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PNRR e mercato del lavoro: la modernizzazione passa (finalmente) dagli investimenti

Migliorare il funzionamento del mercato del lavoro: è uno degli obiettivi del PNRR che rientra nella Missione n. 5 relativa a “Inclusione e coesione”. Gli interventi di riforma riguardano la revisione strutturale delle politiche attive del lavoro, il rafforzamento dei centri per l’impiego e la loro integrazione con i servizi sociali e con la rete degli operatori privati. Alla Missione n. 5 è abbinata la Missione n. 4, sui percorsi scolastici e universitari, con l’obiettivo di colmare il grave ritardo nella formazione anche rispetto ai paesi dell’Europa dell’Est. Si tratta di una sfida davvero importante, in cui la modernizzazione non sembra voler passare dalla riscrittura della disciplina del rapporto di lavoro, ma da investimenti in strutture e personale. Riuscirà ad accompagnare l’Italia verso un nuovo boom economico?

È noto oramai a tutti che, per rilanciare la crescita dopo l’esperienza della pandemia da Covid-19, l’Unione europea ha lanciato un piano di investimenti pubblici nazionali dotato di risorse mai viste prima: attraverso una pluralità di Fondi sono previsti finanziamenti, sia a fondo perduto, sia sotto forma di prestito (tanto per dare un’idea dei capitali coinvolti: si tenga conto che solo per l’Italia il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, RRF, prevede in 68,9 miliardi di euro di “sovvenzioni” senza obbligo di restituzione e 122,6 miliardi di euro in prestiti, per un totale complessivo di 191,5 miliardi di euro di investimenti). Questi interventi, tuttavia, non sono destinati a finanziare le partite correnti, ma specifici investimenti strutturali, da concordare con le istituzioni europee e da assoggettare a controlli nella fase esecutiva, al fine di assicurare il raggiungimento degli obiettivi prefissati. E si ricorderà come, fu proprio a ragione della genericità del Piano che l’Italia si apprestava a presentare nel dicembre dello scorso anno che venne ad aprirsi la crisi di maggioranza, che ha condotto all’insediamento del Governo attualmente in carica. La rielaborazione del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) ha richiesto in effetti quattro mesi di lavoro e non stupirà che a firmarne la Premessa sia proprio il Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Piano prende le mosse proprio dalla descrizione dell’impatto della pandemia di Covid-19 sull’economia italiana, segnalando come esso sia stato maggiore per impatto negativo rispetto agli altri Paesi europei, anche a ragione del fatto che l’Italia è stato il primo Paese a dover affrontare il contagio. Nel 2020, infatti, il prodotto interno lordo si è ridotto dell’8,9%, a fronte di un calo medio nell’Unione Europea del 6,2. L’Italia è nell’Unione europea il Paese che ha subito la maggior perdita di vite, in ordine sia ai decessi ufficiali dovuti al virus (stimati ad oggi in oltre centomila), sia alle morti conseguenti ad altre patologie, che hanno smesso di ricevere sistematiche cure ospedaliere. Come si legge nella Prefazione, la crisi si è abbattuta su un Paese già fragile dal punto di vista economico, sociale ed ambientale. Tra il 1999 e il 2019, il PIL in Italia è cresciuto in totale del 7,9%, mentre nello stesso periodo in Germania, Francia e Spagna, l’aumento è stato rispettivamente del 30,2, del 32,4 e 43,6%. Tra il 2005 e il 2019, il numero di persone sotto la soglia di povertà è salita dal 3,3 al 7,7% della popolazione – prima di aumentare ulteriormente nel 2020 fino al 9,4%. Ad essere particolarmente colpiti sono stati donne e giovani: l’Italia continua infatti ad essere lo Stato dell’UE con il più alto tasso di giovani tra i 15 e i 29 anni non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione (NEET), e il tasso di partecipazione delle donne al lavoro in Italia è solo il 53,1%, molto al di sotto del 67,4% della media europea, con dati sconfortanti nella gran parte delle provincie del Paese. Questi problemi sono ancora più accentuati nel Mezzogiorno, dove il processo di convergenza con le aree più ricche della Penisola è ormai fermo da almeno venti anni. Come si vede, il panorama complessivo dello stato dell’economia italiana è davvero preoccupante e la criticità del momento ha prodotto la straordinaria convergenza di forze che al momento sostiene il Governo, unendo sostanzialmente entrambi i rami del Parlamento. Evidente, dunque, come dal PNRR ci si aspetti un’azione diretta ad invertire le tendenze, riportando l’intero Paese verso obiettivi di sviluppo del