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Smart working: come creare un modello innovativo e sostenibile di gestione delle risorse

Smart working: cosa succederà alla fine del periodo emergenziale, ora fissato al 15 ottobre 2020? Le imprese si sono dovute “adattare” a un modo di lavorare completamente diverso da quello tradizionale e la maggior parte lo ha fatto con significative difficoltà. Ma finito il tempo dell’emergenza sarà il momento di avere una vision e di guardare oltre. I vantaggi che lo smart working può portare nella organizzazione aziendale consentiranno di vincere le sfide del mercato globale dei prossimi anni. La speranza è che il lavoro agile possa diventare oggetto di ben più approfondite riflessioni così da consentire alle nostre imprese di ripensare il modello gestionale ed organizzativo, secondo quali drivers?

La forma di lavoro a distanza svolta durante il lockdown è cosa diversa del vero lavoro agile.

Abbiamo osservato una forma di house working, come mi piace definirla: “house” è un termine inglese che indica anche la tana degli animali. Ecco, “la casa è diventata la nostra tana”, un luogo sicuro nel quale proteggere noi stessi ed i nostri cari e nel quale poter rendere la prestazione lavorativa.

Nulla da eccepire circa la forza di questo strumento come misura di prevenzione del contagio da COVID-19 ma questo non è il vero smart working e non rappresenta affatto una nuova filosofia gestionale. Le imprese italiane quindi si troveranno, dopo il 15 ottobre, ad affrontare questa problematica: come passare dall’houseworking allo smart working?

Per implementare un modello vincente di smart working c’è bisogno di competenze eterogenee e complementari (esterne, se necessario, quali possono essere quelle del consulente del lavoro ad esempio): competenze legali (civilistiche, lavoristiche, contributivo-assicurative), gestionali (nuova idea di leadership, saper lavorare in team), culturali di benchmark (studio delle buone prassi italiane ed europee), formative (sicurezza sul lavoro), tecnologiche (tools, preparazione informatica degli operatori, pianificazione digitale per gli strumenti di lavoro).

Sono vari i “passi” da compiere per arrivare alla progettazione di un modello sostenibile di lavoro agile: a me piace riassumere tutti i momenti del progetto in 6 fasi principali.

La prima fase è dedicata a “fotografare” la realtà aziendale: punto di partenza per la progettazione di un piano di lavoro agile che voglia produrre davvero un modello “fatto su misura per quella specifica impresa e non un banale “copia ed incolla” di un altrui prototipo.

Ciò vuol dire che l'impresa dovrà svolgere diverse attività di indagine: focus group con i manager e survey ai dipendenti, verifica della strumentazione tecnologica, verifica delle modalità di lavoro e dei processi produttivi e decisionali (anche ai fini dell’individuazione della popolazione c.d. eleggibile), analisi della cultura e delle subculture lavorative all'interno dei gruppi, analisi delle caratteristiche immobiliari e del layout degli uffici (il tutto ovviamente con un occhio al sistema di “lavoro remotizzato” utilizzato nella fase emergenziale).

Si tratta di una fase in cui si comprendono le richieste datoriali: preoccupazioni, priorità, criticità che la Direzione esprime, mixate con gli esiti della prima fase di analisi, consentono di progettare un piano di lavoro agile “tagliato su misura” per l’azienda.

Ma la vera sfida è far in modo che il progetto aziendale “personalizzato” sia pienamente compliant con la disciplina normativa e con la prassi amministrativa in materia, perché ogni modello personalizzato di lavoro agile necessita di una c.d. “messa in legalità”.

Questa terza fase è fondamentale: non si può assolutamente prescindere da una policy aziendale in cui siano indicate le regole di funzionamento del lavoro agile in azienda: sarà normato il metodo di gestione del team: dalla programmazione delle presenze alla definizione di compiti e incombenze contingenti, dalla identificazione di diverse tipologie di comunicazione interna alle regole di comportamento fino al report del lavoro svolto.

Così redatto il Regolamento aziendale, si creano il modello di accordo individuale da sottoscrivere con i lavoratori nonché i modelli di comunicazione interna e di reportistica necessari per il corretto funzionamento della modalità di lavoro agile.

Particolare attenzione all’identificazione dei luoghi alternativi alla sede: ribadito il principio dell’indifferenza del luogo di lavoro scelto dal lavoratore sarà necessario “mettere dei paletti” in modo che il luogo prescelto dal lavoratore rispetti 3 requisiti imprescindibili:

1. assicurare la riservatezza e la privacy dei dati trattati,

2. assicurare la sicurezza informatica,

3. garantire il rispetto dei principi di salute e della sicurezza sul lavoro.

E’ ammissibile che nell’accordo individuale possa essere indicato un luogo dove “prevalentemente” e/o “preferibilmente” sarà effettuata la prestazione lavorativa da remoto (tipo residenza del lavoratore, domicilio, abitazione di parenti) restando inteso inequivocabilmente che la prestazione di lavoro agile può essere resa anche nella abituale sede aziendale o in altri hub aziendali ovvero presso strutture di co-working.

La quarta fase è finalizzata a progettare una comunicazione assolutamente chiara del modello aziendale di lavoro agile quale strumento in grado di garantire un miglioramento del work-life balance dei lavoratori e nello stesso tempo uno strumento di engagement tale da innalzare sensibilmente il livello di produttività aziendale.

Lo “smart working day” è un vero e proprio giorno di festa per l’azienda che “posiziona” la sua organizzazione tra quelle leader del settore di riferimento con l’ideazione di una innovazione gestionale che avrà un grande impatto sulla felicità dei singoli (happyness at work), sul benessere organizzativo e quindi sulla competitività aziendale.

E’ importante altresì dare puntuale riscontro ai quesiti sullo svolgimento quotidiano del rapporto di lavoro in modalità agile: infatti, dopo la presentazione del modello e la soluzione dei quesiti posti, ciascun dipendente avrà modo di presentare la propria istanza in accoglimento della quale andrà a sottoscrivere l’accordo individuale con l’impresa datrice.

Questa fase è diretta a informare e formare adeguatamente tutta la popolazione aziendale in merito alle norme di sicurezza da rispettare nell’esecuzione della prestazione di lavoro “da remoto”.

Ma non è necessario (come nel telelavoro) verificare che la sede di lavoro agile sia munita di tutti i presidi antinfortunistici richiesti dalla legislazione: infatti l’assenza di una postazione fissa nei periodi di lavoro svolti all’esterno dei locali aziendali (caratteristica propria del lavoro agile) impedisce la nascita di detto obbligo in capo al datore di lavoro. In tal senso va letto l’art. 3 comma 10 del T.U. Sicurezza secondo cui “a tutti i lavoratori subordinati che effettuano una prestazione continuativa di lavoro a distanza mediante collegamento informatico e telematico si applicano le disposizioni di cui al Titolo VII, indipendentemente dall’ambito in cui si svolge la prestazione stessa”.

Quest’ultima fase è finalizzata a monitorare l’applicazione del lavoro agile in azienda nell’ottica di apportare correttivi alla fine della “fase pilota”, il periodo di sperimentazione generalmente previsto nel Regolamento.

Ai sensi della circolare del 18 Marzo 2004 del Ministro del Lavoro si precisa che le seguenti considerazioni sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/rapporto-di-lavoro/quotidiano/2020/08/19/smart-working-creare-modello-innovativo-sostenibile-gestione-risorse

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