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Diffida accertativa: il datore di lavoro può sempre impugnarla

La diffida accertativa, ancorché abbia acquisito valore di titolo esecutivo, non impedisce al datore di promuovere un’azione giudiziale volta a contestare l’accertamento in essa contenuto. E’ quanto deciso dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 23744 del 2022. In particolare, la circostanza che la diffida acquisti il valore di titolo esecutivo non determina un passaggio in giudicato dell'accertamento in essa contenuto, che può sempre essere contestato. Secondo la Suprema Corte, infatti, la mancata opposizione alla diffida accertativa od il rigetto della stessa in via amministrativa, non precludono in alcun modo al datore di contestare in giudizio l'esistenza del diritto in essa riportato.

Anche se ha acquisito valore di titolo esecutivo, il datore di lavoro può sempre promuovere un’azione giudiziale per impugnare la diffida accertativa per crediti patrimoniali e contestare, in tal modo, il relativo accertamento. E’ quanto sancito, in sede di legittimità, dalla Suprema Corte con l’ordinanza n. 23744 del 29 luglio 2022. L’estensione del gravame sul provvedimento adottato dal personale ispettivo dell’INL si aggiunge così alle novità introdotte meno di due anni fa dalla Legge n. 120/2020 modificando, in tal modo, la struttura di questo importante baluardo giuridico posto a tutela dei diritti patrimoniali dei lavoratori. Di che cosa si tratta Introdotta allo scopo di deflazionare il contenzioso giudiziale e garantire così una più rapida soddisfazione degli interessi di natura patrimoniale dei lavoratori, l’art. 12 del D.Lgs. n. 124/2004 definisce la diffida accertativa come un accertamento tecnico svolto in sede amministrativa. Il Legislatore, con l’introduzione nell’ordinamento di questo istituto, ha per la prima volta disciplinato un titolo esecutivo di formazione amministrativa per la soddisfazione di un diritto soggettivo privato. Tale istituto prevede che, qualora il personale ispettivo dell’INL abbia prova che, per inosservanze della disciplina contrattuale, il lavoratore vanti un credito patrimoniale (es. retribuzioni non corrisposte, indennità non riconosciute, TFR non pagato, ecc.), diffidi il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti. Affinché il personale ispettivo, tuttavia, possa adottare questo provvedimento è necessario che il credito vantato dal lavoratore sia certo nell’an e nel quantum, ovverosia che abbia le seguenti caratteristiche: - certezza, deve risultare da un documento legalmente idoneo a formare il titolo esecutivo (non assoluta, né massima, ma legale); - liquidità: espressione del credito in danaro o altra quantità di cose mobili fungibili; - esigibilità: condizione che si realizza quando il termine per il relativo pagamento sia già scaduto. La conseguenza è che il personale ispettivo, nella formazione di questo provvedimento, ha una sorta di discrezionalità vincolata in quanto, se il credito vantato dal lavoratore è carente di taluni elementi, il provvedimento può non essere adottato (o addirittura ne è preclusa l’adozione); al contrario qualora dall’accertamento ispettivo emergano tutti gli elementi necessari e sufficienti, la diffida accertativa deve essere adottata. A questo proposito, la prassi amministrativa ha affermato che occorre considerare la natura della diffida che, nell'ambito delle competenze dell'ispettore del lavoro, non costituisce attività obbligatoria bensì facoltativa da attuare a seguito della valutazione delle situazioni concretamente rilevate (cfr. MLPS nota n. 101/Ris del 15/05/2006; INL nota n. 4623 del 24/05/2018). Per l’adozione del provvedimento di diffida accertativa il personale ispettivo valuterà soltanto i crediti da lavoro oggettivamente non prescritti nel termine quinquennale decorrente dal momento in cui il diritto poteva essere fatto valere, tenendo in debito conto, tuttavia, gli atti interruttivi eventualmente attuati e documentati dal lavoratore ai sensi dell’art. 1219 c.c. Una delle novità introdotte dalla Legge n. 120/2020 è rappresentata dall’estensione delle garanzie a favore del lavoratore creditore. Adesso, difatti, la diffida trova applicazione non soltanto nei confronti del datore di lavoro, ma anche nei confronti dei soggetti che comunque utilizzino le prestazioni di lavoro e che sono considerati solidalmente responsabili per i crediti accertati. In pratica certamente parliamo: - del committente nell’ambito di contratti di appalto e subappalto di opere e di servizi (cfr. art. 1676 c.c.; art. 29, co. 2. D.Lgs. n. 276/2003); - dell’utilizzatore nel contratto di somministrazione di lavoro (cfr. art. 35, co. 2, D.Lgs, n. 81/2015); - del distaccatario nell’ambito del distacco transnazionale (cfr. art. 4, D.Lgs. n. 136/2016; INL circ. n. 