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Previdenza complementare: servono più incentivi per incrementare le adesioni

Interventi mirati sul sistema degli incentivi all’adesione e alla contribuzione per agevolare, in particolare, l’inclusione nel sistema previdenziale delle fasce più deboli di lavoratori e per raggiungere una maggiore equità intergenerazionale. Sono alcuni degli interventi evidenziati dalla Covip, nella relazione annuale, per lo sviluppo del sistema italiano di previdenza complementare. Nella prospettiva di disegnare meccanismi di indirizzo delle scelte il più possibile efficaci, andrebbe inoltre rivista la linea di default che accoglie gli iscritti silenti basandola sull’approccio life-cycle. La rimodulazione dei benefici fiscali a favore dei lavoratori più deboli e la diffusione di opzioni di investimento di tipo life-cycle da definire come default, sarebbero essenziali anche nella prospettiva di riproporre una nuova iniziativa nazionale di raccolta delle adesioni tramite meccanismi di silenzio-assenso. Quali sono le altre indicazioni della Covip?

Il sistema italiano di previdenza complementare ha dimostrato di essere dotato di sensibile resilienza in un delicato contesto di riferimento. Lo sottolinea la Covip nella propria Relazione annuale che evidenzia come le adesioni e le contribuzioni sono cresciute come negli anni precedenti e, pur considerando le perdite del 2022, i rendimenti, valutati in un orizzonte temporale di medio-lungo periodo e facendo riferimento alle medie generali relative a tutti i comparti, rimangono in media positivi, e sostanzialmente in linea con i tassi di rivalutazione del TFR. Occorre comunque in prospettiva rivolgere attenzione alle criticità per favorire un “salto di paradigma” dei fondi pensione. Forme pensionistiche e aderenti Alla fine del 2022, i fondi pensione in Italia sono 332, 33 fondi negoziali, 40 fondi aperti, 68 piani individuali pensionistici (PIP) e 191 fondi pensione preesistenti. Si conferma la tendenza ad una progressiva razionalizzazione del settore con una costante riduzione del numero delle forme pensionistiche operanti nel sistema è in costante riduzione. Oltre venti anni fa, nel 1999, le forme erano 739, oltre il doppio. Andando agli iscritti il loro numero è pari a 9,2 milioni, in crescita del 5,4% rispetto all’anno precedente, per un tasso di copertura del 36,2% sul totale delle forze di lavoro. I fondi negoziali contano 3,7 milioni di iscritti, quasi 1,8 milioni sono gli iscritti ai fondi aperti e 3,5 milioni ai PIP “nuovi”; circa 650.000 sono gli iscritti ai fondi preesistenti. Procedendo ad una disamina “per genere” gli uomini sono il 61,8% degli iscritti alla previdenza complementare (il 73% nei fondi negoziali), nel solco di quel gender gap che si è già manifestato negli anni scorsi. Si conferma anche un gap generazionale: la distribuzione per età vede la prevalenza delle classi intermedie e più prossime all’età di pensionamento. Il 48,9% degli iscritti ha età compresa tra 35 e 54 anni, il 32,3% ha almeno 55 anni e solo il 18,8% è sotto i 35 anni. La situazione è sostanzialmente non dissimile da quella rilevata cinque anni fa. Quanto all’area geografica, la maggior parte degli iscritti risiede nelle regioni del Nord (57,1%). Patrimonio e rendimenti Le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari si attestano a 205,6 miliardi di euro, in calo del 3,6% rispetto all’anno precedente a causa dell’andamento negativo dei mercati finanziari: un ammontare pari al 10,8% del PIL e al 4% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. Come investono le forme pensionistiche complementari? Si registra la prevalenza della quota in obbligazioni governative e altri titoli di debito, per il 54,6% del patrimonio: il 15,4% sono titoli del debito pubblico italiano. In calo al 20% i titoli di capitale (rispetto al 22,6% del 2021) e anche le quote di OICR, passate dal 16 al 15,3%. I depositi si attestano al 6,5%. Gli investimenti immobiliari, in forma diretta e indiretta, presenti quasi esclusivamente nei fondi preesistenti, rappresentano circa l’1,9% del patrimonio, sostanzialmente stabili rispetto al 2021. Nell’insieme, il valore degli investimenti dei fondi pensione nell’economia italiana (titoli emessi da soggetti residenti in Italia e immobili) è di 35,5 miliardi di euro, pari al 20,9% del patrimonio, in calo sia in valore assoluto sia in termini percentuali rispetto al 2021 (rispettivamente, 40 miliardi e 22,7%). I titoli di Stato ne rappresentano la quota maggiore attestandosi a quota 26,1 miliardi di euro. Gli impieghi in titoli di imprese domestiche rimangono contenuti, riflettendo anche le limitate dimensioni del mercato azionario nazionale. Il totale di 4,1 miliardi è meno del 3% delle attività: in obbligazioni sono investiti 2,6 miliardi, in azioni 1,5 miliardi; gli investimenti domestici detenuti attraverso quote di OICVM si attestano a 1,8 miliardi. Gli investimenti immobiliari in Italia risultano pari a circa 2,8 miliardi. Le turbolenze dei mercati finanziari hanno inciso sui risultati di gestione delle forme complementari, tanto per le linee di investimento a maggiore contenuto azionario quanto per quelle obbligazionarie. I comparti azionari hanno registrato perdite in media pari all’11,7% nei fondi negoziali, al 12,5 nei fondi aperti e al 13,2 nei PIP. Per le linee bilanciate i rendimenti medi sono stati negativi in tutte le forme pensionistiche: 10,5% nei fondi negoziali, 11,5 nei fondi aperti e 12,3 nei PIP. Di importo non molto inferiore sono anche le perdite subite nell’anno dai comparti obbligazionari. Gli obbligazionari misti hanno perso il 10,3% nei fondi