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Vaccinazione anti-Covid in azienda. Un’arma in più per la ripresa economica

Le indicazioni ad interim sulla vaccinazione anti-Covid nei luoghi di lavoro nascono dalla consapevolezza che la chiave di volta per battere la pandemia è la vaccinazione di massa. Una scelta giusta perché è chiaro che soltanto se vinceremo la guerra contro il virus potremo avere la speranza di una ripresa economica non effimera. E, dal momento che ormai tutti siamo convinti che la strada da battere sia questa, ritorna il tema dell’obbligo vaccinale o meno. Sicuramente è giusto obbligare coloro che operano in ambito sanitario, ma è giuridicamente corretto farlo con una norma non primaria?

Il 12 aprile i Ministeri del Lavoro e della Salute, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, la struttura di supporto alle attività del commissario straordinario per l’emergenza e l’INAIL hanno redatto un documento che fornisce le indicazioni ad interim sulla vaccinazione anti-Covid nei luoghi di lavoro. Qual è lo stato delle cose nel quale si inscrive tale iniziativa? Finalmente siamo tutti consapevoli che la chiave di volta per battere la pandemia è la vaccinazione di massa. A questa semplice convinzione siamo arrivati dopo percorsi lunghi e tortuosi. Nei quali si sono mescolate, di volta in volta, le questioni delle aperture-chiusure accanto a quelle dei vaccini e della prevenzione in generale. Adesso, la situazione sembra più chiara e determinata. Il presidente del Consiglio Draghi attribuisce al reperimento di un numero sufficiente di vaccini e alla possibilità di mobilitare energie sufficienti per la loro somministrazione un’importanza primaria. È una scelta giusta, convinto - come sono - che non si possano mettere sullo stesso piano la lotta alla pandemia e la ripresa dell’economia. Soltanto se vinceremo questa guerra contro il virus potremo avere speranza di una ripresa economica non effimera. In questo contesto, sicuramente difficile per tutti, è apparso come un segno altamente positivo l’accordo raggiunto al Ministero del Lavoro con le parti sociali per quanto riguarda la possibilità “aggiuntiva” di svolgere le vaccinazioni nei luoghi di lavoro. È da apprezzare l’iniziativa tempestiva del ministro Orlando. Come è da apprezzare la dichiarazione fatta dal ministro circa il fatto che non si sarebbe alzato dal tavolo finché non si fosse giunti a un’intesa. L’accordo dimostra il ruolo che possono svolgere le parti sociali se assumono, accanto alla dimensione della regolazione dei rapporti tra datori e lavoro, anche quella della responsabilità nazionale; vale a dire, di un intervento propositivo ai tempi dell’emergenza. Intervento che va a beneficio di tutti. Va anche segnalato, oltre al ruolo delle parti sociali, quello svolto dall’INAIL che - allo stesso tavolo - ha contribuito alla costruzione dell’accordo. Veniamo alla circolare interpretativa e applicativa delle disposizioni attraverso le indicazioni ad interim. È da sottolineare il fatto che questa modalità di vaccinazione all’interno dei luoghi di lavoro costituisce un’opportunità aggiuntiva rispetto alle modalità ordinarie dell’offerta vaccinale che saranno comunque - e sempre - garantite nel rispetto delle tempistiche dettate dal Piano nazionale di vaccinazione, qualora il lavoratore non intenda aderire in azienda. Va anche ribadito il fatto che i presupposti fondamentali per svolgere questa attività di vaccinazione nell’ambito delle aziende o in quello territoriale - quando ci troviamo di fronte a imprese di più piccola dimensione nelle quali non è previsto il medico competente - sono: la disponibilità di vaccini che non deve intralciare l’andamento del Piano nazionale; la disponibilità delle aziende, che, ovviamente, non sono obbligate a svolgere questa attività, ma “possono” svolgerla; la presenza del medico competente o di personale sanitario adeguatamente formato; la sussistenza di condizioni di sicurezza per la somministrazione delle dosi; infine, last but not least, l’adesione del lavoratore che deve essere volontaria e informata. L’adesione non può essere obbligatoria. Per quanto riguarda l’organizzazione di questa attività, come ha precisato l’INAIL, gli oneri sono a carico dei datori di lavoro o delle rispettive associazioni di categoria ad eccezione dei vaccini stessi, i quali sono a carico dello Stato. Sono esclusi anche i dispositivi per la somministrazione, così come gli strumenti formativi e per la registrazione delle vaccinazioni. Si tratta di garantire la massima efficacia della vaccinazione e il fatto che questa sia svolta in termini di sicurezza, compreso il periodo di osservazione post-somministrazione della durata di almeno 15 minuti. Va segnalato il fatto che, per la formazione del personale che deve svolgere le operazioni di vaccinazione, sulla piattaforma formativa dell’Istituto Superiore di Sanità, Eduiss, è disponibile il corso intitolato “Campagna vaccinale Covid-19: la somministrazione in sicurezza del vaccino anti SARS-CoV-2/Covid-19” che sarà integrato con uno specifico modulo per la vaccinazione nei luoghi di lavoro curato dall’Inail in collaborazione con l’Iss stesso. Su questa materia dei vaccini, dal momento che ormai tutti siamo convinti che la strada da battere sia questa - al di là delle problematiche insorte con alcuni prodotti, come quello di AstraZeneca e, più recentemente, di Johnson & Johnson, sulle quali sta vigilando l’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali - ritorna il tema dell’obbligo vaccinale o meno per gli operatori sanitari che è stato regolato con l'articolo 4, comma 1, del decreto legge 44 del 1° aprile 2021. Personalmente esprimo un’opinione: ritengo giusto che coloro che hanno a che fare con la vaccinazione, così come con le strutture sanitarie - come medici, infermieri, addetti alle cure assistenziali e alle pulizie - debbano sottostare a quell’obbligo. Bisogna, però, che ci sia una norma primaria, come prescrive l’articolo 32 della Costituzione, perché nessuno può essere “obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”, in quanto bisogna preservare la volontà del singolo come la salute della persona. Ma, al tempo stesso, “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”. Quindi, la collettività va tutelata come l’individuo. La Costituzione prevede perciò che, attraverso l’emanazione di una normativa di legge, si possa procedere all’obbligo vaccinale. Io penso che ciò sia giusto come anche il cosiddetto “scudo penale” per coloro che somministrano il vaccino. È assolutamente corretto evitare che ci siano conseguenze per il medico o l’infermiere che somministrano la dose di un vaccino validato dall’Ema e dall’Aifa - l’Agenzia Italiana del Farmaco - nel caso che la somministrazione stessa abbia conseguenze sulla salute del paziente. Ciò sarebbe assurdo anche se la chiamata in causa è un atto dovuto. Sarebbe opportuno fornire questo scudo legale distinguendo, ovviamente, l’evento ascrivibile alle conseguenze di una corretta somministrazione del vaccino dai casi di negligenza, di cattiva professionalità, non rispetto delle regole. A conclusione dei ragionamenti fin qui esposti, mi sento di sollevare un interrogativo: qual è il motivo della esclusione dell’INAIL dal Comitato Tecnico Scientifico vista, a detta di tutti, l’importanza del ruolo fin qui svolto nella battaglia contro la pandemia? Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/sicurezza-del-lavoro/quotidiano/2021/04/24/vaccinazione-anti-covid-azienda-arma-ripresa-economica

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