1/2017). Ma non solo. Difatti, negli ultimi anni è emerso un rilevante orientamento giurisprudenziale e amministrativo che si è mostrato disponibile ad estendere, in via analogica, il principio della responsabilità solidale anche ad altre fattispecie negoziali affini all’appalto, in ragione di una maggior tutela dei lavoratori interessati. Proprio in questo solco si va a collocare la sentenza della Corte Costituzionale n. 254/2017 che ha fornito una rivoluzionaria interpretazione estensiva dell’art. 29, co. 2 del D.Lgs. n. 276/2003 affermando che non solo nell’appalto devono essere presenti queste forme di garanzia, ma che “(…) il committente è obbligato in solido (anche) con il subfornitore relativamente ai crediti lavorativi, contributivi e assicurativi dei dipendenti di questi”. Traendo spunto da questa decisione, l’INL ha evidenziato che il vincolo di solidarietà previsto dall’art. 29, co. 2, del D.Lgs. n. 276/2003, oltre che alla catena degli appalti, va necessariamente esteso a tutte le forme di decentramento produttivo (es. subfornitura, rapporti tra consorzio e società consorziate, distacco) nelle quali viene in rilievo l’esigenza di salvaguardia dei lavoratori in presenza di una “dissociazione” tra datore di lavoro e utilizzatore della prestazione lavorativa (Cfr. INL Circ. n. 6/2018). Conseguentemente, dal 2020 il personale ispettivo dell’INL può adottare il provvedimento di diffida accertativa anche nei confronti dell’utilizzatore delle prestazioni lavorative (obbligato in solido) nell’ambito di tutte le suddette forme di esternalizzazione, ivi comprese quelle illecite (es. appalto illecito o somministrazione fraudolenta). Proprio con riferimento alle forme illecite di esternalizzazione, la determinazione delle retribuzioni dovute al lavoratore, secondo la circolare INL n. 6/2020, andrà fatta sulla base del contratto collettivo applicato dall’utilizzatore anche per quanto riguarda l’inquadramento contrattuale del lavoratore. Difatti, rimarca l’Agenzia, l’art. 35, co. 1, del D.Lgs. n. 81/2015 prevede che “per tutta la durata della missione presso l'utilizzatore, i lavoratori del somministratore hanno diritto, a parità di mansioni svolte, a condizioni economiche e normative complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore”. Effetti del provvedimento Una volta notificato ritualmente il provvedimento, il datore di lavoro (o alternativamente l’obbligato in solido) ha l’obbligo di pagare la somma ivi indicata, direttamente a favore del lavoratore, nel termine di trenta giorni. Qualora, tuttavia, il datore di lavoro diffidato (e/o l’obbligato in solido) non ritenga di dover adempiere (in tutto o in parte) al provvedimento, ha facoltà di promuovere, nel termine perentorio di trenta giorni dalla notifica, un tentativo di conciliazione presso l’Ispettorato del lavoro territorialmente competente. In considerazione delle caratteristiche e delle finalità dell’istituto, la conciliazione va effettuata secondo le modalità procedurali previste dall’art. 11, del D.Lgs. 124/2004 (conciliazione monocratica). L’eventuale accordo raggiunto in detta sede ha come conseguenza la perdita di efficacia della diffida accertativa, con la conseguenza che le rinunzie e le transazioni economiche risultanti a verbale sono inoppugnabili ai sensi dell’art. 2113, co. 4, c.c. ed il verbale di accordo, su istanza della parte interessata, diviene esecutivo con decreto del giudice competente, come previsto, in via generale, per tutte le conciliazioni monocratiche, dal co. 3 bis dell’art. 11 del D.Lgs. n. 124/2004. Un’altra importante novità riguarda introdotta dalla Legge n. 120/2020 è rappresentata dalla possibilità, per i destinatari del provvedimento in questione, di promuovere - entro trenta giorni dalla notifica ed in alternativa alla richiesta di conciliazione monocratica - un ricorso al direttore dell'Ispettorato territoriale che ha adottato l'atto. Il ricorso, da notificare anche al lavoratore, sospende l'esecutività della diffida ed è deciso nel termine di sessanta giorni dalla presentazione. La diffida acquista automaticamente efficacia di titolo esecutivo, senza alcun ulteriore provvedimento da parte del dirigente di sede o da parte dell’ufficio, in presenza delle seguenti circostanze: - trascorsi 30 giorni dalla notifica, salvo che non sia promosso un tentativo di conciliazione o sia presentato ricorso al direttore dell’ufficio che ha adottato l’atto; - in caso di mancato raggiungimento di un accordo in sede conciliativa, attestato da apposito verbale; - in caso di rigetto del ricorso. Prima con la circ. n. 6 del 05/10/2020 e poi con la nota n. 811 del 07/10/2020, l’Ispettorato nazionale del lavoro ha fornito alcune rilevanti indicazioni operative per la corretta emanazione del provvedimento in parola e per la gestione dell’eventuale fase di contenzioso.

