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Private equity: quali sono i vantaggi per le imprese

I dati del primo semestre 2022 fotografano un mercato M&A molto dinamico per il settore del private equity. Il private equity guiderà da leader la crescita, grazie anche ai rendimenti superiori ad altre asset class. In futuro si affermerà sempre più la necessità di un private equity specializzato in specifici settori. Tuttavia, i rischi di inflazione, determinati dall’aumento prezzi dell'energia e delle materie prime, le interruzioni della supply chain e il conflitto russo-ucraino sollevano i dubbi degli operatori sulla stabilità del contesto macroeconomico, determinando aspettative più prudenti. Due studi chiariscono qual è la situazione nel settore in Italia e quali sono i vantaggi per le aziende nel ricorrere a questo strumento alternativo di finanziamento.

In questi ultimi anni il settore del private equity ha subìto notevolissime evoluzioni e cambiamenti e l’attuale situazione di crisi ha ulteriormente accelerato questo processo. Sul tema sono stati appena diffusi due report: uno di Deloitte sul panorama italiano, l'altro di Bain & Company, di respiro internazionale. Guardando al nostro Paese, il report semestrale Private Equity Confidence Survey di Deloitte Private, elaborato con il supporto di AIFI (Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt), evidenzia come il private equity stia aiutando a colmare questo gap investendo nella crescita dimensionale e nella organizzazione delle PMI, ripensando i modelli di business e riadattandoli a contesti ambientali nuovi e sempre più competitivi. Anche a seguito delle drammatiche conseguenze della pandemia e della guerra in Ucraina, il bisogno di capitale di rischio è più che evidente, specialmente in Italia, maggiormente esposta rispetto ad altri Paesi anche a causa della cronica sottocapitalizzazione di molte aziende. Ed è inoltre emerso come gli strumenti di investimento adottati finora dagli operatori del settore non sempre sono stati in grado di fornire una risposta efficace alle esigenze di aziende e investitori. Ecco, quindi, negli ultimi anni un fiorire di nuove strutture, anche nel nostro Paese: holding quotate o non quotate; fondi quotati; SPACs; accordi strutturati di co-investimento; club deals; investimenti diretti da parte di family offices e fondi sovrani, sempre più attivi e presenti in questo segmento; evergreen funds; umbrella funds; search funds; pledge funds; fondi ibridi e fondi di private debt in tutte le loro molteplici articolazioni. Tanti nuovi strumenti per fare la stessa cosa: identificare aziende e imprenditori promettenti sui quali investire, aiutandoli nel loro percorso di sviluppo e valorizzazione nella speranza, se le cose andranno bene e le aziende avranno effettivamente aumentato il loro valore, di realizzare un ritorno sull'investimento nei tempi e nei modi che, di volta in volta, saranno ritenuti i più opportuni, condividendo tali guadagni tra gestori e investitori. È questa l'essenza dell'attività di private equity, ma nello stesso tempo, ogni azienda ha i suoi obiettivi, la sua cultura e i suoi bisogni, per questo motivo non tutte le imprese sono adatte per il private equity. Aprire la propria “impresa” a terzi, soprattutto in realtà di tipo familiare, è una scelta molto complicata per l’imprenditore. Ma, allo stesso tempo, solo crescendo, attraverso acquisizioni ed aggregazioni, sarà possibile dotarsi degli strumenti necessari per risultare vincenti su scala globale. Il mercato del private equity negli ultimi anni è stato protagonista di un trend di crescita decisamente positivo. In particolare, in Italia, dove le operazioni sono aumentate in modo significativo: non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche dimensionale. Come confermano i dati pubblicati da Deloitte in riferimento al secondo semestre 2021, periodo in cui il mercato ha registrato ben 241 operazioni, concentrate su aziende con un fatturato trai i 50 e i 100 milioni di euro, per un valore complessivo di oltre 12 miliardi di euro. Numeri importanti, se si considera che nel secondo semestre 2021 sono state registrate 241 operazioni, contro le 191 dei primi sei mesi dell’anno e le 172 del secondo semestre 2020. Aumento dei tassi cambia le strategie Il report di Deloitte Private mette in evidenza l'aumento a livello globale dei tassi di interesse che avrebbe portato a preferire livelli di leva più bassi e strutture dei deal meno rischiose. Una così marcata evoluzione, certamente positiva, andrà però attentamente monitorata e regolamentata, in quanto il maggiore distacco che si verrà a creare tra fornitori di capitali e investitori potrebbe portare a rischiosità significative. È già tangibile l’effetto di queste politiche sulle scelte degli operatori, che, vedendo uno spread medio sul Euribor ormai superiore ai 250bp sui pacchetti finanziari richiesti per le proprie