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Collegio sindacale e organismo di vigilanza: una sinergia necessaria per l’adeguata gestione dei rischi aziendali

Per i professionisti che ricoprono ruoli nell’ambito di collegi sindacali o di organismi di vigilanza, il tema del rapporto tra i due organi è di cruciale importanza. La necessità o, meglio, l’opportunità di assoggettare tale rapporto a regole precise risponde all’esigenza di evitare sovrapposizioni e duplicazioni di controlli, ma al contempo di massimizzare le sinergie derivanti dallo scambio virtuoso di flussi informativi. L’attività del collegio sindacale, inoltre, in quanto organo deputato a un controllo di ampio respiro qual è quello di legalità, non può limitarsi a questa cooperazione virtuosa, dovendo piuttosto trasformarsi in atteggiamento proattivo laddove l’ente soggetto al controllo non abbia provveduto ad adottare un modello 231 o, quanto meno, ad effettuare le doverose riflessioni al riguardo.

Per i professionisti che ricoprono ruoli nell’ambito di collegi sindacali o di organismi di vigilanza ex D.Lgs. n. 231/2001, il tema del rapporto tra i due organi è di cruciale importanza.

Salvo il caso in cui le funzioni di vigilanza sul modello di organizzazione, gestione e controllo adottato dall’ente siano affidate al collegio sindacale - circostanza espressamente prevista dall’art. 6, comma 4-bis, del decreto 231 - la necessità (rectius: opportunità) di assoggettare tale rapporto a regole precise risponde a esigenze piuttosto evidenti. Evitare sovrapposizioni e duplicazioni di controlli, ma al contempo massimizzare le sinergie derivanti dallo scambio virtuoso di flussi informativi: basterebbe solo questo a giustificare l’attenzione che correttamente in dottrina è stata dedicata al rapporto tra collegio sindacale e organismo di vigilanza.

Ma vi è di più. L’attività del collegio sindacale, in quanto organo deputato a un controllo di ampio respiro qual è quello di legalità, non può limitarsi a questa cooperazione virtuosa, dovendo piuttosto trasformarsi in atteggiamento proattivo laddove l’ente soggetto al controllo non abbia provveduto ad adottare un modello 231, o quanto meno ad effettuare le doverose riflessioni al riguardo.

È questo il senso della norma di comportamento che il CNDCEC ha adottato per fare in modo che i sindaci di società non quotate possano svolgere correttamente il proprio ruolo in relazione alla compliance al D.Lgs. n. 231/2001, anche in ragione del loro dovere di istituire assetti organizzativi adeguati ai sensi dell’art. 2086 c.c.

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In dettaglio, la norma 5.5. prevede che ai fini dello svolgimento dell’attività di vigilanza il collegio sindacale debba acquisire informazioni dall’organismo di vigilanza in merito alla funzione ad esso assegnata dalla legge al fine di vigilare sull’adeguatezza, sul funzionamento e sull'osservanza del modello 231. A tal fine il collegio deve verificare che il modello preveda termini e modalità dello scambio informativo dell’organismo di vigilanza a favore dell’organo amministrativo e dello stesso collegio sindacale.

Invero, come specificato a suo tempo dalla Fondazione nazionale dei Commercialisti nelle “Linee guida” per l’organismo di vigilanza e ribadito in tempi più recenti dal CNDCEC nei “Principi 231”, l’attività di reporting dell’organismo di vigilanza verso gli organi societari è fondamentale al fine di attestare l’effettività della vigilanza svolta. In particolare, assume rilievo la relazione che con cadenza periodica - in genere annuale - l’organismo di vigilanza predispone a favore dell’organo amministrativo per riepilogare le attività svolte nel periodo analizzato, dando evidenza delle eventuali criticità emerse, degli interventi correttivi pianificati e del loro stato di realizzazione, delle necessità di eventuali aggiornamenti del modello 231 e, infine, indicando il piano delle attività per il periodo successivo. In ragione delle ridette esigenze informative, è opportuno che tale relazione periodica venga trasmessa per opportuna conoscenza anche al collegio sindacale.

Nei criteri applicativi che accompagnano la norma 5.5. viene specificato che gli incontri tra collegio sindacale e organismo di vigilanza vanno preferibilmente programmati con cadenza annuale e che i contenuti di tali sessioni informative devono essere verbalizzati nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale. Al riguardo, pare addirittura superfluo evidenziare l’opportunità che l’organismo di vigilanza provveda a sua volta a redigere un verbale onde formalizzare opportunamente tali incontri, nell’ambito dei quali - seguendo la traccia delineata dai criteri applicativi - il collegio sindacale deve acquisire le informazioni relative al modello organizzativo adottato dalla società, al suo funzionamento e alla sua efficace attuazione.

Affinché tale scambio virtuoso possa avere luogo correttamente, il collegio deve prima di tutto verificare che nel modello organizzativo siano previsti appositi flussi informativi dall’organismo di vigilanza aventi ad oggetto, oltre che il funzionamento del modello, anche il suo aggiornamento, con particolare riferimento all’inserimento di nuovi reati presupposto e alle procedure poste a presidio delle relative aree di rischio.

Ad una logica di tutela del collegio sindacale risponde infine l’indicazione fornita dai criteri applicativi con riguardo alla circostanza che la società non abbia adottato il modello organizzativo: in tal caso il collegio, oltre a suggerire agli amministratori una adeguata riflessione in merito, “in assenza di valide ragioni” deve stimolare le “necessarie attivazioni”.

Laddove l’organo amministrativo non intenda adottare il modello nonostante le numerose sollecitazioni e non fornisca adeguate motivazioni, il collegio farà menzione di tale circostanza nella relazione al bilancio ex art. 2429 c.c. Ciò al fine di far constatare all’assemblea la propria diligenza in tal senso ed evitare, in ogni caso, qualsiasi possibile imputazione di responsabilità in solido con gli amministratori ai sensi dell’art. 2407, comma 2, c.c., ad esempio laddove la società sia condannata all’esito di un procedimento giudiziale ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001.

Si tratta di criterio comportamentale evidentemente improntato al presupposto che il collegio sindacale, in ragione degli obblighi di vigilanza sull’adeguatezza degli assetti organizzativi, non possa esimersi dall’invitare la società a effettuare quanto meno una valutazione dei rischi connessi al compimento di uno o più reati presupposto elencati dal decreto 231. Non a caso, nel commento alla norma 5.5. si raccomanda al collegio sindacale di verificare che gli amministratori, in adempimento dei loro doveri di diligenza, abbiano valutato l’adozione del modello organizzativo, verosimilmente attraverso lo svolgimento di un’attività di risk assessment finalizzata a valutare i “rischi 231” cui la società è esposta. All’esito di tale attività, infatti, l’organo amministrativo è tenuto a deliberare l’adozione del modello nel caso in cui i rischi rilevati siano tali da renderne necessaria la gestione e la mitigazione.

È di tutta evidenza che, sotto il profilo innanzi descritto, una vigilanza inadeguata e il mancato esercizio dei poteri di reazione che la legge accorda ai sindaci potrebbero esporre questi ultimi a responsabilità e, prima ancora, configurare nei loro confronti una giusta causa di revoca.

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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/impresa/contratti-dimpresa/quotidiano/2021/03/19/collegio-sindacale-organismo-vigilanza-sinergia-necessaria-adeguata-gestione-rischi-aziendali

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