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Divieto di licenziamento e sue deroghe: quando il Legislatore si ravvede... ma non troppo

Una delle misure più discusse della normativa emanata per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 è stata l’introduzione del divieto di licenziamento individuale e collettivo. Si tratta di una previsione che nel corso di appena otto mesi ha subito diverse modifiche: il Legislatore, partendo da un rigido divieto che non ammetteva – salvo rare eccezioni – deroghe di alcun tipo, si è progressivamente ravveduto, introducendo significativi temperamenti in modo da conciliare la straordinarietà della norma con la libertà di iniziativa economica privata, costituzionalmente garantita. Emiliana Maria Dal Bon approfondirà il tema il 24 novembre nel corso del webinar “Accordi sindacali nella gestione dei licenziamenti aziendali”. Il webinar, organizzato in collaborazione con la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, sarà presentato da Pasquale Staropoli.

Al fine di preservare i posti di lavoro e di evitare che l’emergenza sanitaria da Covid-19, con la conseguente crisi economica, potesse imporre ai datori di lavoro la riduzione del personale in forza, il Legislatore – parallelamente al potenziamento degli ordinari ammortizzatori sociali e ad alcune modifiche in materia di contratti flessibili – ha previsto un chiaro divieto di procedere a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo e collettivi.

Inizialmente, è stato l’art. 46 del D.L. n. 18/2020, c.d. Decreto Cura Italia, come integrato e modificato dall’art. 80 del Decreto Rilancio n. 34/2020, a disporre che a decorrere dal 17 marzo e fino al 17 agosto 2020:

· fosse precluso l'avvio delle procedure di licenziamento collettivo;

· fossero sospese le procedure pendenti di cui sopra avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020;

· fossero preclusi i recessi per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della L. n. 604/1966;

· fossero sospese le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso di cui all’art. 7 della L. n. 604/1966.

Soffermandoci sul divieto di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, giova ricordare che con tale terminologia si fa riferimento a:

· ragioni inerenti all’attività produttiva (ad esempio: diminuzione del fatturato, attività ridotta o soppressa a seguito di esternalizzazione e così via);

· ragioni inerenti al regolare funzionamento aziendale.

Decreto Agosto

In seguito, con l’art. 14 del D.L. n. 104/2020, c.d. Decreto Agosto, il Legislatore ha prorogato il divieto di cui sopra a far data dal 15 agosto 2020 e, mitigandone la rigidità, ha previsto che a certe condizioni i datori di lavoro possano non rispettarlo.

In particolare, per non rientrare nel divieto, i datori:

· debbono aver integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19 di cui all'art. 1 del medesimo decreto. Trattasi di 18 settimane complessive collocate nel periodo compreso tra il 13 luglio 2020 e il 31 dicembre 2020;

· oppure debbono aver integralmente fruito dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali. Questo sgravio è riconosciuto, per un massimo di 4 mesi, esclusivamente ai datori di lavoro che abbiano fruito di cassa integrazione a maggio e giugno 2020 ma che non abbiano fatto ricorso agli ammortizzatori ex Decreto Agosto.

Ciò significa che la data in cui viene meno il divieto di licenziamento non è uguale per tutti ma dipende dalla situazione in cui si trova ciascuna azienda. Certo è che il termine ultimo del divieto – stando al testo del D.L. n. 104/2020 – è dato dal 31 dicembre 2020.

Se tutto quanto sopra rappresenta un tentativo del Legislatore di porre un divieto stringente passibile di rare eccezioni, è evidente come in ipotesi quali la liquidazione della società o il fallimento sarebbe stato difficile sostenere che il datore di lavoro fosse obbligato a mantenere in forza i dipendenti a prescindere dalla mancata continuazione dell’attività aziendale. È per questo che il D.L. n. 104/2020 ha introdotto, rispetto ai precedenti decreti, un elenco di casistiche in cui il datore può legittimamente procedere con i recessi, indipendentemente dall’integrale fruizione dei trattamenti di integrazione salariale o dell’esonero contributivo:

· licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell'attività, con messa in liquidazione della società senza alcuna continuazione, anche parziale, dell'attività;

· nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo;

· licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione.

Si tratta comunque di ipotesi circoscritte e tassative al di fuori delle quali permane il divieto di procedere a licenziamenti individuali e collettivi. Quando il Legislatore si ravvede…ma non troppo!

