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Interdizione post partum: tutela ante partum e presupposto per la tutela

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro si esprime riguardo la corretta procedura di emanazione dei provvedimenti di interdizione al lavoro delle lavoratrici madri in periodo successivo al parto con riferimento ai casi in cui sia necessario tutelare la salute di mamma e bambino, non potendo essere variate le mansioni ordinariamente svolte. Anche in questo caso i giorni di congedo obbligatorio ante partum non fruiti si aggiungono al termine della fruizione dei sette mesi decorrenti dalla data effettiva del part.

Con la nota n. 553 del 2 aprile 2021, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro interviene in merito all’emanazione dei provvedimenti di interdizione al lavoro delle lavoratrici madri in periodo successivo al parto, finalizzati a tutelare la salute della lavoratrice madre e della prole attraverso l’adozione di misure di protezione in relazione alle condizioni di lavoro e alle mansioni svolte o attraverso l’astensione dal lavoro.

E’ fatto divieto di adibire la lavoratrice al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché a lavori pericolosi faticosi ed insalubri. A tal fine gli organi di vigilanza possono autorizzare l’interdizione dal lavoro laddove non sia possibile adibire la lavoratrice ad altre mansioni, quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino”.

Ai fini dell’adozione dei provvedimenti di tutela, nei termini alternativi sopra richiamati, si ritiene sufficiente la mera constatazione della adibizione della lavoratrice madre a mansioni di trasporto e al sollevamento di pesi, a prescindere dalla valutazione del rischio inerente all’interno del DVR.

Qualora il rischio attinente al sollevamento dei pesi non sia stato espressamente valutato nel DVR, l’adibizione a tali mansioni costituirebbe comunque condizione sufficiente per il riconoscimento della tutela della lavoratrice con la conseguente emanazione del provvedimento di interdizione da parte dell’amministrazione competente, ferma restando una valutazione circa l’impossibilità di adibizione ad altre mansioni.

La stessa griurisprudenza, avendo qualificato la posizione giuridica vantata dalla lavoratrice in termini di diritto soggettivo, non ha mai riscontrato significativi margini di valutazione, neanche in termini di discrezionalità tecnica in ordine alla verifica delle effettive condizioni di lavoro della lavoratrice.

Qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni antecedenti al parto non goduti a titolo di astensione obbligatoria si aggiungano al periodo di congedo obbligatorio di maternità da fruire dopo il parto. Analogo principio trova applicazione nelle ipotesi di interdizione fino al settimo mese dopo il parto: i giorni di congedo obbligatorio ante partum non fruiti si aggiungono al termine della fruizione dei sette mesi decorrenti dalla data effettiva del parto.

Ne deriva che il provvedimento di interdizione adottato dall’ITL dovrà indicare la data effettiva del parto e far decorrere da tale data i sette mesi di interdizione post partum aggiungendo, ai predetti sette mesi, i giorni non goduti a causa del parto prematuro e avendo cura di richiamare in proposito la circolare INPS sopra riportata.

Pur in presenza di sentenza dichiarativa circa la sussistenza del diritto all’astensione, sia in ogni caso necessaria l’emanazione da parte dell’ITL del relativo provvedimento amministrativo di interdizione.

Per quanto attiene, invece, alla richiesta nei confronti dell’Istituto previdenziale per l’erogazione dell’indennità sostitutiva, occorre che la lavoratrice inoltri sempre un’apposita istanza all’INPS, in quanto la sentenza dichiarativa del diritto non sostituisce l’atto provvedimentale della PA inteso quale presupposto necessario per l’erogazione della relativa indennità.

Estrem5

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2021/04/03/interdizione-post-partum-tutela-ante-partum-presupposto-tutela

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