• Home
  • News
  • Divieto di licenziamento non applicabile ai dirigenti

Divieto di licenziamento non applicabile ai dirigenti

Il decreto Agosto ha introdotto una ulteriore proroga, fino al 31 dicembre 2020,  del divieto di licenziamento per ragioni economiche, previsto dai precedenti decreti Cura Italia e Rilancio, al fine di contenere la crisi economica connessa all’esplosione dell’epidemia da Covid-19. Il blocco dei licenziamenti riguarda le procedure di licenziamento individuale e i licenziamenti collettivi. Restano escluse però alcune fattispecie di recesso, espressamente richiamate dal legislatore. Tra questi anche i rapporti di lavoro con i dirigenti, anche nel caso in cui il recesso sia dovuto a crisi economica dell’azienda.

E’ stato prorogato al 31 dicembre, ad opera del decreto Agosto (D.L. n. 104/2020), il termine entro il quale permane il divieto di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo. L’ambito di applicazione della misura introdotta dal Governo a tutela dei lavoratori dipendenti a seguito dell’emergenza sanitaria Covid-19 non si applica alla categoria dei dirigenti. Questa particolare categoria di rapporti di lavoro è disciplinata dall’articolo 2118 del Codice civile, che non prevede l’obbligo di motivare il licenziamento.

Tuttavia, la contrattazione collettiva relativa a questa categoria di lavoratori subordinati impone che il licenziamento sia motivato: da ciò consegue che in caso insussistenza di un valido motivo il datore di lavoro è tenuto a pagare una penale al dirigente licenziato, proprio a seguito dell’inadempimento dell’obbligo della motivazione contrattualmente stabilita.

Sono dirigenti i prestatori di lavoro che, pur soggetti a condizioni di subordinazione, ricoprono nell'azienda un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale ed esplicano le loro funzioni al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell'impresa.

Ad essi è attribuito in modo continuativo potere di rappresentanza e di decisione per tutta o per una notevole parte dell'azienda.

La qualifica di dirigente comporta la partecipazione e la collaborazione, con la responsabilità inerente al proprio ruolo, all'attività diretta a conseguire l'interesse dell'impresa ed il fine della sua utilità sociale».

Si tratta evidentemente di un rapporto di lavoro caratterizzato da un profondo quanto necessario vincolo fiduciario con il datore di lavoro.

Proprio la necessaria sussistenza di questo vincolo fiduciario comporta in alcune ipotesi di recesso importanti riflessi nel momento in cui il rapporto di lavoro tra dirigente e azienda cessi non per risoluzione consensuale, bensì per dimissioni o licenziamento.

Il Legislatore ha escluso i dirigenti dall’ambito di applicazione della legge sui licenziamenti individuali: a tale rapporto di lavoro non si applica né la tutela reale, né quella obbligatoria, restando garantito il regime di libera recedibilità reciproca in applicazione degli artt. 2118 (recesso con preavviso) e 2119 (recesso per giusta causa, senza preavviso) del Codice Civile. Sussistono, tuttavia, a favore dei dirigenti altre due tutele:

· obbligo della forma scritta del licenziamento con conseguente inefficacia del licenziamento verbale;

· diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro in ipotesi di licenziamento discriminatorio, in violazione delle norme a tutela della maternità o della paternità o basato su motivo illecito determinante ai sensi dell’art. 1345 del Codice Civile.

Il licenziamento del dirigente può essere dichiarato illegittimo se comminato:

- per motivi discriminatori;

- per ritorsione/rappresaglia;

- in forma orale;

- per un motivo illecito determinante.

La tutela prevista nelle suddette fattispecie è quella reintegratoria piena con annesse erogazioni a titolo di indennità risarcitorie, in sintonia con la generalità dei lavoratori dipendenti, operai, impiegati, quadri.

La nullità è infatti una condizione di inidoneità dell'atto a produrre i suoi effetti.

Il licenziamento è altresì dichiarato illegittimo nei casi in cui è accertato che non ricorrono gli estremi della giusta causa (art. 2119 c.c.).

La tutela prevista nella suddetta fattispecie è quella convenzionale prevista dal CCNL di settore applicato al rapporto dirigenziale ed è di natura esclusivamente indennitaria e risarcitoria, commisurata a determinati parametri di calcolo e determinazione, attraverso l'erogazione di una indennità supplementare alle competenze di fine rapporto.

