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Orario di lavoro: limiti computati in relazione a tutti i contratti conclusi con il medesimo datore di lavoro

Per orario di lavoro, deve essere inteso «qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni» in base a tutti i contratti di lavoro conclusi da tale lavoratore con lo stesso datore di lavoro. Pertanto, i requisiti stabiliti a carico degli Stati membri quali l’obbligo di prendere le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive e la fissazione del limite massimo di 48 ore, in media, per l’orario di lavoro settimanale, comprese le ore straordinarie, devono essere interpretati nel senso che istituiscono limiti in relazione a tutti i contratti conclusi con il medesimo datore di lavoro. E’ quanto evidenzia nelle conclusioni dell’11 novembre 2020, l’Avvocato della Corte di Giustizia UE nella causa n. C-585/19.

L’Avvocato della Corte di Giustizia Ue ha fornito chiarimenti in riferimento ai limiti alla durata della giornata e della settimana lavorativa imposti dalla direttiva 2003/88. In particolare è stato richiesto se tali limiti si applichino anche nel caso in cui un lavoratore abbia sottoscritto una pluralità di contratti con lo stesso datore di lavoro oppure se essi debbano essere applicati «per contratto» e, pertanto, bisognerà valutare per ogni singolo contratto di lavoro l’eventuale superamento dei suddetti limiti.

Le questioni giuridiche alla della causa n. C‑585/19, offre alla Corte l’occasione di precisare, per la prima volta, l’interpretazione di alcune disposizioni della direttiva 2003/88 che sono applicate, sotto questo profilo, in modo differenziato nei diversi Stati membri.

L’avvocato Generale della Corte di Giustizia Ue, nelle sue conclusioni dell’11 novembre 2020, rileva che la direttiva 2003/88 ha come obiettivo quello di fissare prescrizioni minime destinate a migliorare la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, obiettivo che viene raggiunto, tra l’altro, mediante il ravvicinamento delle disposizioni nazionali riguardanti l’orario di lavoro.

A tal fine sono stati fissati periodi minimi di riposo giornaliero e settimanale nonché un tetto di quarantotto ore per la durata media della settimana lavorativa, comprese le ore di lavoro straordinario.

L’Avvocato fa notare che i diritti riconosciuti ai lavoratori, in particolare quelli al riposo giornaliero e settimanale, derivanti dai limiti fissati alla durata rispettivamente della giornata e della settimana lavorativa, per la loro stretta connessione con diritti primari e fondamentali, sono da considerarsi indisponibili per gli stessi lavoratori in quanto finalizzati alla tutela di un interesse pubblico, il diritto alla salute e alla sicurezza sul lavoro.

Questo significa che essi non appartengono a quel nucleo di diritti di natura strettamente contrattuale cui il lavoratore può decidere di rinunciare in cambio di remunerazioni aggiuntive o di altre utilità, ma fanno parte di quel ristretto nucleo di diritti fondamentali, riconosciuti da fonti normative primarie di rango costituzionale o ad esse equiparate, che non riguardano esclusivamente la relazione contrattuale tra datore di lavoro e lavoratore ma la «persona del lavoratore». Ne consegue che non può demandarsi alla volontà del lavoratore la disponibilità di tali diritti che, pertanto, il legislatore nazionale, e in ultima analisi il datore di lavoro, devono riconoscere e garantire senza alcuna possibilità di deroga se non quelle espressamente previste dalla stessa direttiva 2003/88.

L’Avvocato propone dunque alla Corte di rispondere alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte dal Tribunalul Bucureşti (Tribunale distrettuale di Bucarest, Romania) nei termini seguenti:

- con l’espressione «orario di lavoro», deve essere inteso «qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni» in base a tutti i contratti di lavoro conclusi da tale lavoratore con lo stesso datore di lavoro;

- i requisiti stabiliti a carico degli Stati membri quali l’obbligo di prendere le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive e la fissazione del limite massimo di 48 ore, in media, per l’orario di lavoro settimanale, comprese le ore straordinarie, devono essere interpretati nel senso che istituiscono limiti in relazione a tutti i contratti conclusi con il medesimo datore di lavoro;

- il giudice nazionale, nell’accertare l’eventuale superamento dei limiti previsti dalla normativa, dovrà verificare la natura subordinata delle prestazioni dedotte in contratto, in modo da integrare la nozione di «lavoratore» nel diritto dell’Unione, l’effettivo svolgimento delle «ore di lavoro» nella nozione del diritto dell’Unione e la non applicabilità delle deroghe previste dall’articolo 17 della direttiva 2003/88.

Avvocato Generale della Corte di Giustizia UE, conclusioni, 11/11/2020, causa n. C‑585/19

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/11/12/orario-lavoro-limiti-computati-relazione-contratti-conclusi-datore-lavoro

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