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Congedo obbligatorio di paternità: richiesta, tutele ed eccezioni al divieto di licenziamento

Congedo di paternità per un periodo di dieci giorni lavorativi, non frazionabili ad ore, in favore di tutti i lavoratori subordinati, pubblici e privati. Il diritto deve essere attivato attraverso una comunicazione scritta inviata al datore di lavoro, con un anticipo non inferiore ai cinque giorni, in relazione all’evento nascita e sulla base della data presunta del parto, con l’indicazione del giorno o dei giorni nei quali intende usufruire del congedo. Le novità, introdotte dal D.Lgs. n. 104 del 2022, hanno effetto anche sulla normativa relativa al divieto di licenziamento: salvo eccezioni il diritto al congedo sussiste per la durata dello stesso, ossia a partire dal primo giorno di fruizione, e fino al compimento di un anno di età del bambino. Particolari attenzioni dovranno essere utilizzate in caso di lavoratore neo assunto e dimissioni.

Il percorso iniziato dieci anni or sono con i primi giorni di congedo per paternità, inseriti, in via sperimentale, nella legge n. 92/2012, è giunto, con il D.L.vo n. 105/2022, ad un primo significativo risultato che riconosce dieci giorni di congedo per paternità obbligatori (poi, vedremo come va interpretata quest’ultima parola) fruibili nel periodo compreso tra i due mesi antecedenti la data presunta del parto ed i cinque mesi successivi all’evento, al quale si correla il divieto di licenziamento per tutto il periodo intercorrente dal primo giorno di congedo fino a quello del compimento di un anno di età del bambino. Tutto questo in un quadro di valorizzazione del diritto alla genitorialità e ad una responsabilità condivisa nella cura della famiglia che va a crescere. Le stesse tutele e gli stessi diritti sono riconosciuti in caso di adozione o affidamento. In caso di parto plurimo o affidamento ed adozione plurimi, il congedo fruibile viene fissato dal Legislatore delegato in venti giorni complessivi. Le nuove disposizioni non toccano i contenuti dell’art. 28 del D.L.vo n. 151/2001 relativo alle tutele ed alla garanzie concernenti il congedo per paternità riconosciuto al padre in sostituzione della madre in presenza di situazioni particolarmente gravi (morte o grave malattia, abbandono del tetto coniugale, riconoscimento giudiziario di unico affidatario del bambino) che resta confermato, come resta confermato il congedo per paternità alternativo a quello della madre (con rinuncia della stessa) nei limiti di un giorno, peraltro poco utilizzato fino ad oggi. Per ben comprendere le novità introdotte è necessario soffermarsi sui contenuti dell’art. 27-bis D.L.vo n. 151/2001, introdotto, nel “corpus” di quest’ultimo, dall’art. 2, comma 1, lettera c) del D.L.vo n. 105/2022, mentre per le tutele riguardanti il licenziamento occorre rifarsi ad una modifica contenuta nel comma 7 dell’art. 54. Cominciamo dalla prima. Congedo per paternità: le novità L’art. 27-bis parte con l’affermazione di un diritto che, tuttavia, per essere pieno, deve essere richiesto e, quindi, postula un comportamento attivo del lavoratore. Il dipendente, dai due mesi precedenti la data presunta del parto ed entro i cinque mesi successivi, si astiene dal lavoro per un periodo di dieci giorni lavorativi, non frazionabili ad ore: essi possono essere utilizzati anche in via continuativa. La norma fa salvi eventuali trattamenti di miglior favore (che già ci sono in diversi contesti aziendali) previsti dalla contrattazione collettiva, anche di secondo livello. Il congedo è fruibile, nello stesso arco temporale, anche in caso di morte perinatale del figlio: tale periodo (esiste un chiarimento dell’INPS, intervenuto con la circolare n. 42/2021), parte dalla ventottesima settimana di gestazione ed arriva ai primi dieci giorni successivi alla nascita. Questo primo capoverso merita alcune delucidazioni che possono così sintetizzarsi: a) Il diritto scatta in favore di tutti i lavoratori subordinati, pubblici e privati, che si trovano nelle condizioni previste dalla norma, a prescindere dalla tipologia contrattuale di cui sono titolari (contratto a tempo indeterminato a tempo pieno o parziale, contratto