Diffida accertativa: indicazioni operative dell’INL
Diffida accertativa in caso di appaltoLa diffida accertativa, nell’ambito di un appalto o di una somministrazione di manodopera, avrà in ogni caso come destinatari sia il datore di lavoro sia l’effettivo utilizzatore delle prestazioni di lavoro obbligato in solido ai quali il lavoratore potrà, quindi, indifferentemente rivolgersi per la riscossione del credito patrimoniale; La diffida all’obbligato in solido va notificata anche in ipotesi di accertata illecita esternalizzazione (es. appalto illecito, somministrazione fraudolenta);
Tentativo di conciliazione in sede monocraticaNelle esternalizzazioni la facoltà di richiederla è prevista tanto a favore del datore di lavoro quanto dell’obbligato in solido; Vanno convocati tutti i soggetti coinvolti (datore di lavoro, lavoratore ed eventuale obbligato in solido); Nell’eventualità in cui siano formalizzate distinte istanze di conciliazione da parte dei soggetti obbligati, si dovrà assicurare sempre la loro trattazione unitaria in presenza di tutte le parti; Fino alla conclusione della procedura conciliativa, è sospesa l’esecutività della diffida; La quantificazione dei contributi dovuti avviene sempre in relazione alle somme accertate ed oggetto di diffida (e non su quelle eventualmente diverse oggetto di conciliazione);
Accordo siglato soltanto da uno dei soggetti obbligatiLa diffida accertativa perderà efficacia soltanto nei confronti di chi ha sottoscritto l’accordo, mentre acquisterà valore di titolo esecutivo nei confronti della parte che non abbia aderito alla conciliazione; Dell’avvenuta conciliazione si darà informazione anche all’eventuale coobbligato che non abbia inteso partecipare all’incontro;
Ricorso al direttore dell’ITL che ha emesso l’attoVa proposto direttamente nei confronti della diffida adottata dal personale ispettivo; La facoltà è riconosciuta tanto al datore di lavoro diretto quanto all’obbligato solidale; Il ricorrente deve notificarlo anche al lavoratore unitamente alla diffida accertativa; Sospende l’esecutività della diffida; E’ deciso espressamente nel termine di 60 gg. dalla presentazione del ricorso (termine ordinatorio); La decisione viene presa esclusivamente sulla base della documentazione in possesso dell’ITL e di quella eventualmente prodotta dal ricorrente, senza alcun contraddittorio fra le parti; L’eventuale accoglimento del ricorso impedisce la formazione del titolo esecutivo;
Accoglimento parziale del ricorsoIl personale ispettivo procederà alla rettifica del provvedimento di diffida in conformità alle indicazioni contenute nella decisione del ricorso e procederà così a rinotificarla a tutte le parti;
Compresenza di istanza di conciliazione e ricorso amministrativoIn linea generale è prevista l’alternatività tra i due rimedi. Tuttavia, laddove i soggetti obbligati siano due (datore di lavoro e obbligato in solido) è possibile che gli stessi attivino, entro il termine di 30 giorni, l’uno istanza di conciliazione e l’altro ricorso amministrativo; In tali casi, si dovrà dare corso, in via prioritaria, al tentativo di conciliazione esclusivamente tra il lavoratore e il soggetto istante (senza, quindi, possibilità di estensione al secondo obbligato che ha, invece, proposto il ricorso) e, una volta definita la conciliazione, si procederà con l’esame del ricorso amministrativo;
Modalità di trasmissione degli attiAl fine di assicurare uno snellimento delle procedure, per tutte le comunicazioni è raccomandabile l’utilizzo della PEC;
Impugnazione giudiziale del provvedimento Con l’ordinanza n. 23744 del 29 luglio 2022 la Corte di Cassazione ha affermato che la diffida accertativa, ancorché abbia acquisito valore di titolo esecutivo, non impedisce al datore di promuovere un’azione giudiziale volta a contestare l’accertamento in essa contenuto. La questione nasce dal fatto che un lavoratore notificava alla società un atto di precetto per ottenere delle somme a lui spettanti sulla base di una diffida accertativa adottata dall’Ispettorato. Nel giudizio di opposizione, la Corte d’Appello rigettava la predetta domanda, sul presupposto che il dipendente aveva sottoscritto un accordo con il datore, in base al quale - a fronte della ricezione di euro 9.000,00 - aveva consapevolmente rinunciato a qualsiasi ulteriore pretesa riconducibile al rapporto di lavoro. La Cassazione - nel confermare la pronuncia di merito - rileva, preliminarmente, la diffida accertativa dell’Ispettorato è un atto di natura amministrativa che, in caso di mancata opposizione o di rigetto della stessa, è idoneo ad acquisire valore di titolo esecutivo. Secondo gli Ermellini, tuttavia, la circostanza che la diffida acquisti il valore di titolo esecutivo non determina un passaggio in giudicato dell'accertamento in essa contenuto, che può sempre essere contestato. Difatti, la mancata opposizione alla diffida accertativa od il rigetto della stessa in via amministrativa, non precludono in alcun modo al datore di contestare in giudizio l'esistenza del diritto in essa riportato. Su tali presupposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando la non debenza della somma intimata. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2022/08/30/diffida-accertativa-datore-lavoro-impugnarla

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