negoziali, il 7,6% nei fondi aperti; gli obbligazionari puri hanno registrato perdite del 3,5% nei fondi negoziali e del 10,9% nei fondi aperti. Una corretta valutazione della redditività del risparmio previdenziale, sottolinea però la Covip, non può tuttavia limitarsi ai rendimenti di un solo anno, ma deve fare riferimento a orizzonti più lunghi e coerenti con i vincoli temporali che a esso si applicano in ragione degli obiettivi perseguiti. Su un periodo di osservazione decennale (da fine 2012 a fine 2022), i rendimenti medi annui composti delle linee a maggiore contenuto azionario si collocano, per tutte le tipologie di forme pensionistiche, tra il 4,7% e il 4,9%. Viceversa, le linee obbligazionarie mostrano rendimenti medi vicini allo zero; le linee bilanciate rendimenti medi che vanno dall’1,7% dei PIP di tipo unit linked al 2,7% dei fondi negoziali, al 2,9% dei fondi aperti. Il tasso di rivalutazione medio annuo del TFR è stato pari al 2,4%. Sempre con riferimento ai profili finanziari la Autorità di vigilanza evidenzia ancora come circa un quarto delle forme pensionistiche, nel presentarsi sul mercato, dichiara di adottare politiche di investimento che promuovono fattori di sostenibilità. La COVIP ha inoltre posto particolare attenzione al meccanismo del life-cycle nel mercato previdenziale italiano, che consente di modificare in modo automatico l’investimento al variare dell’età, prevedendo un’esposizione in titoli azionari più elevata in età più giovane che si riduce progressivamente con l’avvicinarsi al pensionamento. Dall’analisi effettuata dalla Autorità di vigilanza è emerso uno scenario di scarsa diffusione nel sistema di previdenza complementare italiano di tali meccanismi, che risultano introdotti da circa il 30% dei fondi pensione di nuova istituzione. Le considerazioni propositive La COVIP pur nella consapevolezza che ci sono fattori di rigidità strutturale che si riflettono sullo sviluppo della previdenza complementare, sottolinea in ogni modo come possano esserci dei margini di manovra per il decisore politico. Andrebbe innanzitutto considerato il ruolo di interventi mirati sul sistema degli incentivi all’adesione e alla contribuzione per agevolare, in particolare, l’inclusione nel sistema previdenziale delle fasce più deboli di lavoratori e per raggiungere una maggiore equità intergenerazionale. In questa prospettiva, l’innalzamento del limite di deducibilità appare strumento poco incisivo considerando che solo i lavoratori delle fasce di reddito più elevate sono in grado di dedurre i contributi fino al limite massimo (pari a circa 5.164,57 euro, escluso il TFR indirizzato alla previdenza complementare, quando invece il contributo medio è di 2.770 euro). La crescente incidenza di carriere discontinue e frammentate, spesso accompagnate da curve salariali piatte, evidenzia che chi più avrebbe bisogno di un’integrazione del reddito pensionistico è meno in grado di partecipare alla previdenza complementare. In questo contesto gli attuali incentivi fiscali andrebbero rimodulati in funzione del reddito degli iscritti, eventualmente prevedendo un intervento diretto dello Stato a sostegno di determinate categorie, e in particolare dei più giovani. Andrebbe, inoltre, valorizzata la possibilità, oggi prevista solo nella fase di ingresso nel mercato del lavoro, di riportare in anni successivi la deducibilità dei contributi non goduta in un determinato periodo di imposta. Ulteriori indicazioni di riforma che vanno nella direzione giusta sono presenti nella delega di riforma del sistema fiscale, che contiene elementi di attenzione sia per i fondi pensione sia per le casse di previdenza. Altri interventi di tipo non finanziario potrebbero riguardare il disegno del sistema previdenziale. Per esempio, pur osservando che i rendimenti di lungo periodo delle linee azionarie di tutte le tipologie di forme pensionistiche hanno realizzato rendimenti soddisfacenti, tali linee sono poco diffuse tra gli iscritti, anche tra quelli più giovani, che avrebbero un orizzonte temporale in grado di assorbire eventuali fasi di mercato negative. Nella prospettiva di disegnare meccanismi di indirizzo delle scelte il più possibile efficaci, andrebbe rivista la linea di default che accoglie gli iscritti silenti basandola sull’approccio life-cycle. La rimodulazione dei benefici fiscali a favore dei lavoratori più deboli e la diffusione di opzioni di investimento di tipo life-cycle da definire come default, sarebbero essenziali anche nella prospettiva di riproporre una nuova iniziativa nazionale di raccolta delle adesioni tramite meccanismi di silenzio-assenso. In tale occasione, andrebbero effettuate campagne informative e di educazione previdenziale ben strutturate e coerenti con il disegno complessivo dei meccanismi di scelta proposti. Altro tema, in relazione al quale il disegno degli schemi pensionistici assume rilievo, è quello della fase di erogazione delle prestazioni previdenziali, una volta raggiunta l’età di pensionamento. Potrebbe essere esplorata la possibilità di porre in essere iniziative utili a favorire la proposta di prestazioni previdenziali che almeno in parte contribuiscano, diversamente dalla mera erogazione del capitale accumulato, alla mitigazione del rischio di longevità. In particolare, in alternativa totale o parziale alle rendite vitalizie immediate, potrebbero essere considerate erogazioni programmate in cifra fissa, ovvero rendite vitalizie differite a partire solo da un’età molto avanzata. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/09/05/previdenza-complementare-servono-incentivi-incrementare-adesioni

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