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Minimi tabellari dei CCNL come salario minimo: una soluzione con tanti punti di forza

L’Italia è uno dei pochi Paesi europei senza salario minimo erga omnes. I minimi retributivi sono infatti stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale, che però subisce gli effetti di una forte frammentazione associativa, della forte incidenza di lavoro “povero” e di enormi tassi di elusione. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di assumere i minimi tabellari dei CCNL come salario minimo. Se ne parlerà nel corso del 10° Forum One LAVORO, organizzato da Wolters Kluwer in collaborazione con Dottrina Per il Lavoro, in live streaming il 1° dicembre 2021.

La discussione sul salario minimo è prepotentemente tornata centrale nel dibattito pubblico, nel nostro Paese ed in Europa. A dire il vero, la questione più generale che fa da sfondo anche a quella del salario minimo, è la questione salariale. Negli ultimi 30 anni, infatti, specie in Italia dopo la grande crisi sono aumentate, a danno della componente lavoro, le disuguaglianze nella redistribuzione del reddito e della ricchezza prodotti. L’austerità e le riforme strutturali nei fatti hanno accentuato questa tendenza; allo stesso tempo pressione fiscale e cuneo sul costo del lavoro non sono sufficienti a produrre un riequilibrio. Salari stagnanti, nonostante l’importante funzione svolta dalla contrattazione, con enormi differenze sul piano del genere, geografico, anagrafici e della dimensione aziendale, sono per l’Italia fonte di immobilismo sociale e disuguaglianze crescenti. In Italia la questione è pesante ma in realtà il tema di garantire salari dignitosi si pone anche in tutta l’Europa. Nel Pilastro Europeo dei diritti sociali, al principio n. 6, si è ribadito che “i lavoratori hanno diritto ad una retribuzione equa, che offra un tenore di vita dignitoso. Vanno garantite retribuzioni minime adeguate che soddisfino i bisogni del lavoratore e della sua famiglia (…). La povertà lavorativa deve essere prevenuta”.

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Perché introdurre il salario minimo Perché quindi negli ultimi anni si parla tanto di salario minimo? Per alcune ragioni che è giusto affrontare: l’aumento delle disuguaglianze e della povertà anche fra chi un lavoro lo avrebbe, l‘accresciuta mobilità del lavoro e del capitale, che ha ovunque aumentato il rischio di dumping salariale, la forte diffusione di lavoro precario e poco sindacalizzato, l’indebolimento delle rappresentanze associative che negoziano il salario. A partire da queste problematiche il salario minimo serve per rispettare la dignità di chi lavora in relazione alla quantità e alla qualità del suo apporto, per contrastare la povertà, evitare dumping, creare inclusione, sostenere la dinamica salariale con un “effetto onda” verso i livelli superiori e quindi anche per aumentare consumi e domanda interna. Prospettive europee… Si sta proprio in queste settimane discutendo una direttiva europea sui salari minimi adeguati nella Unione Europea. Una direttiva importante per le confederazioni sindacali, da tempo impegnate nella campagna per la convergenza salariale, consapevoli che il divario salariale fra e nei paesi europei favorisce la concorrenza sleale e la delocalizzazione delle imprese, come abbiamo visto anche da noi, oltre che la disparità di genere e alimentare la crescita di salari poveri. Anche in Europa la discussione si è sviluppata sulla necessità di ricercare un equilibrio fra salari minimi legali e contrattazione collettiva, non solo per rispettare le diverse tradizioni presenti nei paesi europei, ma soprattutto per ribadire che salari adeguati hanno bisogno della contrattazione in quanto non è sufficiente la misura salariale minima a definire un buon lavoro, ma vanno definite condizioni e diritti del lavoro. Salari bassi possono essere nell’immediato un minor costo per l’impresa, ma si riflettono comunque negativamente sulla domanda aggregata tramite minori consumi. Quando si parla quindi di salario minimo occorrerebbe sempre farlo in prospettiva comparata, perché le multinazionali sono diventate soggetti centrali nelle dinamiche economiche e normative nazionali e locali, perché le sfide sono sempre più globali, perché le organizzazioni internazionali esercitano un ruolo sempre più grande nella trasformazione dei sistemi occupazionali e sociali di ciascun Paese. … e situazione italiana L’Italia è uno dei pochi Paesi europei senza salario minimo e senza erga omnes; infatti, il salario minimo viene stabilito dalla contrattazione collettiva nazionale. Le difficoltà nel nostro Paese di tenuta della contrattazione derivano dalla forte frammentazione associativa, dalla forte incidenza di lavoro povero, da enormi tassi di elusione dove è anche più forte la concentrazione di lavoro immigrato. Altri sistemi che si assomigliano al nostro, come Austria e Scandinavia, hanno però il vantaggio di poter contare più di noi su una forte coesione e solida statualità e di semi-monopoli associativi. Nei Paesi in cui vige un salario minimo può essere stato determinato per via contrattuale, con un modello consultivo, con un modello unilaterale, in cui il legislatore decide da solo. Il valore dei salari minimi legali va da meno di 1€ a oltre 12€. La situazione in Italia deve saper tener conto della peculiarità del nostro Paese e di una copertura della contrattazione collettiva molto ampia. La problematica maggiore, infatti, non è tanto quella dei salari minimi, pur presente in alcuni settori, ma quella della proliferazione contrattuale, della diffusione e crescita di contratti poco o per nulla rappresentativi che fanno dumping rispetto ai contratti stipulati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, della evasione ed elusione contrattuale e della ampia fetta di lavoro sommerso. Una possibile soluzione, che deve veder affrontare queste criticità legate alla rappresentanza e alla necessita di dare attuazione erga omnes ai contratti stipulati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, potrebbe essere quella di assumere i minimi tabellari dei CCNL come salario minimo, garantendo così non solo una paga oraria, ma il trattamento economico complessivo garantito dalla contrattazione collettiva. In conclusione Non è detto quindi esista per definizione un modello migliore per definizione. Ciò che è evidente è che non è rinviabile una discussione sulla condizione salariale in Italia, paese in cui sui salari medi lordi già mediamente più bassi che in altri paesi europei si esercita una pressione fiscale più alta. Questa pressione fiscale è insopportabile in particolare per le lavoratrici e i lavoratori dipendenti e per i pensionati che contribuiscono al gettito IRPEF per il 94 % dell’imposta netta. Per questo occorre affiancare a una seria letta alla evasione dentro un processo di revisione complessiva del nostro sistema fiscale, una forte riduzione delle imposte che grava su queste categorie.
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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2021/11/24/minimi-tabellari-ccnl-salario-minimo-soluzione-tanti-punti-forza

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