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Politiche attive del lavoro: il rilancio anche (e soprattutto) nel PNRR

Il PNRR, alla quinta Missione, mette in cantiere una riorganizzazione del sistema delle politiche attive del lavoro e il potenziamento dei centri per l’impiego. Lo sviluppo dei servizi di politica attiva del lavoro risponde ad una profonda esigenza del sistema produttivo italiano. A tal fine, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede la riforma dell’assegno “di ricollocazione”, il lancio del programma nazionale “Garanzia di occupabilità dei lavoratori” e lo sviluppo del già esistente “Fondo nuove competenze”. Sarà l’occasione giusta per creare una rete di servizi per l’impiego efficiente e che risponda alle esigenze di imprese e lavoratori?

Il Recovery Plan (o più correttamente Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza - PNRR) prevede nell’ambito della sua quinta Missione, seppure solamente in forma di abbozzo, una riorganizzazione del sistema delle politiche attive del lavoro. Si tratta di misure cui viene destinata una parte importante delle risorse messe a disposizione dall’Unione Europea, ed in particolare l’importo di 5 miliardi di euro, tenendo conto anche dello sviluppo del sistema “duale” di formazione.   Un ulteriore miliardo di euro è invece destinato sia al potenziamento dei centri per l’impiego già esistenti (principalmente grazie a nuove assunzioni, finanziate per 400 milioni a valere su fondi statali e per 200, grazie al Fondo europeo), sia alla creazione e allo sviluppo dell’imprenditoria femminile, attraverso il finanziamento di misure di sostegno diretto e di “accompagnamento”, secondo un disegno che, anche in questo caso, resta delineato solo in via di massima (si tratta di un intervento di finanziamento che comporta una spesa di 400 milioni di euro).  Lo sviluppo dei servizi di politica attiva del lavoro risponde, come tante volte si è sottolineato in questa sede, ad una profonda esigenza del sistema produttivo italiano che soffre di una duplice malattia, poiché né i datori di lavoro riescono a trovare personale dotato delle competenze professionali che sarebbero necessarie allo sviluppo della loro attività di impresa, né i lavoratori sono in grado di intercettare velocemente le offerte di lavoro che provengono dalle imprese, finendo così per prolungare la loro disoccupazione, ben oltre il limite temporale, che in altri contesti nazionali è necessario per rinvenire nuova occupazione.   Questo mancato incontro (mismatch, come si suol dire con termine inglese, ma potrebbe parlarsi di un “bisticcio”) è alla base degli interventi degli ultimi anni, ma – come è evidente – richiede investimenti di grande rilievo, per far sì che i servizi, offerti da imprese private o da uffici pubblici, possano dedicarsi attivamente ai disoccupati, che prendono in carico (si tenga conto, per dare un esempio, che il rapporto in alcuni paesi europei è tale che, in ragione di mese, un operatore segue poco più di una ventina di disoccupati).   A tal fine, il PNRR prevede la revisione dell’assegno “di ricollocazione”, il lancio di un programma nazionale (“Garanzia di occupabilità dei lavoratori”), che preveda un sistema di presa in carico unico dei disoccupati e delle persone in transizione occupazionale (percettori di RdC, NASpI, CIGS), nonché, per tutti i lavoratori già occupati, il finanziamento e lo sviluppo del già esistente “Fondo nuove competenze”.   L’assegno di ricollocazione (Adr) è uno strumento già previsto dal Jobs Act del 2015 e consiste in un importo riconosciuto al singolo disoccupato, da “spendere” solo presso i soggetti che forniscono servizi di assistenza per la ricerca di occupazione (centri per l’impiego o enti privati, accreditati ai servizi per il lavoro).   Si innesca in questo modo una competizione fra pubblico e privato, poiché è solo nel caso in cui il soggetto scelto dal disoccupato riesce ad andare a bersaglio, trovando un’occupazione per lui stabile, che l’assegno viene effettivamente pagato, riconoscendo al servizio un importo che varia in relazione alla difficoltà del collocamento (di modo che, per fare un esempio, nel caso in cui al disoccupato viene offerto un contratto di lavoro, anche di apprendistato, a tempo indeterminato l’assegno vale sino a 5.000 euro, mentre se si tratta più modestamente di un contratto a termine di breve durata, l’importo di cui godrà l’agenzia per il lavoro o l’ufficio pubblico oscillerà fra 500 e 2.500 euro, o anche, nei casi in cui l’impiego sia molto precario, da 250 a 1.250 euro.  