a tempo determinato a tempo pieno o part-time, contratto di somministrazione, apprendistato professionalizzante, di primo livello o di alta formazione, contratto di lavoro intermittente, prestazioni occasionali accessorie ex art. 54-bis del D.L. n. 50/2017, rapporti in agricoltura e rapporti di lavoro domestico). L’art. 27-bis non trova applicazione nei confronti dei lavoratori con rapporto di collaborazione ex art. 2, comma 1, del D.L.vo n. 81/2015 o ex art. 409, numero 3, cpc e dei titolari di rapporti di tirocinio, borse di studio, stage che, come tali, non sono titolari di un contratto di lavoro subordinato; b) la norma non esclude alcun datore di lavoro dall’obbligo del rispetto della disposizione; c) i giorni di congedo obbligatorio sono computabili interamente anche se in quella giornata è prevista una prestazione ad orario ridotto; d) la norma si applica anche ai padri che fruiscono del congedo di paternità ex art. 28; e) il congedo è fruibile anche in contemporanea con quello della madre lavoratrice. Procedura per la richiesta L’articolato dell’art. 27-bis stabilisce, altresì, l’iter che il lavoratore è tenuto a percorrere per fruire del congedo di paternità obbligatorio. Il diritto viene attivato attraverso una comunicazione scritta inviata al datore di lavoro, con un anticipo non inferiore ai cinque giorni (prima erano quindici), in relazione all’evento nascita e sulla base della data presunta del parto, con l’indicazione del giorno o dei giorni nei quali intende usufruire del congedo: la contrattazione collettiva può stabilire condizioni di miglior favore anche in relazione al tempo della richiesta. La richiesta scritta può essere sostituita dalla utilizzazione, ove presente in azienda, del sistema informativo per la richiesta e la gestione delle assenze. La norma appena richiamata postula un chiarimento relativo sul significato di obbligatorietà del congedo che è scritto soltanto nella rubrica dell’articolo. Essa va interpretata nel senso che per il datore è impossibile negare il congedo a seguito della richiesta, fatto salvo, a mio avviso, il caso di forza maggiore (da documentare in caso di contenzioso) per il quale è plausibile un breve differimento. A differenza di ciò che accade con la lavoratrice, il datore potrebbe non essere a conoscenza della nascita del bambino e, comunque, per la fruizione del congedo occorre che l’interessato attivi, concretamente, il diritto e magari, in caso di fruizione nel periodo antecedente la nascita, con l’indicazione della data presunta del parto ricavabile da una certificazione medica. Per quel che concerne il trattamento economico l’art. 29 del D.L.vo n. 151/201, ora riformato dal D.L.vo n. 105/2022, stabilisce che l’indennità giornaliera è pari al 100% della retribuzione e che sono applicabili tutte le regole previste per il congedo di maternità dall’art. 22, commi 2-7 e dall’art. 23. Fin qui gli effetti diretti del diritto al congedo per paternità che necessitano di alcuni chiarimenti di prassi che, mi auguro, il Ministero del Lavoro o l’INPS, forniscano sollecitamente. Divieto di licenziamento Il congedo di paternità ha effetti anche sulla normativa relativa al divieto di licenziamento previsto dall’art. 54 che, infatti al comma 7 si è “arricchito” con il congedo obbligatorio per paternità. Esso sussiste per la durata dello stesso (ossia a partire dal primo giorno di fruizione) e fino al compimento di un anno di età del bambino: tale appare l’interpretazione letterale della norma. Ci sono, tuttavia, eccezioni al divieto di licenziamento che sono le stesse che riguardano la lavoratrice madre e che sono ben identificate nell’art. 54. La casistica è stata oggetto di interpretazione nel corso degli anni da parte della Magistratura ma, ovviamente, il riferimento è stato sempre la donna durante il “periodo protetto”. Ora, riguarda anche il lavoratore padre e il tempo ci dirà se alcune decisioni, a suo tempo prese per le madri, varranno anche per i padri i quali “godono”, sì, di un congedo obbligatorio, ma la cui durata è, temporalmente, più ridotta: a) colpa grave costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro: la dottrina e la giurisprudenza, nel corso degli anni, con riferimento