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La 231 è ancora alla ricerca di una stabilità. A never ended story

Sono passati quasi 22 anni dall’introduzione in Italia della responsabilità amministrativa degli enti per illeciti penali commessi, a loro interesse o vantaggio, da soggetti apicali o non apicali. C’è chi ha denunciato una timidezza del legislatore per non aver introdotto una responsabilità penale dell’ente e chi ha ritenuto di poter considerare penale una responsabilità dell’ente che il legislatore definisce amministrativa. Alla resa dei conti i problemi veri sono apparsi altri, man mano che prendeva piede la consapevolezza imprenditoriale che il sistema 231 è una realtà con cui era necessario misurarsi e che esigeva un attivarsi senza ritardi o esitazioni sul piano della prevenzione. Lo si è fatto. Ora a che punto siamo?

La stabilità del diritto nel tempo è sempre stata considerata un valore, poi il vertiginoso cambiamento del contesto sociale e l’emergere di nuove esigenze hanno imposto un approccio non meramente conservativo. L’art. 2 Cost. impone al legislatore ordinario di percepire per tempo la necessità di un ripensamento delle scelte operate nel passato e di un’apertura a scelte normative conformi alla nuova realtà sociale ed economica, così da recuperare quanti sono rimasti indietro ed assicurare il superamento di diseguaglianze e discriminazioni. Altra cosa è un ricorso disordinato alla novità legislativa, la perdita di vista del quadro d’insieme, l’incapacità di prevedere il futuro e il ripiego, consequenziale, su soluzioni tampone e inadeguate ai problemi, oltre che deludenti per i destinatari del precetto. Sono passati quasi 22 anni dall’introduzione in Italia, con D.Lgs. n. 231/2021, della responsabilità amministrativa degli enti per illeciti penali commessi, a loro interesse o vantaggio, da soggetti apicali o non apicali. C’è chi si è illuso dell’avvenuto superamento del risalente principio secondo cui societas delinquere non potest; c’è chi ha denunciato una timidezza del legislatore per non aver introdotto una responsabilità “penale” dell’ente; c’è chi ha ritenuto di poter considerare penale una responsabilità dell’ente che il legislatore definisce amministrativa, ricollega ad illeciti amministrativi e reprime con sanzioni amministrative. Alla resa dei conti i problemi veri sono apparsi altri, man mano che prendeva piede la consapevolezza imprenditoriale che il sistema 231 è una realtà con cui era necessario misurarsi e che esigeva un attivarsi senza ritardi o esitazioni sul piano della prevenzione. L’espansione impetuosa del catalogo dei reati presupposto (e cioè di tutte le fattispecie di illecito penale commesse da persone fisiche cui è ricollegata ex lege la responsabilità amministrativa dell’ente di appartenenza) si è estrinsecata talora in previsioni di impatto pratico tendente allo zero (es. artt. 24 bis; 25 quater 1; art. 25 decies del D.Lgs. n. 231/2001), più spesso in previsioni aggiuntive con forti ricadute sul sistema economico (reati societari, abusi di mercato, gravi reati contro la sicurezza del lavoro, reati ambientali e reati tributari) e comunque rispondenti a nuove forme di criminalità (delitti informatici e trattamento illecito di dati e delitti in violazione del diritto d’autore) o ad una diversa sensibilità (razzismo e xenofobia) o ad una riconosciuta esigenza di ricerca di nuovi strumenti di contrasto a forme aggressive dei beni comuni (delitti contro il patrimonio culturale). Da un canto, è maturata la convinzione che la repressione dell’illecito della persona fisica è carente se non accompagnata dalla repressione della illegalità corporativa (e cioè dell’ente nel cui interesse o vantaggio è commesso il reato, si pensi all’illecito tributario, ambientale o societario), dall’altro, si è innescato un meccanismo continuo di correzione, modifica e integrazione di fattispecie già normativamente previste, vuoi per esigenze percepite dal legislatore nazionale, vuoi per input di provenienza comunitaria. Già dalla prima stesura, il D.Lgs n. 231/2001 si è occupato delle “vicende modificative dell’ente”, per evitare che trasformazioni, fusioni, scissioni o cessioni diventassero uno strumento per sottrarsi alla responsabilità amministrativa (artt. 28-33): con il D.Lgs. n. 19/2023 il legislatore nazionale ha recepito la direttiva UE 2019/2021 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 novembre 2019 per quanto concerne le trasformazioni, le fusioni e le scissioni transfrontaliere, una riforma che ha riguardato essenzialmente la disciplina civilistica, ma che ha investito anche il sistema 231 nella parte in cui ha modificato, ampliandone la portata, il reato presupposto di cui all’art. 25 ter (reati societari). L’intervento additivo di cui all’art. 55 del D.Lgs. n. 19/2023 segue di pochi mesi le modifiche apportate dalla riforma Cartabia direttamente alla struttura del processo agli enti (art. 64 del D.Lgs. n. 231/2001) o alla normativa processuale penale applicabile anche all’indagato/imputato persona non fisica; è, altresì, seguito di pochi giorni dal D.Lgs. n. 24/2023 che, sempre su input comunitario (rappresentato dalla direttiva UE 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio), è intervenuto sulla protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e delle disposizioni normative nazionali, il whistleblowing. Il fatto nuovo è rappresentato non solo dalla riscrittura di gran parte della legge 30 novembre 2017, n. 179, con cui il legislatore nazionale aveva previsto disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato, ma dal sopravvenuto snellimento dell’art. 6 del D.Lgs. n. 231/2001 che, rubricato “soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente”, era diventato il contenitore della normativa antidiscriminatoria e antiritorsiva prevista a favore dei lavoratori che segnalavano episodi di illegalità/irregolarità aziendale (art. 23 del D.Lgs. n. 24/2023). Il rilievo non è nel ripensamento di scelte fatte poco più di un quinquiennio prima, né nel rarissimo caso di “dimagrimento” di un testo normativo il cui vero problema è nell’eccesso crescente di peso. La riforma rimuove una possibile controindicazione della scelta del 2017 perché chiarisce che la tutela del lavoratore segnalante illeciti non è circoscritta agli enti dotati di modello organizzativo e non è eludibile mediante la non adozione di detto modello (che, dopo oltre quattro lustri di vigenza del sistema 231, rimane consigliato, auspicato, ma comunque facoltativo). La razionalizzazione del sistema si rivela, essa stessa, un valore. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/04/01/231-ricerca-stabilita-never-ended-story

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