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Decreto Ristori

Con il c.d. decreto Ristori, D.L. 137/2020, è stato prorogato al 31 gennaio 2021 il divieto di licenziamento sopra illustrato: tale data non è casuale in quanto coincidente con due eventi particolarmente rilevanti:

1. la fine dello stato di emergenza;

2. il termine entro cui sarà possibile fruire degli ulteriori ammortizzatori sociali previsti dallo stesso decreto Ristori.

Per quanto attiene alle deroghe al divieto di licenziamento, nulla è stato modificato rispetto alla previgente disciplina del decreto Agosto.

Si ritiene opportuno specificare che, in ogni caso, sono e sono sempre stati estranei al divieto di licenziamento:

· i licenziamenti disciplinari ossia per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo. Trattasi di recessi motivati cioè da gravi violazioni delle norme di legge e di contratto che rendono impossibile il proseguimento del rapporto di lavoro;

· i licenziamenti determinati dal superamento del periodo di comporto;

· i licenziamenti dei dirigenti;

· i licenziamenti durante o al termine del periodo di prova;

· i licenziamenti dei lavoratori domestici;

· i licenziamenti dei collaboratori coordinati e continuativi;

· la risoluzione del rapporto di apprendistato al termine del periodo formativo.

L’INL ha precisato che rientra nella sospensione del licenziamento anche l’ipotesi della sopravvenuta inidoneità alla mansione. Quest’ultima impone al datore di lavoro la verifica in ordine alla possibilità di ricollocare il lavoratore in attività diverse riconducibili a mansioni equivalenti o inferiori; l’obbligo di repêchage rende, pertanto, la fattispecie in esame del tutto assimilabile alle altre ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in quanto tali precluse.

È indubbio che l’atteggiamento del Legislatore sia stato altalenante in merito alla durata del divieto di licenziamento e alla sua portata. In materia di revoca del recesso intimato in violazione del divieto, invece, si è assistito a un vero e proprio cambio di rotta.

Prova ne è il fatto che con il decreto Rilancio (D.L. n. 34/ 2020) era stata introdotta la possibilità di revocare il recesso per il datore di lavoro che, nel periodo tra il 23 febbraio 2020 e il 17 marzo 2020, avesse proceduto a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. La revoca del licenziamento era possibile solo se conseguentemente si procedeva con la richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale. In tal caso, il rapporto di lavoro si intendeva ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro.

Rimanendo sul tema, il seguente decreto Agosto (D.L. n. 104/2020) ha esteso tale possibilità di revoca a qualunque licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato nell'anno 2020.

Parallelamente, per evitare poi il possibile vuoto di tutela che si sarebbe venuto a creare per i lavoratori ingiustamente licenziati in violazione del divieto legale, l’INPS ha tenuto a precisare che il lavoratore, illegittimamente licenziato, avrebbe comunque avuto diritto a percepire la NASpI, cioè il trattamento di sostegno al reddito in caso di disoccupazione involontaria. Tuttavia, in questi casi, la corresponsione della NASpI da parte dell’INPS sarebbe avvenuta con riserva di ripetizione di quanto pagato, nell’ipotesi in cui il lavoratore licenziato, a seguito di contenzioso giudiziale o stragiudiziale, fosse stato reintegrato nel posto di lavoro.

In occasione della conversione in legge del D.L. n. 104/2020, il Legislatore ha soppresso la possibilità per i datori di lavoro di revocare il recesso per giustificato motivo oggettivo intimato in violazione del divieto legale di licenziamento. Di quest’ultima, infatti, non si fa menzione nel decreto Ristori.

Con l’abrogazione della possibilità di revoca “straordinaria” viene quindi ripristinata la disciplina ordinaria della revoca del licenziamento introdotta dalla L. n. 92/2012, conosciuta anche come “Legge Fornero”, che la assoggetta a un termine di 15 giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del recesso.

In conclusione, il vero inconveniente che si potrebbe verificare qualora un datore di lavoro decida di aspettare che venga meno il divieto di licenziamento per procedere con dei recessi è che il Legislatore – visti i recenti ripensamenti – decida di prorogarlo ulteriormente. È quindi legittimo chiedersi: il divieto di licenziamento conserva ancora la sua natura di norma “straordinaria” dal momento che al 31 gennaio 2021 sarà passato quasi un anno dalla sua introduzione?

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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/11/20/divieto-licenziamento-deroghe-legislatore-ravvede-non

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