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Riders: perchè un algoritmo non può garantire la sicurezza sul lavoro

E’ passato del tempo dal decreto Rider e manca ancora un accordo nazionale che definisca la natura reale del rapporto di lavoro dei riders e i criteri di determinazione del loro compenso complessivo. Nel frattempo, il mondo si muove e la Procura di Milano anche. Un’indagine avviata nel 2019 assume una portata dirompente. Tralasciando di approfondire il tema previdenziale e assicurativo, va spesa qualche parola sulla conclusione secondo la quale ai rider va applicata l’intera disciplina in materia di sicurezza del lavoro. Come può l’estensione generalizzata delle norme del lavoro subordinato essere compatibile con la natura delle collaborazioni dei rider?

In un contesto in cui l’attività dei collaboratori delle piattaforme (a prescindere dalle modalità di svolgimento delle collaborazioni) è argomento all’ordine del giorno (si veda il recente sciopero dei driver lavoratori dipendenti di un noto colosso multinazionale delle consegne online e dell’intero “indotto”), l’indagine della Procura di Milano sulle piattaforme digitali del food delivery non è solo l’ennesimo “attenzionamento” riservato alle multinazionali che collaborano con i riders.

La magistratura, perlomeno quella lavoristica, è ormai a conoscenza del fenomeno sociale e di quello giuridico, essendosi oramai consolidata nella ricostruzione del rapporto di collaborazione del rider in termini di “etero-organizzazione”, e giungendo da ultimo perfino - con l’episodio giurisprudenziale (che mi auguro rimanga isolato) del Tribunale di Palermo (sentenza n. 3570 del 24 novembre 2020) - a riconoscervi i caratteri della subordinazione stessa.

Il legislatore interveniva nel settembre/novembre 2019 introducendo il Capo V-bis del D.Lgs. 81/2015 integralmente dedicato al lavoro nelle piattaforme, o più precisamente, come si evince dall’esame del suo ambito di applicazione, ai rider del food delivery. L’intervento è opportuno ma la sua risolutività è solo apparente: il decreto Rider (così veniva significativamente ribattezzato dalla stampa) in verità rischia di non trovare applicazione in assenza di un accordo nazionale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.

Serve un accordo nazionale al fine di escludere la disciplina sulle collaborazioni etero-organizzate di cui al comma 1 del D.Lgs. 81/2015, e serve un accordo sindacale al fine di definire i criteri di determinazione delcompenso complessivo dei rider ai sensi dell’art. 47-septies D.Lgs. 81/2015.

Finora tuttavia i tavoli aperti con i sindacati confederali non hanno condotto ad alcun punto di equilibrio; solo UGL ha infine sottoscritto il primo accordo nazionale dei rider, il 16 settembre 2020, di cui fatico a cogliere gli aspetti di antigiuridicità, ma cui ha fatto seguito l’avvio di una vera e propria campagna di demonizzazione, a tutti i livelli (politico, mediatico, sindacale e non solo…).

Questo è il contesto in cui si colloca il comunicato della Procura di Milano, che si riferisce ad un’indagine avviata nel 2019 ma che, collocata nel contesto dei nostri giorni, assume una portata dirompente.

Non mi concentro sul tema previdenziale e assicurativo, su cui si sono già soffermati molti autorevoli colleghi.

Considerata anche la genesi dell’indagine della Procura, vorrei invece spendere qualche parola sulla questione relativa alla conclusione per cui ai rider “può e anzi deve essere applicata l’intera disciplina di cui al D.Lgs. n. 81/2008 in materia di sicurezza del lavoro”.

A me pare che dal comunicato non solo non si evinca il confronto con quello che sarà il vero banco di prova delle tesi che sono state sostenute (ossia la tenuta del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro UGL Rider) ma neppure si riesca a comprendere se l’estensione tout court alle collaborazioni dei rider del Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul posto di lavoro (D.Lgs. 81/2008) sia conseguenza della natura “etero-organizzata” delle collaborazioni (tale sembrerebbe essere la posizione della Procura) o piuttosto di un’interpretazione estensiva della nozione di “lavoratore” ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. A), D.Lgs. 81/2008.