transazioni, dichiara di preferire principalmente il ricorso al meno dispendioso Senior debt, a discapito di strumenti di Junior debt, Shareholders loan, e Mezzanine financing. Ricordiamoci sempre che investire in private equity significa investire prevalentemente in società non quotate, tramite una negoziazione privata e quindi in assenza di trasparenza a livello di prezzo e di condizioni. Emerge che, proprio in seguito a queste misure, le imprese aumenteranno, rispetto al passato, l’uso di Deferred consideration mechanisms, con l’utilizzo di covenant più stringenti e/o aggiuntivi nel futuro prossimo. Multipli di mercato tornano alla normalità Dopo due anni record a livello di crescita dei multipli di mercato, l’analisi delle aspettative relative alle valutazioni medie di settore vede un ritorno a livelli pre-pandemici, con circa il 70 per cento degli operatori che prevede una diminuzione di questi valori compresa tra lo 0% e il -20%. Non sarà certo facile trovare il giusto bilanciamento tra tali aspetti per loro natura contrastanti, che dovranno anche tenere conto di un mercato sempre più internazionalizzato e competitivo, anche a livello di singoli Paesi. E l'Italia dei soldi degli investitori internazionali ha un grande bisogno. Come diretta conseguenza di queste aspettative, che richiamano moderazione nelle valutazioni future delle società italiane, le previsioni degli operatori in merito alle attività di disinvestimento durante il prossimo semestre vedono un rallentamento, con il 58,7 per cento che non si aspetta sostanziali cambiamenti nel numero di exit. Ulteriore fattore concorrente alla diminuzione di interesse nei confronti di attività di exit, è l’attuale riluttanza degli investitori ad intraprendere uscite sui mercati pubblici. Nessun operatore vede infatti nell’immediato futuro disinvestimenti tramite IPO. Settori e aree geografiche di maggiore interesse La sfida per gli operatori di private equity nel 2022 sarà dunque sapersi muovere in questo scenario incerto e saper ricercare il giusto bilanciamento tra valutazioni ancora elevate e rischio di correzione dei mercati. Nonostante ciò, resta elevato il numero di deal realizzati, supportato anche da una significativa pipeline di operazioni in fase di finalizzazione. Deloitte Private ha individuato i principali settori in cui gli operatori prevedono di focalizzarsi maggiormente nei prossimi mesi. Nella fattispecie quelli dell’Industrial products, dei Consumer Goods, del Food&Beverage e dell’Healthcare, i quali registrano aspettative in rialzo in termini di investimenti durante il secondo semestre dei 2022. Cala invece leggermente l’interesse nei confronti di Pharmaceutical and biopharmaceutical industry e Leisure. Si conferma elevato anche l’interesse nei confronti di operazioni di maggioranza, con l’82,6 per cento degli operatori che dichiara l’intenzione di focalizzarsi su questa tipologia di deal durante il prossimo semestre. Entrando nel dettaglio dell’analisi dei dati, le operazioni di buyout si confermano predominanti sul mercato, 76,5 per cento, le operazioni in capitale per lo sviluppo si attestano all’8,5 per cento dell’intero settore. Si registrano, nel semestre, otto interventi di replacement (4 per cento) e due di ristrutturazione societaria (5 per cento). Ben 86 interventi di buyout (pari al 46 per cento del mercato complessivo) rappresentano operazioni di add on, ovvero acquisizioni finalizzate alla crescita per linee esterne dell’impresa partecipata, sotto la regia dell’operatore di private equity. In termini geografici, infine, le preferenze degli investitori confermano il Nord Italia come area prediletta per le operazioni, operatori che hanno concentrato le proprie attività di investimento tra il Nord Est e il Nord Ovest durante il primo semestre: la Lombardia rappresenta da sola il 38 per cento del mercato, seguita da Veneto (13 per cento) ed Emilia-Romagna (11 per cento). Sale l’interesse nei confronti di Centro, Sud e Isole, il livello più alto registrato dal primo semestre del 2019, dimostrando il crescente riconoscimento da parte degli investitori finanziari delle potenzialità di un tessuto imprenditoriale storicamente considerato meno attrattivo. Turbolenze del mercato internazionale Le aziende italiane hanno dato prova di grande resilienza nell’ultimo biennio, affrontando le sfide che si sono presentate meglio di tanti concorrenti stranieri. Ci aspettiamo tuttavia che nei prossimi mesi ci sia una sempre maggiore selezione tra le aziende presenti sul mercato, solo alcune saranno in grado di continuare nel percorso di crescita, altre invece arresteranno inevitabilmente il loro sviluppo. Allargando lo sguardo a livello internazionale, la fotografia scattata dal report di Bain & Company sembra in buona parte ricalcare quella della Penisola. L'aggiornamento semestrale evidenzia, infatti, l'incertezza legata all’inflazione e alle valutazioni degli asset che stanno pesando