Il Recovery Plan si prefigge di finanziare assai generosamente questa misura, sebbene preveda una unificazione dei due sistemi in questo momento esistenti: infatti, a seguito della introduzione del Reddito di cittadinanza (intervenuta nel gennaio del 2019), chi percepisce il “reddito” ed è chiamato a sottoscrivere un “patto per il lavoro”, riceve l’assegno di ricollocazione, venendosi tuttavia ad avvalere di un canale di “collocamento” speciale e su un coordinamento centrale, attribuito all’ANPAL che ha operato attraverso i famosi “navigator”. In questo senso, il PNRR ipotizza di unificare il sistema e di indirizzarlo non solo a quanti sono stati da poco licenziati e godono perciò dell’indennità di disoccupazione finanziata attraverso i versamenti contributivi (NASpI), ma anche a chi non ha ancora (almeno formalmente) perso il proprio posto di lavoro (come per i “cassintegrati”) e ai tanti che sono disoccupati da lungo tempo o che non hanno mai lavorato in maniera stabile (e, trovandosi in condizione di povertà, hanno perciò diritto ad avere accesso al “reddito di cittadinanza”).   Questa unificazione prospettata attraverso il lancio della “Garanzia di occupabilità dei lavoratori” (che ricorderà ai più il sostanziale successo di “Garanzia giovani”), sebbene risponda ad evidenti economie di scala e alla necessità di semplificare un sistema altrimenti troppo complesso, assicurando un eguale livello di “servizio” a tutti i disoccupati della Penisola, richiederà tuttavia un qualche adattamento dell’approccio, posto che rischia di collocare su uno stesso piano soggetti abbastanza eterogenei per storia professionale e per capacità professionali.  Si deve poi parlare del “Piano Nazionale Nuove Competenze” e del già esistente “Fondo nuove competenze”, che si rivolge ai lavoratori già occupati per finanziare interventi di formazione e riqualificazione professionale. Anche se, in entrambi i casi, l’obiettivo è quello di intervenire e migliorare un sistema produttivo, quale quello nazionale, basato in larga parte su una manodopera a bassa scolarità, le modalità di intervento sono diverse. Nel primo caso, infatti, si tratta ancora di rafforzare il sistema di interscambio di offerta e domanda di lavoro, e quindi gli archivi dei servizi per l’impiego, individuando competenze standardizzate e suscettibili di essere descritte attraverso un sistema di certificazione, che risponda a un modello di qualificazione tendenzialmente universale, così da rendere possibile un immediato inserimento lavorativo a quanti posseggano già le abilità richiesta dal nuovo datore di lavoro.  Nel secondo caso, invece, il perimetro dell’operazione è tutta aziendale, poiché il Fondo offre una forma di sostegno economico alla riqualificazione del personale che, in altri tempi, sarebbe stata finanziata attraverso la cassa integrazione straordinaria.  Da ultimo, si deve ricordare l’intervento a sostegno dello sviluppo del sistema c.d. “duale” che mira a fare delle università, e degli istituti tecnici della scuola superiore, una porta di accesso diretto alle professioni e al lavoro nell’impresa. Non si tratta certo di abbandonare la funzione lato sensu culturale degli atenei o il ruolo propriamente formativo di licei e scuole superiori (che, non a caso, erano un tempo rivolte ad assicurare la “maturità” degli studenti), ma, ove correttamente si intenda l’obiettivo che il Piano si propone, di ritornare alla vocazione storica di tutte le istituzioni formative, pubbliche e private, quali luoghi nei quali si apprendono gli elementi istituzionali che consentono un veloce (se non immediato) inserimento nel mondo del lavoro.  Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2021/07/03/politiche-attive-lavoro-rilancio-e-soprattutto-pnrr

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