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Ammortizzatori sociali, caro energia e scenari di guerra. Quali soluzioni per le imprese?

Dopo la pandemia le aziende sono alle prese con le difficoltà economico-finanziarie innescate dalla crisi energetica. Una situazione che colpisce tutti i settori, ma soprattutto le imprese energivore: produzione di ceramica, vetro, carta e acciaio. Quali possono essere quindi gli strumenti di sostegno? In primo luogo, occorre valutare l’utilizzo di tutti gli strumenti alternativi prima di ricorrere agli ammortizzatori sociali, come gli schemi di banca ore o di conto ore. Se ciò non fosse fattibile per motivi di organizzativi, è possibile ricorrere alla CIGO per mezzo della nuova causale per aziende energivore. Quali sono, invece, gli aiuti per le aziende colpite indirettamente dalle sanzioni contro la Russia? Se ne parlerà nel corso dell’11° Forum One LAVORO, organizzato da Wolters Kluwer in collaborazione con Dottrina Per il Lavoro, a Modena il 28 settembre 2022.

Dopo il biennio di chiusure e rallentamenti produttivi dovuti alla pandemia, si ripropone per ragioni diverse la necessità di ricorrere in modo diffuso agli ammortizzatori sociali. Questa volta la crisi è innescata dall’aumento dell’energia. Le due situazioni di difficoltà per le imprese hanno in comune il carattere trasversale, perché colpiscono tutti i settori e tutti i datori di lavoro, sia pure in modo molto differenziato. Oggi, le ricadute del caro energia sono più pesanti per le aziende “energivore”, che ad esempio utilizzano forni o impianti ad alte temperature: si pensi al settore della ceramica e del vetro, della produzione della carta o alle acciaierie. Ad aggravare il quadro economico si è aggiunta la crisi internazionale conseguente all’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio scorso, che per effetto delle sanzioni adottate contro il Paese invasore ha fermato importanti flussi produttivi destinati al mercato russo. La risposta del Governo di fronte all’acutizzarsi dell’emergenza sociale ed economica della pandemia fu l’introduzione di ammortizzatori straordinari, cioè aggiuntivi rispetto a quelli ordinariamente previsti per il superamento delle crisi, ma anche “in deroga”, cioè destinati a datori di lavoro normalmente sprovvisti di copertura. Ora, nel quadro riformato dalla legge di Bilancio del 2022 (art. 1 c.191-192 L. n. 234/2021), tutti i datori di lavoro di tutti i settori produttivi sono coperti da ammortizzatori sociali. Tuttavia, la dimensione occupazionale fa ancora la differenza sull’estensione temporale della tutela: per questo i datori di lavoro devono valutare primariamente l’utilizzo di tutti gli strumenti alternativi, prima di ricorrere agli ammortizzatori sociali.

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Gli strumenti adottati dalle imprese energivore Per far fronte all’incremento del costo dell’energia le aziende manifatturiere che utilizzano impianti ad alte temperature hanno cercato in primo luogo di concentrare la produzione in alcune settimane per sfruttare al massimo la capacità produttiva, alternandole con settimane di fermata collettiva, nelle quali i laboratori o gli impianti restano spenti o mantenuti a temperatura ridotta. Si pensi ad esempio alla produzione di ceramica sanitaria, che si realizza mediante forni. Attraverso accordi sindacali le aziende del settore hanno adottato schemi di banca ore o di conto ore. La banca ore permette di richiedere ai lavoratori prestazioni di lavoro straordinario in alcune settimane: le ore di lavoro aggiuntive non sono però pagate immediatamente come lavoro straordinario, ma accantonate in una “banca ore”, per essere fruite successivamente dai lavoratori sotto forma di permessi. Di norma, i contratti collettivi prevedono che sia il singolo lavoratore a decidere se accantonare, in tutto o in parte, le ore aggiuntive o richiederne il pagamento nella busta paga del mese in cui sono rese. Gli stessi accordi prevedono generalmente che, anche in caso di accantonamento delle ore per la fruizione successiva come riposi, spetti comunque al lavoratore la maggiorazione retributiva nel mese della prestazione. È evidente che questa forma di flessibilità ha un costo elevato, perché le ore prestate in più sono pur sempre considerate come lavoro straordinario e non garantisce la possibilità della fermata collettiva, che è subordinata al consenso dei singoli lavoratori. In