sull’attività e le operazioni di private equity, con una contrazione nella prima metà dell’anno. La natura ciclica del settore del private equity implica che l'indebolimento delle condizioni economiche nelle principali geografie metterà a dura prova i dealmaker, nonostante nella prima metà dell’anno il settore fosse vicino a registrare il secondo più alto valore annuale di operazioni di buyout dopo il record del 2021. La sola prima metà dell’anno ha registrato un valore di 512 miliardi di dollari in termini di operazioni di buyout, con una dimensione media delle operazioni vicina al miliardo di dollari. Ma quali saranno i filoni principali sui quali si svilupperanno i nuovi “prodotti”? Presumibilmente quelli che andranno a risolvere alcune delle problematiche tipiche di questo tipo di investimento, anche tramite l’utilizzo delle nuove tecnologie. Un primo tema è quello dell'elevata illiquidità che tipicamente caratterizza questo genere di investimenti e che ha già portato e porterà sempre di più all’utilizzo di nuovi strumenti, vedi ad esempio le SPACs, i fondi (e le holding) quotati e altri schemi di intervento adatti anche a investitori meno pazienti e di dimensioni minori. Dal punto di vista delle società partecipate, quasi sempre non quotate, uno dei limiti principali al ricorso al private equity è invece connesso alla scadenza alla quale sono normalmente assoggettati i fondi chiusi. Per superare tale limite si sono quindi sviluppati nuovi strumenti, come i club deals o i veicoli di permanent capital, che si stanno diffondendo in modo molto veloce e significativo. Per gli investimenti di minoranza, dove il rischio principale è quello di non potere concretamente uscire dall’investimento, è inoltre prevedibile una graduale sostituzione dello strumento azionario con strumenti di debito ibrido, spesso più efficaci e adatti a risolvere questo problema. Infine, anche family offices e fondi sovrani aumenteranno la loro presenza, investendo spesso direttamente, mentre i pledge funds e gli accordi di co-investimento consentiranno una maggiore libertà di scelta agli investitori, altro elemento sempre più richiesto e ricercato. Vantaggi per l’azienda grazie al private equity L’ingresso del private equity determina una serie di cambiamenti importanti in seno all’azienda. Oltre agli apporti strettamente finanziari, infatti, l’immagine e la reputazione dell’investitore possono modificare radicalmente i rapporti dell’impresa con i propri stakeholder. Uno degli effetti più tangibili, ad esempio, è l’accrescimento del potere contrattuale dell’impresa nei confronti di banche, clienti e fornitori. Possiamo, infatti, individuare ulteriori vantaggi derivanti dall’ingresso del private equity: - collaborazione nel tracciare una strategia di sviluppo e nel perseguirla, sfruttando le occasioni di crescita esterna, attraverso acquisizioni, fusioni, concentrazioni, joint venture, contratti di rete con altre imprese del settore; - assistenza finanziaria, commerciale e di marketing; - creazione di network (accordi e contatti internazionali); - collaborazione attiva e condivisione del rischio d’impresa; - contatti con altri investitori e/o istituzioni finanziarie; - maggiore funzionalità della compagine sociale, che facilita anche l’eventuale liquidazione di soci non più interessati a partecipare all’impresa, senza drenare risorse dalla società, e la risoluzione di problematiche che possono sorgere nel passaggio generazionale; - adozione di standard elevati di gestione e managerializzazione dell’impresa; - trasparenza e contributo alla netta distinzione tra interessi personali e aziendali; - maggior capacità di attrarre management capace ed esperto; - esperienza in tema di eventuale accompagnamento alla quotazione; - competenze tecnico manageriali; - pianificazione fiscale. Conclusioni I dati relativi al primo semestre del 2022 fotografano un mercato M&A molto dinamico per il settore del private equity, sulla scia della ripresa che si era manifestata nella seconda metà dell’anno scorso. Il private equity guiderà da leader la crescita, grazie anche alla grande resilienza mostrata durante i periodi di stress economico e ai rendimenti superiori ad altre asset class. In un futuro caratterizzato da maggiori masse da allocare e da grande competitività, quindi, si affermerà sempre più la necessità di un private equity specializzato in specifici settori. Questo perché si opererà meglio in alcuni segmenti di mercato, con trend di crescita di medio-lungo periodo, che riservano opportunità da cogliere con team dedicati e competenti, con una profonda conoscenza del settore in cui investono. Uno di questi comparti è la tecnologia, che continua a innovare e crescere a un ritmo vertiginoso, aprendo le porte a nuove opportunità di investimento. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2022/10/01/private-equity-vantaggi-imprese

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