benessere generale. Il Piano si articola in varie missioni e in due obiettivi orizzontali: giustizia e pubblica amministrazione. Ed in verità sono proprio questi ultimi due ambiti a rappresentare i punti critici del sistema economico, poiché appare evidente come la modernizzazione valga in questi casi ad assicurare un approccio più produttivo sia alle iniziative dei singoli, sia alla stessa azione di Governo, che spesso rimane frenata dalla capacità della macchina burocratica di dare attuazione alle decisioni maturate a livello politico. Nello stesso senso è evidente come maggiore certezza nei risultati e una riduzione nei tempi necessari a vedere garantito il rispetto degli impegni contrattuali assunti dai singoli e dalle imprese giovino enormemente all’attività economica. In questo senso le riforme dovrebbero interessare, non solo l’attività decisoria della magistratura (rendendola meno esposta alle oscillazioni dei singoli, anche attraverso una produzione legislativa meno equivoca e più snella), ma soprattutto la fase dell’esecuzione, che da sempre rappresenta il punto debole del sistema giudiziario, consentendo ai furbi di sottrarsi facilmente all’efficacia delle sentenze che dispongono la condanna al pagamento di somme o alla restituzione di beni ed immobili. Mettendo qui da parte gli obiettivi collegati alla c.d. transizione ecologica e al piano di sviluppo delle infrastrutture non solo viarie, si deve dire che, dal punto di vista dei temi del lavoro, il PNRR si presenta come un gigantesco strumento di promozione delle capacità professionali dei lavoratori italiani, interessando profondamente il settore dell’istruzione, ponendo al centro i giovani ed affrontando i temi dell’inclusione sociale e della capacità di adattamento alle sfide tecnologiche e ambientali del futuro. Il Piano intende intervenire (è la “Missione” n. 4) sui percorsi scolastici e universitari degli studenti, diffondendo l’istruzione e migliorando “la capacità delle famiglie di investire nell’acquisizione di competenze avanzate”. Si prevede anche un sostanziale rafforzamento dei sistemi di ricerca “di base” e “applicata” e nuovi strumenti per il “trasferimento tecnologico”, riformando il sistema dell’istruzione universitaria. Da lunghi anni, infatti, si registra un grave ritardo nella formazione, che lascia indietro l’Italia, anche rispetto ai paesi dell’Europa dell’Est, il cui sistema scolastico nel complesso sembra dimostrarsi migliore di quello italiano, incapace di assicurare agli studenti quelle conoscenze minime, che consentono poi di potersi approcciare con le nuove tecnologie, incrementando la capacità produttiva del sistema economico ed assicurandosi un posto di lavoro non precario. Gli interventi più specificamente dedicati a migliorare il funzionamento del mercato del lavoro sono però concentrati nella parte (“Missione” n. 5), intitolata alla “Inclusione e coesione” e comprendono una revisione strutturale delle politiche attive del lavoro, un rafforzamento dei centri per l’impiego e la loro integrazione con i servizi sociali e con la rete degli operatori privati. Si interviene in sostegno alle situazioni di fragilità sociale ed economica, alle famiglie, alla genitorialità e alle persone con disabilità o non autosufficienti. Una volta tanto, la modernizzazione non sembra voler passare dalla riscrittura della disciplina del rapporto di lavoro, ma da investimenti in strutture e personale: si promuovono così concrete misure di parità di genere (anche attraverso uno specifico Piano asili nido, previsto nella “Missione” 4), investimenti e assunzioni nel settore delle politiche attive del lavoro (da sempre severamente sottodimensionato rispetto a qualunque altro paese europeo), un Piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso, che intende generalizzare gli strumenti messi a punto nel settore del contrasto al caporalato in agricoltura, anche attraverso l’incremento di 2000 unità nelle assunzioni previste presso l’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Si tratta, in conclusione, di una sfida davvero importante che ha in mente obiettivi noti da tempo, e mai davvero perseguiti con risorse adeguate, e che dovrebbe valere a rivitalizzare le capacità produttive ed imprenditoriali della società italiana, che, come ricorda lo stesso Premier nella sua Prefazione, portarono l’Italia a tassi di crescita superiori al 5% annuo nel periodo del boom economico. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2021/05/29/pnrr-mercato-lavoro-modernizzazione-passa-finalmente-investimenti

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