alternativa, alcune aziende hanno concordato con le rappresentanze sindacali schemi di conto ore. Come nel caso della banca ore, ai lavoratori si richiede l’estensione dell’orario di lavoro giornaliero o settimanale per sfruttare al massimo gli impianti. Ad esempio, si può prevedere un orario settimanale di 48 ore per 5 settimane consecutive da ottobre a novembre e concordare che le 40 ore di lavoro aggiuntivo (8 ore in più per 5 settimane) rispetto all’orario normale vengano recuperate con 5 giornate di “recupero” sotto forma di fermata collettiva nel mese di dicembre. Le giornate di recupero saranno, dunque, predefinite per tutti e non lasciate alla libera scelta dei lavoratori. Quanto alla retribuzione, i lavoratori avranno diritto allo stesso salario nei mesi di maggior lavoro come in quelli di “recupero”, dal momento che l’orario medio settimanale nell’arco temporale concordato resta fermo a 40 ore settimanali. Spetteranno, invece, le maggiorazioni previste dal CCNL nel caso di lavoro in sabato, domenica, notturno, ecc. In sostanza, il conto ore realizza una compensazione, entro un arco temporale dato, delle prestazioni di lavoro aggiuntivo con le ore di recupero senza comportare costi addizionali. In questa ipotesi, come in quella precedente, il datore di lavoro potrebbe mettere in atto misure di sostegno per i lavoratori chiamati a sopportare il disagio derivante dalla alterazione dell’orario normale di lavoro settimanale. Potrebbe, ad esempio, introdurre una dote welfare temporanea, approfittando del più generoso limite di esenzione di 600 euro pro capite previsto dal governo fino alla fine del 2022. È evidente che queste soluzioni possono essere efficaci per attenuare l’impatto del caro energia solo per periodi di tempo limitati; in caso contrario, si renderebbe necessario per le aziende modificare strutturalmente i processi industriali. Il ricorso all’ammortizzatore e la nuova causale per aziende energivore L’ammortizzatore sociale rappresenta il rimedio di ultima istanza, ma per molte aziende che non possono prevedere il funzionamento a singhiozzo, anche l’unico rimedio. L’ammortizzatore sociale per le aziende del settore industriale è la cassa integrazione ordinaria; per le altre l’assegno di integrazione salariale. La CIGO può essere riconosciuta per un massimo di 13 settimane continuative, prorogabili fino al limite di 52 settimane in un biennio mobile, mentre l’AIS del fondo di integrazione salariale (FIS) o dei fondi bilaterali o territoriali è concesso per un numero di settimane variabile in base alla dimensione occupazionale: - 13 settimane per i datori di lavoro che nel semestre precedente hanno occupato fino a 5 dipendenti; - 26 settimane per i datori di lavoro che hanno occupato un numero più elevato di dipendenti. In realtà fino all’aprile scorso la CIGO non poteva essere invocata per l’incremento del costo dell’energia, perché questa ipotesi non rientrava tra le cosiddette cause integrabili. Tuttavia, il Decreto del Ministero del Lavoro n. 67 del 21 febbraio 2022, pubblicato il 27 aprile 2022, ha modificato la precedente disciplina del DM n. 95442 del 15 aprile 2016 sui criteri per la concessione da parte dell’INPS dell’integrazione salariale ordinaria. Fino a quel momento tra le diverse fattispecie di “eventi transitori non imputabili all’impresa o ai dipendenti” e “situazioni temporanee di mercato” che consentivano l’accesso alla CIGO non vi era alcun riferimento alle difficoltà dell’approvvigionamento di energia. Come è noto, la CIGO è normalmente invocabile per mancanza di commesse, crisi di mercato, fine cantiere, mancanza di materie prime o componenti, incendi, eventi metereologici avversi, etc. Da aprile 2022 il nuovo DM va ad integrare il precedente, introducendo all’art. 5 un comma 1 bis, in base al quale la “mancanza di materie prime o componenti” sussiste anche quando sia riconducibile a difficoltà economiche, non prevedibili, temporanee e non imputabili all'impresa, nel reperimento di fonti energetiche, funzionali alla trasformazione delle materie prime necessarie per la produzione”. Come chiarito dall’INPS nella circolare 10 agosto 2022 n. 97 la platea dei datori di lavoro che possono ricorrere a questa causale è circoscritta alle “aziende energivore”, cioè alle imprese a forte consumo di energia elettrica e imprese a forte consumo di gas naturale, come individuate rispettivamente dal decreto 21 dicembre 2017 del Ministero dello