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Contratti a termine: dal 1° aprile ritorno al passato. Quali soluzioni adottare?

Sta per scadere il regime transitorio di favore concesso alle aziende che stipulano contratti di lavoro a termine. La deadline è fissata al 31 marzo e prevede la possibilità di rinnovare o prorogare i contratti a tempo determinato, anche in somministrazione, in assenza di una delle causali previste dal decreto Dignità, nonchè altre importanti deroghe alla disciplina ordinaria. Le aziende dovranno, pertanto, decidere se trasformare i contratti a termine in scadenza, ovvero apporre una causale sicuramente soggetta ad essere attenzionata dagli organi di vigilanza e/o dal giudice. Come uscirne? Il contratto aziendale di prossimità potrebbe essere una soluzione.

Il 31 marzo 2021 termina l’agevolazione contemplata dall’articolo 93, del decreto Rilancio (decreto legge n. 34/2020), che prevede la possibilità di non applicare, per una sola volta, alcuni limiti previsti dall’articolo 21, del T.U. sui contratti di lavoro, in caso di rinnovo o proroga di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, anche in forma di somministrazione, così come chiarito dal Ministero del Lavoro con l'interpello n. 2 del 3 marzo 2021 (tale interpretazione è in linea con la ratio circa la salvaguardia dei livelli occupazionali, prevista dalla normativa emergenziale, in quanto l'agevolazione consente di mantenere lo stato di occupazione anche dei lavoratori somministrati a termine).

Viene data la possibilità alle aziende, entro la data indicata, di ridurre alcuni dei (tanti) vincoli imposti dal legislatore per la gestione dei contratti a termine e per limitare l’uso di questa forma contrattuale flessibile/precaria (a seconda dei punti di vista), a fronte di un maggior utilizzo del contatto a tempo indeterminato, considerato, dallo stesso legislatore, “la forma comune di rapporto di lavoro”.

Parliamo, in caso di proroga, del mancato computo nel massimale, previsto dalla normativa di riferimento, delle 4 proroghe a disposizione del datore di lavoro, e della sospensione del cd. «Stop & go» tra due contratti a termine, in caso di rinnovo, e cioè di quel periodo di vacanza obbligatoriamente previsto tra due contratti di lavoro a tempo determinato.

Ma l’agevolazione che più è stata gradita ha riguardato la possibilità di rinnovare e prorogare i contratti a tempo determinato, senza l’obbligo di indicare una causale.

Nello specifico si tratta di uno dei seguenti motivi che devono, ordinariamente, essere indicati nel contratto individuale di lavoro a termine in caso di primo contratto superiore ai 12 mesi, di proroga che sommata all’iniziale durata supera i 12 mesi ed in caso di rinnovo, indipendentemente dalla sua durata:

esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività,

• esigenze di sostituzione di altri lavoratori,

• esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività ordinaria.

In questo modo, si crea una sospensione degli obblighi che contemplano il vincolo di inserire, nel contratto individuale di lavoro, una causale che giustifichi l’assunzione del lavoratore a termine.

La scadenza del 31 marzo si riferisce esclusivamente alla formalizzazione del contratto di lavoro a termine o dell’accordo di proroga, per cui la durata del rapporto stesso potrà ben protrarsi oltre tale data, fermo restando il limite complessivo dei 24 mesi calcolato cumulando tutti i contratti a termine avvenuti tra l’azienda e quel determinato lavoratore. Infatti, nella norma emergenziale sono previsti 2 limiti di durata:

1. il contratto a termine agevolato (rinnovo o proroga) non potrà superare i 12 mesi;

2. la durata massima complessiva, tra tutti i rapporti di lavoro a termine intercorsi con il lavoratore, non potrà essere superiore ai 24 mesi.

Ricordo, inoltre, che la deroga all’obbligo della causale ed agli altri limiti previsti dall’articolo 21, potrà avvenire in un’unica occasione, indipendentemente dalla tipologia scelta: rinnovo o proroga. Detto calcolo va effettuato dalla data di vigenza del decreto Agosto (decreto legge n. 104/2020) e cioè dal 15 agosto 2020.

In pratica, qualora si sia già fruito dell’agevolazione, rinnovando un contratto acausale successivamente al 15 agosto 2020, non si potrà prorogare detto contratto senza specificare una motivazione.

La semplificazione ha sicuramente aiutato le aziende nella decisione di procrastinare il termine inizialmente previsto per la durata dei contratti a tempo determinato, limitando, al contempo, l’uscita dei lavoratori dal mercato del lavoro in un periodo sicuramente difficile per la ricollocazione. Ciò anche in considerazione del fatto che il datore di lavoro ha potuto, a sua volta, beneficiare della possibilità di inserire detti lavoratori, per i periodi di non lavoro, nelle liste dei beneficiari degli ammortizzatori sociali Covid. In tal modo non gravando sulle casse dell’azienda.

A breve questa agevolazione terminerà. Il 1° di aprile, senza un intervento legislativo che faccia slittare ulteriormente la scadenza, le aziende dovranno decidere se trasformare i contratti a termine in scadenza (difficile in un periodo di incertezza come quello che stiamo vivendo) ovvero porsi sulla testa la “spada di Damocle” di una causale che, così come è stata impostata dal legislatore, è sicuramente soggetta ad essere attenzionata dagli organi di vigilanza e/o dal giudice, in caso di ricorso da parte del lavoratore.

