto riservandosi di ulteriori specificazioni e di individuare le modalità operative per il recupero, afferma che, sulla base della previsione contenuta nell’art. 22-quater del D.L. n. 18/2020, come introdotto dal D.L. n. 34/2020, il recupero di eventuali importi non dovuti si verificherà per:

a) gli anticipi in eccesso rispetto all’importo che risultasse spettante in fase di saldo con il modello SR41;

b) gli anticipi disposti in favore di dipendenti che non risultassero beneficiari del trattamento di integrazione salariale, come nel caso di un lavoratore dimissionario subito dopo aver incassato l’anticipo;

c) per l’invio del modello SR41 oltre il limite stabilito per la decadenza;

d) le erogazioni effettuate sugli anticipi che, in fase di supplemento di istruttoria, portino ad un provvedimento di reiezione;

e) le istanze che, dopo l’erogazione degli anticipi, siano annullate d’ufficio o siano chiuse sotto l’aspetto amministrativo.

Tornando alle altre questioni correlate agli ammortizzatori COVID, un aspetto importante è quello che riguarda le imprese hanno esaurito le 18 settimane complessive: cosa possono fare?

La risposta dell’INPS è che, se ne hanno i requisiti, possono presentate istanza di CIGO o di FIS (con il limite dell’equilibrio finanziario previsto dall’art. 35) ex D.Lgs. n. 148/2015. Tutto questo, però, comporta l’applicazione di quasi tutta a normativa contenuta nel predetto decreto (contributo addizionale, limite biennale e quinquennale, requisito dell’anzianità aziendale di 90 giorni, istanza ex art. 11, con procedura semplificata attesa la connessione tra l’emergenza sanitaria e la richiesta). C’è, poi, il caso delle aziende che si trovano in integrazione salariale straordinaria. Esse possono richiedere la causale “COVID-19 nazionale” non solo per le 9 settimane come già previsto dal D.L. n. 18/2020, ma, alle stesse condizioni delle altre imprese, anche le ulteriori 5 da fruire entro il 31 agosto e le altre 4 anche in data antecedente il 1° settembre se hanno già esaurito il “plafond”. E’ un iter che è stato, a suo tempo, delineato sia dall’INPS (circolare n. 47/2020 e messaggio n. 2066/2020) che dal Ministero del Lavoro con la circolare 8/2020 e che viene confermato sia per le ulteriori 5 settimane che per le 4: quest’ultimo (Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e della Formazione) resta destinatario di una apposita comunicazione della volontà del datore di lavoro di fruire delle settimane aggiuntive. Un discorso pressochè analogo (all’interno dei limiti di spesa) è previsto per le imprese che hanno in corso un trattamento di assegno di solidarietà per i propri dipendenti.

Da ultimo, un caso del tutto particolare che, probabilmente, ha uno scarso contenuto effettivo: il Legislatore ha previsto la possibilità di revoca di licenziamenti adottati per giustificato motivo oggettivo da un datore di lavoro nel periodo compreso tra il 23 febbraio ed il 17 marzo giorno in cui è scattata la sospensione: il tutto, in deroga all’art. 18, comma 6, della legge n. 300/1970, senza oneri o sanzioni a carico dell’imprenditore a condizione che il lavoratore sia messo in integrazione salariale COVID-19. L’INPS ha precisato che i datori di lavoro interessati possono presentare domande integrative di accesso al trattamento nel rispetto delle 18 settimane complessive.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/07/31/cigo-fis-covid-19-responsabilita-datori-lavoro

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