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Crisi d’impresa: indicatori e indici dell’allerta alla base delle scelte strategiche aziendali

Il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza identifica gli indicatori e gli indici dell’allerta utili a monitorare l’andamento evolutivo dell’impresa, la solvibilità e la continuità aziendale nel post-Covid. Una buona pratica aziendale sarebbe quella di valutare la correttezza delle scelte di governance. Una governance che, anche in vista dello slittamento dell’entrata in vigore del codice al 1° settembre 2021, è chiamata a mettere in campo tempestive soluzioni in termini di adeguati assetti amministrativi e contabili, tenendo in considerazione che gli effetti derivanti da erronee scelte strategiche assumono, oggi, un peso ben diverso da quello che avrebbero avuto in un contesto ordinario.

Il Consiglio dei Ministri ha approvato, nella seduta del 18 ottobre 2020, il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza recante disposizioni integrative e correttive a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 8 marzo 2019, n. 20, al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14.

Il decreto correttivo interviene efficacemente sull’art. 13 comma 1 a partire dalla rubrica che da “Indicatori della crisi” diventa “Indicatori e indici della crisi”.

L'articolo 13 non disciplina unicamente gli indicatori della crisi, cioè gli squilibri di carattere reddituale patrimoniale o finanziario che rendono plausibile l'insolvenza dell'impresa, ma anche gli elementi che, nel dare evidenza del rapporto sussistente fra due o più quantità, rivelano tali squilibri. Viene stabilito, nello specifico, che sono significativi gli indici che misurano la “non sostenibilità”, piuttosto che la “sostenibilità”, dell’effettivo indebitamento rispetto al cash flow generato o generabile puntualizzando, inoltre, la necessaria evidenza dell’inadeguatezza dei mezzi propri rispetto ai mezzi di terzi. In relazione agli indici che mostrano la non sostenibilità del debito per almeno sei mesi successivi viene aggiunta anche la locuzione “dell'assenza” di prospettive di continuità aziendale per l'esercizio in corso, o qualora la durata residua dell'esercizio al momento della valutazione sia inferiore a sei mesi, nei successivi 6 mesi.

Gli indicatori dell’allerta che impongono di monitorare l’andamento evolutivo dell’impresa, la solvibilità e la continuità aziendale, saranno anche capaci di valutare le performance delle PMI in termini di sostenibilità e adeguatezza degli assetti organizzativi nel post-Covid?

Lo scenario che la pandemia sta prospettando alle imprese pone al centro la capacità di creazione del valore mettendo a dura prova l’efficacia delle proprie strategie e la solidità del proprio modello di business. La governance dell’impresa, anche in vista dello slittamento dell’entrata in vigore del codice dell’allerta al 1° settembre 2021, è chiamata a mettere in campo le più appropriate e tempestive soluzioni in termini di adeguati assetti amministrativi e contabili tenendo in considerazione che gli effetti, derivanti da erronee scelte strategiche, assumono, oggi, un peso ben diverso da quello che avrebbero avuto in un contesto ordinario. La concezione di tali assetti non dipende unicamente dal tipo di attività e dalle dimensioni dell’impresa, ma è soprattutto correlata alle scelte strategiche e al mutevole contesto in cui l’impresa si trova ad operare che, definendo il quadro dei rischi a cui essa è esposta, richiede una costruzione coerente dell’intero impianto organizzativo. In dottrina prevale, infatti, il principio secondo cui la responsabilità degli amministratori, nell’ipotesi di danni provocati da valutazioni discrezionali di carattere organizzativo, dovrà essere accertata facendo capo alla verifica dell’adeguatezza delle scelte compiute.

In effetti il Legislatore, con lungimiranza, nel Testo Unico in materia di Società a Partecipazione Pubblica (D.lgs 19 agosto 2016, n. 175), all’art.6 comma 3 recita che: “ […] le società a controllo pubblico valutano l’opportunità di integrare, in considerazione delle dimensioni e delle caratteristiche organizzative nonché dell’attività svolta, gli strumenti di governo societario con i seguenti: a) Regolamenti interni volti a garantire la conformità dell’attività della società alle norme di tutela delle concorrenza, […], nonché alle norme di tutela della proprietà industriale o intellettuale; b) un ufficio di controllo interno strutturato secondo criteri di adeguatezza rispetto alla dimensione e alla complessità dell’impresa sociale […] che trasmette periodicamente all’organo di controllo statutario relazioni sulla regolarità e l’efficienza della gestione; c) codici di condotta propri, o adesione a codici di condotta collettivi aventi a oggetto la disciplina dei comportamenti imprenditoriali nei confronti di consumatori, […] nonché altri portatori di legittimi interessi […]; d) programmi di responsabilità sociale d’impresa”. Analogamente il CCII all’art. 13 comma 3 invita “l’impresa che non ritiene adeguati, in considerazione delle proprie caratteristiche, gli indici dell’art. 13, comma 2” ad esplicitare “indici idonei a far ragionevolmente presumere la sussistenza del proprio stato di crisi”.