La problematica si ripercuoterà negativamente anche sul lavoratore, il quale si vedrà privare della continuità occupazionale.

Questa situazione, a mio avviso, merita una riflessione da parte del legislatore. Il fatto di prevedere un rallentamento di una parte dei numerosi vincoli previsti per questa tipologia contrattuale, sta a significare che le regole, prescritte per i contratti a termine, non sono settate per un mercato del lavoro altamente flessibile e possono portare le aziende a dirigersi, paradossalmente, verso altre forme di occupazione indiretta, come ad esempio pseudo appalti che in luogo di erogare servizi offrono manodopera a prezzi ridotti, andando a lucrare essenzialmente sul costo del lavoro e creando una concorrenza sleale.

Ribadisco un concetto che avevo già espresso qualche tempo fa. Ritengo che non serva a nulla inasprire i contratti subordinati a tempo determinato, nella speranza che così le aziende siano portate ad assumere lavoratori a tempo indeterminato. La stabilizzazione dei lavoratori avviene in base alla stabilizzazione dell'economia e dei mercati nel medio/lungo periodo e alla professionalità che lavoratori sono in grado di acquisire. È su questi aspetti che deve intervenire il legislatore se vuole far aumentare i rapporti a tempo indeterminato: economia e formazione.

Nel frattempo, rimaniamo ancorati a norme obsolete che vengono riviste ad hoc per limitare i danni occupazionali, come in questo periodo emergenziale.

Un ultimo consiglio riguarda la possibilità di andare a rivedere la regola legale che disciplina l’obbligo della causale, attraverso un intervento “in house”, cioè utilizzando un contratto aziendale di prossimità, come previsto dall’articolo 8, della legge n. 148/2011.

Attraverso un accordo condiviso con le associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda (RSA/RSU), è possibile andare a modificare il precetto previsto dall’articolo 19, del TU sui contratti di lavoro (decreto legislativo n. 81/2015), ad esempio, allungando i termini di durata massima del periodo di “acausalità”, ovvero introducendo causali diverse rispetto a quelle legali. A fronte di ciò, ci deve essere l’impegno, da parte dell’azienda, di stabilizzare un numero minimo di contratti a tempo determinato, in quanto il legislatore ha fornito questa opportunità per specifiche finalità, indicate proprio dal primo comma dell’articolo 8:

- maggiore occupazione;

- qualità dei contratti di lavoro;

- adozione di forme di partecipazione dei lavoratori;

- emersione del lavoro irregolare;

- incrementi di competitività e di salario;

- gestione delle crisi aziendali e occupazionali;

- investimenti e all'avvio di nuove attività.

Sicuramente non sarà possibile andare ad escludere totalmente l’obbligo della causale. Infatti, il Ministero del Lavoro, nell’interpello n. 30 del 2 dicembre del 2014, intervenendo sulla derogabilità dei limiti quantitativi nei contratti a termine, aveva chiarito che «i contratti di prossimità sono abilitati ad intervenire con discipline che, …, non mettano in discussione il rispetto della cornice giuridica nella quale vanno ad inserirsi e, in particolare, di quanto previsto a livello comunitario dalla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato.» In considerazione di ciò, «l’intervento della contrattazione di prossimità non potrà comunque rimuovere del tutto i limiti quantitativi previsti dalla legislazione o dalla contrattazione nazionale ma esclusivamente prevederne una diversa modulazione.»

Qualora le parti intendono intervenire con un contratto di prossimità ricordo, infine, che detto contratto dovrà essere depositato, dal datore di lavoro, presso il Ministero del Lavoro (articolo 14, del D.L.vo n. 151/2015 deposito per il riconoscimento dei «benefici contributivi o fiscali e le altre agevolazioni connesse con la stipula di contratti collettivi aziendali o territoriali…»).

Concludo ricordando che rimarranno vigenti altre due agevolazioni per i rapporti a termine durante l’emergenza pandemica.

Si tratta della sospensione del divieto di rinnovo e proroga di un rapporto a termine (diretto ed in somministrazione) durante la fruizione di un ammortizzatore Covid, prevista dall’articolo 19-bis del Cura Italia (decreto legge n. 18/2020) e della possibilità, fino al 31 dicembre 2021, che i periodi di somministrazione a termine non vengano computati nel massimale di durata dei contratti a termine qualora il lavoratore abbia un contratto a tempo indeterminato dall’Agenzia di Somministrazione.

Nel primo caso, la fruizione dell’agevolazione è vincolata all’utilizzo di un ammortizzatore sociale Covid (secondo le disposizioni previste dal comma 299, articolo 1, della legge di Bilancio 2021), mentre, nel secondo caso, la scadenza è fissa (31 dicembre 2021), indipendentemente dall’utilizzo della cassa integrazione.

Le considerazioni contenute nel presente contributo sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2021/03/08/contratti-termine-1-aprile-ritorno-passato-soluzioni-adottare

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