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Covid e modello 231: il caso delle RSA

Le strutture socio-sanitarie, e in particolare le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), sono enti particolarmente a rischio in “ottica 231”: l’intrinseca natura della loro attività può potenzialmente coinvolgerle nella commissione di un’ampia varietà di reati tra quelli che rientrano nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità 231. Di conseguenza, la presenza di un modello di organizzazione, gestione e controllo appare indispensabile, soprattutto in questa drammatica fase storica, quanto meno per ridurre l’impatto travolgente della pandemia da Covid-19 e dei rischi ad essa connessi.

L’applicazione del D.Lgs. n. 231/2001 agli operatori del settore socio-sanitario costituisce una fattispecie di grande interesse: l’argomento è particolarmente sensibile e attuale.

Appurata la indefettibile e inderogabile attrazione delle strutture socio-sanitarie nel perimetro applicativo della normativa, è opportuno evidenziare come tali soggetti siano enti particolarmente a rischio in “ottica 231”, in quanto l’intrinseca natura della loro attività può potenzialmente coinvolgerli nella commissione di un’ampia varietà di reati tra quelli previsti dal decreto. Di conseguenza, la presenza di un modello di organizzazione, gestione e controllo appare indispensabile, soprattutto in questa drammatica fase storica, quanto meno per ridurre l’impatto travolgente del Covid-19 e dei rischi ad esso connessi.

Tra gli enti maggiormente “sotto osservazione”, a partire da marzo 2020, figurano senza dubbio le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), strutture non ospedaliere ma comunque a impronta sanitaria, che ospitano per un periodo variabile da poche settimane al tempo indeterminato persone non autosufficienti, che non possono essere assistite in casa e che necessitano di specifiche cure mediche di più specialisti e di un’articolata assistenza sanitaria.

Introdotte in Italia a metà degli anni ‘90, secondo il GNPL National Register - la banca dati realizzata dal Garante nazionale per la geolocalizzazione delle strutture socio-sanitarie assistenziali sul territorio italiano - al 2020 le RSA in Italia sono 4.629 e includono sia quelle pubbliche che quelle convenzionate con il pubblico e le private, di cui 2.651 al Nord, 668 al Centro, 493 al Sud e 817 nelle Isole.

I numerosi decessi per Covid-19 di ospiti presso RSA hanno interessato l’intero territorio nazionale: in alcuni casi sono stati avviati procedimenti per individuare eventuali responsabilità, anche ai fini 231/2001. A tal proposito, sarebbe interessante approfondire se l’adozione di idonei protocolli di prevenzione avesse potuto ridurre i casi e le contestazioni mosse alle persone fisiche e giuridiche coinvolte.

La gestione del rischio contagio da Covid-19 ha creato dinamiche nuove nell’organizzazione aziendale, la quale risulta esposta a rischi reato certamente rientranti nell’ambito applicativo del D.Lgs. n. 231/2001 e tali da imporre un’attenta riflessione sugli eventuali interventi da apportare ai modelli organizzativi e sul perimetro dell’azione dell’organismo di vigilanza.

La pandemia in corso, infatti, sta determinando in capo alle persone giuridiche una nuova esposizione:

- sia a rischi-reato diretti, connessi cioè alla innovativa gestione della sicurezza sul luogo di lavoro,

- sia a rischi-reato indiretti, originati dagli impatti dell’emergenza sull’attività di impresa, in relazione ad esempio alla disciplina dei nuovi strumenti di sussidio alle aziende o alle deroghe e semplificazioni introdotte in materia di contrattazione con la P.A. (ad esempio, affidamento diretto ai sensi dell’art. 99, comma 3, del decreto Cura Italia), alle nuove aree operative/commerciali nonché all’approssimarsi di nuove modalità di lavoro (es. smart working, e-commerce, videoconferenze).

La situazione attuale ha determinato l’obbligo (o l’opportunità) di intervenire sui modelli 231 già adottati. A ben vedere, si tratta di attività di gestione del rischio che dovrebbero essere già contemplate da modelli 231 che siano stati adeguatamente elaborati, secondo la logica e la struttura fissate, in termini chiarissimi, dall’art. 30, D.Lgs. n. 81/2008.