Sviluppo economico (MISE) e dal decreto 21 dicembre 2021 del Ministero della Transizione ecologica (MITE). La nuova disposizione prevede inoltre che in tali casi il datore di lavoro debba documentare nella relazione tecnica le oggettive difficoltà economiche, da intendersi essenzialmente quali difficoltà finanziarie, e la relativa imprevedibilità, temporaneità e non imputabilità delle stesse. Grazie a questa modifica normativa la fattispecie di “mancanza di materie prime o componenti” sussiste anche quando l’impresa manifatturiera energivora incontri difficoltà economiche nel reperimento di fonti energetiche che occorrono alla trasformazione delle materie prime necessarie per la produzione. Sono tutelate solo le situazioni di difficoltà non prevedibili, che determinino uno scostamento apprezzabile degli oneri di approvvigionamento, mediamente superiore al 30%, come accade appunto in questa congiuntura di aumento improvviso e senza precedenti delle tariffe energetiche, che rischia di pregiudicare la sostenibilità economica delle produzioni. Il DM n. 67/2022 è intervenuto anche in soccorso della aziende colpite indirettamente dalle sanzioni adottate contro la Russia a seguito dell’invasione dell’Ucraina avvenuta nel febbraio scorso, stabilendo che “Per l'anno 2022, in considerazione della grave crisi internazionale in atto in Ucraina dichiarata con delibera del Consiglio dei ministri del 28 febbraio 2022, integra la fattispecie di “crisi di mercato” la sospensione o riduzione dell'attività lavorativa derivante anche dall'impossibilità di concludere accordi o scambi determinata dalle limitazioni conseguenti alla crisi in Ucraina.” Si tratta delle situazioni di crisi determinate da fallimenti di imprese e banche sia russe che bielorusse, oppure dal mancato pagamento di forniture, dall’impossibilità di esecuzione dei contratti o da interruzioni nei trasporti collegati all’applicazione delle sanzioni in atto. Come precisato dall’INPS nella circolare 10 agosto 2022 n. 97, nella relazione tecnica dettagliata il datore di lavoro dovrà dare prova di un andamento involutivo degli ordini e delle commesse, tale da pregiudicare il regolare svolgimento dell’attività lavorativa, derivante dalla difficoltà/impossibilità di definire accordi e/o scambi a causa della crisi in Ucraina. Le problematicità potranno riferirsi sia all’attività direttamente esercitata dall’impresa nell’unità produttiva per cui si richiede il trattamento ordinario di integrazione salariale, sia a quella svolta dalle aziende fornitrici. L’INPS ha precisato anche che i criteri di riconoscimento della CIGO, così come integrati dal nuovo DM, continuano ad applicarsi anche ai trattamenti del FIS per le causali ordinarie. Ma per questi datori di lavoro la coperta è davvero corta, non potendo superare in ogni caso i sei mesi (26 settimane). Ulteriore intervento per le aziende che hanno esaurito l’ammortizzatore ordinario I datori di lavoro soggetti alla CIGO che abbiano esaurito le settimane disponibili di trattamento possono accedere a ulteriori 26 settimane di cassa, fruibili anche in modo frazionato, nel periodo dal 22 marzo 2022 al 31 dicembre 2022 (art. 11, c. 1, D.L. n. 21/2022, convertito dalla L. n. 51/2022 Anche i datori di lavoro che rientrano nella tutela del FIS e dei Fondi di solidarietà bilaterali e che operano in determinati settori (codici Ateco 2007 individuati nell’allegato I al DL 21/2022) -tra i quali rientrano attività della ristorazione, del turismo, del trasporto e della produzione cinematografica-, possono richiedere un ulteriore periodo di assegno di integrazione salariale per un massimo di 8 settimane. Condizione di accesso all’ulteriore trattamento è l’aver raggiunto i limiti massimi di durata complessiva dei trattamenti previsti a regime. A tal fine non vanno computati i periodi autorizzati in relazione alla normativa emergenziale da Covid-19, che sono neutralizzati. Nella citata circolare 97/2022 l’INPS ricorda che a questi trattamenti “aggiuntivi” si applicano le regole procedurali ordinarie e il contributo addizionale. Nella relazione tecnica andrà esplicitata la situazione di particolare difficoltà economica che legittima il ricorso al trattamento.
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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2022/09/19/ammortizzatori-sociali-caro-energia-scenari-guerra-soluzioni-imprese

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