alla lavoratrice madre, hanno qualificato tale concetto come “una colpa soggettivamente più qualificata, della mera giusta causa, in relazione a situazioni più complesse non rapportabili a quelle previste dal CCNL”; b) cessazione, per scadenza del termine, del contratto a tempo determinato o della prestazione per il quale il lavoratore è stato assunto. La disposizione riguarda non soltanto i contratti a termine, ma anche la somministrazione a tempo determinato, le prestazioni occasionali accessorie ed il lavoro intermittente a tempo determinato; c) cessazione dell’attività dell’azienda: si deve trattare di una cessazione totale e non della chiusura di una filiale o di un reparto. Nel caso in cui si attui una cessione di azienda o ramo di essa, secondo la previsione contenuta nell’art. 2112 c.c., il rapporto continua, senza alcuna interruzione, con il cessionario; d) esito negativo del patto di prova che è stato riformato in alcune parti dall’art. 7 del D.L.vo n. 104/2022. Durante il periodo di congedo è vietato sospendere il lavoratore (ma credo che, in tale definizione, non rientrino le sospensioni di natura disciplinare applicate secondo le regole stabilite dall’art 7 della legge n. 300/1970 e dal CCNL che possono essere applicate, dopo il rientro in azienda del dipendente), fatto salvo il caso in cui ad esser sospesa sia l’attività dell’impresa o del reparto dotato di autonomia funzionale (quindi, con ricorso ad uno degli ammortizzatori sociali previsti dal D.L.vo n. 148/2015). Ciò significa che, in caso di integrazione salariale in un reparto od ufficio non dotato di autonomia funzionale, il lavoratore padre dovrebbe essere spostato in altro reparto od ufficio, anche con mansioni inferiori, con il mantenimento della retribuzione di provenienza. Dico ciò perché è questa (fin dal 1976 con l’art. 3, comma 5, del D.P.R. n. 1026) la disposizione che si applica alla lavoratrice madre. Il licenziamento è nullo, con tutte le conseguenze del caso, sia alla luce dell’art. 18 della legge n. 300/1970 che dell’art. 2 del D.L.vo n. 23/2015. Considerazioni conclusive A conclusione di questa breve riflessione e, in attesa di ulteriori approfondimenti, si possono trarre alcune conclusioni: a) la gestione del congedo di paternità obbligatorio può presentare alcune difficoltà, in quanto il lavoratore padre, a differenza della lavoratrice madre, non è tenuto a comunicare al datore di lavoro di essere diventato genitore o di stare per divenirlo; b) la norma è in vigore dal 13 agosto 2022: ciò significa che si applica anche laddove il lavoratore è divenuto papà da meno di cinque mesi e intende fruire dei giorni di congedo obbligatori entro la data stabilita dal computo previsto dalla legge. Il divieto di licenziamento opera (con le eccezioni sopra indicate) fino al giorno del compimento di un anno di età del bambino; c) nel caso in cui ci si trovi di fronte ad un lavoratore neo assunto (o da assumere) il datore di lavoro dovrebbe chiedere al lavoratore, tra le varie informazioni, rispettando le norme di tutela della riservatezza, se è genitore e, in caso positivo, l’età del bambino e se ha già fruito, anche in misura parziale (magari nel precedente rapporto di lavoro) del congedo obbligatorio di paternità, in quanto, in presenza delle condizioni sopra dette, scatta la tutela in materia di licenziamento; d) in caso di dimissioni, va seguita la procedura “rafforzata”, con le stesse che vanno “confermate”, entro un mese, avanti ad un funzionario dell’Ispettorato territoriale del Lavoro. Alla lavoratrice ed al padre che ha fruito del congedo di paternità ex art. 28 spettano le indennità previste da disposizioni di legge e contrattuale in caso di licenziamento (indennità di preavviso, NASPI) e non sono tenuti al preavviso. Il nuovo testo non estende il riconoscimento delle indennità alla casistica disciplinata dall’art. 27-bis, per cui si ritiene che non siano dovute. Si attendono, in ogni caso, chiarimenti amministrativi da parte del Ministero del Lavoro o dell’INPS. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2022/08/31/congedo-obbligatorio-paternita-richiesta-tutele-eccezioni-divieto-licenziamento

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