Senz’altro non è vero quanto pure ho letto in molte occasioni, ossia che nel comunicato della Procura vi sarebbe scritto che i riders sono lavoratori subordinati e che devono essere assunti. Questo, certamente, non è scritto.

Io comunque escludo che un’estensione generalizzata delle norme in materia di salute e sicurezza nel lavoro subordinato sia “ontologicamente compatibile” (per mutuare il principio espresso da Cassazione n. 1663/2020) con la natura delle collaborazioni dei rider, che rimane autonoma, a prescindere dalla asserita esistenza della “etero-organizzazione”.

Mi chiedo come si possa chiedere alla piattaforma di fornire la formazione in materia di sicurezza o prevedere la visita medica preassuntiva in favore di soggetti che spesso creano un account per poi neppure utilizzarlo, o che dopo poche consegne lo disattivano o lo lasciano inutilizzato.

Mi chiedo anche come i mezzi utilizzati per il servizio (quali biciclette o motorini) possano essere forniti dalla piattaforma: se così fosse, non discuteremo neppure di “etero-organizzazione” ma di piena subordinazione, posto che i lavoratori autonomi (e i rider lo sono) hanno una propria organizzazione di mezzi.

La verità è che quand’anche volesse accogliersi l’assunto per cui l’art. 2087 cod. civ. e il D.Lgs. 81/2008 rientrano nella “disciplina del rapporto di lavoro subordinato” richiamata dall’art. 2 del D.Lgs. 81/2015 comunque non ci si potrebbe esimere dall’effettuare il giudizio di compatibilità con la tipologia di collaborazioni in questione e con la loro natura autonoma.

E sono sicuramente molteplici gli obblighi di legge e le previsioni in relazione alle quali la giurisprudenza sarà chiamata a rivisitare il contenuto precettivo del D.Lgs. 81/2008 alla luce delle peculiarità dell’attività dei rider: dalla sorveglianza sanitaria (incompatibile, nel suo precetto letterale, con la tipologia contrattuale in questione e con i modelli di business delle piattaforme), in relazione alla quale potrà ad esempio essere considerato sufficiente richiedere al rider un’autocertificazione di assenza di controindicazioni al lavoro e idoneità all’attività; agli obblighi di formazione di cui all’art. 36 e 37 del Testo Unico, che potrà ritenersi possano essere compiutamente esperiti con modalità telematiche e/o per il tramite di videoregistrazioni; alla tematica relativa all’individuazione del preposto, e così via.

Ancora una volta l’auspicio è che la relazione sindacale sappia declinare, come si è provato a fare con il CCNL UGL Rider (e anzi magari osando qualcosa in più), il contenuto degli obblighi del Testo Unico in coerenza con la tipologia contrattuale.

Nel frattempo il 24 marzo 2021 Assodelivery sottoscrive con CGIL, CISL e UIL il “Protocollo quadro sperimentale per la legalità contro il caporalato, l’intermediazione illecita e lo sfruttamento lavorativo nel settore del food delivery”; atto di relazioni sindacali senz’altro importante, ma che non niente a che fare con l’indagine di cui al comunicato della Procura, e che, perlomeno in attesa della sua effettiva implementazione, sembra volto più a finalità di “estetica e cosmesi mediatica” che a sortire reali effetti concreti.

Il “caporalato dei rider” è una deriva da stroncare sul nascere, ma la partita del problema lavoristico è un’altra.

Il sindacato che oggi “fa il suo mestiere” quando invoca un tavolo allargato che possa considerare non solo i lavoratori dipendenti ma anche i driver di società terze fornitrici, deve essere in grado di assumersi l’incarico (e il carico) di rappresentare le collaborazioni autonome; ma con la consapevolezza che se la natura dei rapporti è diversa, anche i contenuti delle relazioni sindacali dovranno adeguarsi alle nuove realtà lavorative.

Altrimenti sotto scacco è l’intero settore, e con esso tutti i posti di lavoro (genuinamente autonomi) che questo ha contribuito a creare. Ne vale veramente la pena?

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2021/04/03/riders-algoritmo-non-garantire-sicurezza-lavoro

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