Una possibile soluzione per facilitare il giudizio, ex post, sulle scelte della governance e, in generale, sulla misura delle performance dell’impresa potrebbe, quindi, essere quella di ampliare la base informativa affiancando, agli indicatori finanziari, indici qualitativi (KPIs) e di rischio (KRIs). Gli organi di governo hanno, infatti, il compito di gestire l’azienda con responsabilità e di creare una struttura di supervisione (assetto organizzativo e contabile), atta a supportarne la capacità di generare valore per gli stakeholder. Il fulcro dell’organizzazione è costituito dal suo modello di business, che fa leva sui capitali in input, trasformati, incrementati o deteriorati, attraverso le attività svolte nell’ambito della gestione quotidiana dell’impresa. Gli outcomes (indici, indicatori e KPI) misurano, pertanto, le conseguenze (positive o negative, interne ed esterne) sui capitali, prodotte dalle scelte strategiche.

In questa direzione già il 25 gennaio 2017 è entrato in vigore il D. Lgs. del 30 dicembre 2016, n. 254 che riguarda l’obbligo di comunicazione di informazioni di carattere “non finanziario” per le imprese di grandi dimensioni. Il Decreto prevede che anche tutte le PMI non sottoposte all’obbligo possano presentare una dichiarazione di carattere non finanziario in forma volontaria. Tale Decreto, introducendo l’obbligo per le imprese di interesse pubblico dell’informativa non-finanziaria, ha coperto alcune lacune divulgative riguardanti, ad esempio, i temi ambientali, sociali, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva, utilizzo di risorse energetiche e impiego di risorse idriche, emissioni di gas serra, impatti su ambiente, salute e sicurezza.

Sebbene non vi sia alcuna imposizione normativa, in tale direzione anche per le PMI, la pandemia ha posto l’accento sulla necessità di introdurre nuovi strumenti che accompagnino l’analisi più prettamente tradizionale del Bilancio. L’esame di molti fenomeni aziendali non ricade nell’ambito delle informazioni “tradizionali” (gli intangibili auto-generati, il business model, gli effetti di un comportamento “sostenibile”); ne deriva che la misura della ricchezza generata, il comportamento delle imprese e gli assetti organizzativi, sono rappresentati talvolta in modo solo parziale.

Il mainstream del “green deal” muove, invece, verso la “conceptual company” dove gli intangibles diventano i principali drivers per la misurazione della creazione di valore “sostenibile” nel tempo.

L’ampliamento della base informativa, in ossequio al rinnovato all’art. 13 del CCII, sebbene non sia normata da una best practice per l’ideazione di KPIs (non potrebbe esserlo), nell’elaborazione dei ratios, i professionisti devono preferire indicatori, tailor made, capaci di sintetizzare in modo efficace le prospettive aziendali (going concern), evitando duplicazioni e ridondanza di dati, che potrebbero paradossalmente ostacolare, anziché favorire, la completezza e la chiarezza informativa.

Al di là degli indicatori che rappresentano soprattutto gli aspetti tangibili dell’impresa, ben rappresentati dagli indici elaborati dal CNDCEC, di seguito sono elencati alcuni KPIs, che assecondano le caratteristiche e le competenze distintive dell’impresa completandone la rappresentazione anche della componente relativa al capitale relazionale, umano, intellettuale e strutturale.

Di seguito 5 esempi di KPIs per ogni categoria enunciata.

Capitale Relazionale:

· % delle offerte andate a buon fine/totale offerte emesse;

· Tasso di fidelizzazione;

· Incidenza insoluti sul totale crediti commerciali;

· Numero dei reclami pervenuti/anno;

· Livello di soddisfazione interna dei dipendenti.

Capitale Umano:

· Scolarità del personale;

· % del personale con un’istruzione di alto livello/personale certificato;

· Rapporto stipendio uomo-donna per categoria contrattuale;

· % di utilizzo delle risorse esterne;

· Indice di policompetenza.

Capitale Intellettuale e Strutturale:

· % degli investimenti in IT sul fatturato/vendite;

· % degli investimenti effettuati per il risparmio energetico;

· Numero e tipologia delle certificazioni;

· Consumo diretto di energia;

· Totale emissioni di CO2 equivalente.

Interessanti da approfondire, in un momento di particolare fragilità delle PMI, sono i Key Risks Indicators (KRIs) che riguardano:

· Verifiche sulla solvibilità dei nuovi clienti;

· Gestione del rischio reputazionale;

· Sistemi di gestione e controllo dei rischi ambientali;

· Rischio di perdita di know how per abbandono del personale;

· Livello di formalizzazione dei processi di business e delle procedure.

In questo nuovo scenario, non più centrato meramente su valori finanziari e partita doppia, ma sulla sostenibilità socio-ambientale, sugli intangibles e sul capitale reputazionale, il professionista, grazie alla possibilità concessa dall’art. 13 comma 3 di attestare l’utilizzo di “altri indici in rapporto alle specificità dell’impresa”, potrà trovare nuovi e decisivi spazi di specializzazione e consulenza nell’elaborazione di KPI “non financial” da costruire insieme alla governance dell’impresa anticipando le possibili evoluzioni che il CCII prevedibilmente ancora subirà.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/impresa/fallimento-e-procedure-concorsuali/quotidiano/2020/10/21/crisi-impresa-indicatori-indici-allerta-base-scelte-strategiche-aziendali

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