Nel caso specifico delle RSA e degli operatori sanitari, tra l’altro, in alcune Regioni (ad esempio, Lombardia, Sicilia e Calabria) è già previsto da diversi anni l’obbligo di adozione del modello 231/2001 nonché quello di inviare periodicamente flussi informativi (ad esempio alle ASL di competenza).

Va evidenziato che l’emergenza sanitaria in corso è stata determinata da un rischio certamente imprevisto e che anche nelle RSA, come in tutti gli enti, l’adozione di misure di prevenzione di fronte a fattori di rischio totalmente nuovi e di altissima intensità non è stato un processo immediato, soprattutto per gli enti sprovvisti di MOG.

Da un sondaggio dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), avviato a partire dal 24 marzo 2020 sul contagio da Covid-19 nelle residenze sanitarie assistenziali, è emerso dalle circa 1.000 risposte (sulle 3.400 strutture intervistate) che le principali difficoltà riscontrate nel corso dell’epidemia sono:

a. scarse informazioni ricevute circa le procedure da svolgere per contenere l’infezione;

b. mancanza di farmaci;

c. mancanza DPI;

d. assenze del personale sanitario;

e. isolamento e trasferimento dei residenti affetti da Covid-19 in strutture ospedaliere;

f. impossibilità nel far eseguire i tamponi.

A distanza di un anno, le organizzazioni (pubbliche e private) attive nel settore sanitario, tra cui anche le RSA, dovrebbero prevedere specifici presidi e strumenti di organizzazione aziendale per fronteggiare il rischio-reato da contagio nei seguenti processi a rischio 231:

- gestione e trattamento dei dati personali;

- gestione e trattamento dei rifiuti e scarti prodotti;

- reclutamento del personale;

- gestione dei rapporti con le aziende farmaceutiche;

- manutenzione delle apparecchiature elettromedicali;

- rapporti con i medici di base;

- gestione delle liste d’attesa per l’accesso alle prestazioni sanitarie;

- gestione dei flussi informativi sanitari e amministrativi da e verso la Pubblica Amministrazione;

- gestione del piano sicurezza sul lavoro;

- gestione degli approvvigionamenti di beni e servizi;

- gestione amministrativa e comunicazioni sociali.

In questo quadro, l’organismo di vigilanza è chiamato a innalzare la soglia d’attenzione, intensificando le verifiche sui processi sopra menzionati oltre che procedendo alla verifica del sistema di procedure aziendali rispetto ad aspetti strutturali, quali valutazione dell’idoneità dei luoghi di lavoro, degli impianti e delle attrezzature; aspetti organizzativi quali la gestione e formazione del personale, gli accessi da parte di familiari nella struttura, i rapporti con i fornitori; aspetti sanitari maggiormente legati alla specificità della crisi in atto, quali screening dello stato di salute, sanificazione di luoghi e utilizzo DPI.

Se si considera l’intero sistema del D.Lgs. n. 231/2001 non solo come un complesso sanzionatorio e di prevenzione di specifici illeciti, ma come un’occasione di responsabilizzazione su più livelli di un’organizzazione perché tenda alla massima tutela di tutti i soggetti che si rapportano ad essa, non si potrà che convenire sul fatto che un’adeguata compliance 231 possa mirare a prevenire eventi anche al di fuori del suo stretto ambito di applicazione, come nel caso del COVID e del suo impatto sconvolgente sull’intero sistema economico e sociale.

Pertanto, potremmo considerare l’attuale periodo come una opportunità ulteriore al fine di verificare la tenuta e l’idoneità del proprio modello 231. L’intensità della sollecitazione a cui sono sottoposti contemporaneamente moltissimi processi dell’ente impone, infatti, agli organismi di vigilanza di innalzare il livello di sensibilità, frequenza e reattività della propria azione di vigilanza e controllo.

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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/impresa/contratti-dimpresa/quotidiano/2021/03/26/covid-modello-231-rsa

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