N.B: Il licenziamento del dirigente, in queste situazioni, operando nel regime di libera recedibilità, è infatti sempre idoneo ad interrompere il rapporto di lavoro, in base alle regole generali ex artt. 2118 e 2119 c.c.

L'art. 46 del decreto Cura Italia ha introdotto, per 60 giorni, la sospensione delle procedure di licenziamento e il divieto, in capo al datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo. Il decreto Rilancio, all’art. 80, ha poi modificato il periodo suddetto estendendo il divieto dei licenziamenti collettivi e per GMO per un totale di 5 mesi, mentre il decreto Agosto ha ulteriormente portato il termine al 31 dicembre di quest’anno.

Il divieto di licenziamento impatta direttamente sulle procedure ex art. 7, legge 604/1966, che, anche se già avviate, non possono essere portate a termine.

In estrema sintesi dunque:

- dal 17 marzo 2020 l’avvio delle procedure ex art. 4, 5 e 24 della legge n. 223/1991 è precluso per 5 mesi e durante lo stesso periodo sono sospese le procedure pendenti avviate dopo il 23 febbraio: sono fatte salvi i recessi relativi al personale impiegato in appalti che sia stato riassunto a seguito del subentro di altra impresa in conseguenza di un obbligo di natura legale, di CCNL o di clausola inserita nel contratto di appalto;

- le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ex art. 7 della legge n. 604/1966 in corso alla data del 17 marzo 2020 sono sospese;

- per 5 mesi, a partire dal 17 marzo 2020, a prescindere dal numero dei dipendenti occupati, il datore di lavoro non può recedere dal contratto di lavoro per un giustificato motivo oggettivo come identificato dall’art. 3 della legge n. 604/1966;

- il datore di lavoro che, a prescindere dal numero dei dipendenti, nel periodo dal 23 febbraio al 17 marzo abbia licenziato per giustificato motivo oggettivo, uno o più lavoratori, può revocare il provvedimento senza essere sottoposto a scadenze temporali, derogando alle previsioni ex art. 18, comma 10, della legge n. 300/1970, purché, contestualmente, richieda un trattamento di integrazione in deroga per il soggetto (o i soggetti) interessati dalla data di efficacia del provvedimento di licenziamento. Il rapporto (o i singoli rapporti) vengono ripristinati, senza soluzione di continuità, e senza alcun onere o sanzione in carico al datore di lavoro.

Restano fuori dal blocco:

a) i licenziamenti per giusta causa che, comunque, obbligano il datore alle procedure garantiste previste dall’art. 7 della Legge n. 300/1970, come ricordato dalla Corte Costituzionale;

b) i licenziamenti per giustificato motivo soggettivo, ivi compresi quelli di natura disciplinare, anch’essi soggetti all’iter del citato art. 7;

c) i licenziamenti per raggiungimento del limite massimo di età per la fruizione della pensione di vecchiaia, atteso che la prosecuzione fino ai 70 anni discende da un accordo tra le parti e non è un diritto potestativo del dipendente, secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 17589 del 4 settembre 2015;

d) i licenziamenti determinati da superamento del periodo di comporto, atteso che la procedura è “assimilabile” al giustificato motivo oggettivo ma non è giustificato motivo oggettivo;

e) i licenziamenti per inidoneità. In caso di licenziamento determinato dalla sopravvenuta impossibilità della prestazione del lavoratore addetto ad un'unità produttiva cessata, l'imprenditore ha l'onere di dimostrare di non averlo potuto impiegare altrimenti o, quanto meno, nelle diverse posizioni che egli abbia allegato come idonee alla sua ricollocazione (Ispettorato Nazionale del Lavoro nota n. 298 del 2020);

f) i licenziamenti dei dirigenti che sono determinati da “giustificatezza”;

g) i licenziamenti per mancato superamento del periodo di prova;

h) i licenziamenti dei lavoratori domestici che sono “ad nutum”;

i) la risoluzione del rapporto di apprendistato.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/08/28/divieto-licenziamento-non-applicabile-dirigenti

Iscriviti alla Newsletter




È necessario aggiornare il browser

Il tuo browser non è supportato, esegui l'aggiornamento.

Di seguito i link ai browser supportati

Se persistono delle difficoltà, contatta l'Amministratore di questo sito.

digital agency greenbubble