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Dimissioni per fatti concludenti: quando si perfeziona la procedura

La procedura delle dimissioni per fatti concludenti, introdotta dal Collegato Lavoro, prevede come requisito per l’avvio da parte del datore di lavoro che l’assenza ingiustificata del lavoratore venga protratta oltre un determinato termine. La legge n. 203/2024 opera un rinvio al contratto collettivo nazionale di lavoro applicato dal datore di lavoro che costituisce la regola. In mancanza si applica il termine legale superiore a 15 giorni. Potrebbero, tuttavia, esserci delle criticità nell’individuazione di tale termine. Quali? Se ne parlerà durante la XVI edizione del Festival del Lavoro, organizzato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro e dalla sua Fondazione Studi, che si svolgerà a Genova dal 29 al 31 maggio 2025.

Tra le novità introdotte dalla legge 12 dicembre 2024, n. 203 (Collegato Lavoro), pubblicata nella G.U. n. 303 del 28 dicembre 2024, in vigore dal 12 gennaio 2025, è stata modifica la disciplina in materia di risoluzione del rapporto di lavoro.

Più precisamente, l’art. 19 del provvedimento in parola ha inserito il comma 7-bis all’art. 26 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151 che disciplina le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale.

Il comma 7-bis in parola prevede: “[i]n caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo. Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza.”.

La norma si colloca, sistematicamente, nell’ambito di una norma finalizzata a prevenire il fenomeno delle dimissioni in bianco mediante il vincolo esclusivo dell’utilizzo di una procedura telematica per la risoluzione del rapporto di lavoro, salvo le eccezioni previste.

È utile ricordare che l’art. 26 del D.Lgs. n. 151/2015 è stato introdotto in attuazione di quanto previsto dall’art. 1, comma 6, lett. g), della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (Jobs Act).

Tale disposizione aveva delegato il Governo a legiferare affinché venisse assicurata la data certa nonché l’autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, ma nel contempo prevedeva - come si può notare - che si dovesse tenere conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore.

L’intervento del Collegato Lavoro

Tuttavia, proprio l’ultimo periodo della disposizione da ultimo richiamato era rimasto inattuato e pertanto il legislatore, con l’art. 19 della legge n. 203/2024, opportunamente, ha disciplinato la fattispecie per contemperare le parti contrattuali ed anche al fine di contrastare il fenomeno delle assenze dal lavoro del dipendente finalizzate a costringere il datore di lavoro a risolvere il rapporto di lavoro per motivi disciplinari ed in tale modo poter accedere alla prestazione NASpI.

Entrando nel merito della fattispecie che ci occupa da ultimo, come si può notare il requisito previsto dalla norma è l’assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre un determinato termine.

Ove il termine sia stato raggiunto, il datore di lavoro può intendere il rapporto di lavoro risolto per volontà del lavoratore (risoluzione per fatti concludenti) e ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima.

Prima di esaminare quale sia il termine da considerare ai fini della qualificazione della fattispecie, un aspetto che va subito posto in evidenza è che non si tratta di una risoluzione automatica del rapporto di lavoro.

Infatti, il perfezionamento della risoluzione del rapporto di lavoro, fermo restando l’inapplicabilità ove il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza, richiede anche la volontà del datore di lavoro, altrimenti il rapporto di lavoro rimane pienamente vigente tra le parti originarie.

A ricordarlo è anche la circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 6 del 27 marzo 2025 che, opportunamente, indica che la comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato del lavoro deve essere effettuata solo “laddove intenda far valere l’assenza ingiustificata del lavoratore”.

Individuazione del termine

Andando ad esaminare il rilevante aspetto del termine da applicare, il legislatore opera un rinvio al contratto collettivo nazionale di lavoro applicato dal datore di lavoro che costituisce la regola.

In mancanza si applica il termine legale superiore a 15 giorni (rectius: almeno 16 giorni).

Dopo aver chiarito che - come si può notare - i contratti collettivi devono essere di livello nazionale e non è richiesto un grado di rappresentatività, atteso che il legislatore ritiene rilevante quello applicato al rapporto di lavoro, l’aspetto più delicato è quello stabilire se possano avere rilevanza le previsioni dei contratti collettivi che qualificano l’assenza ingiustificata quale comportamento rilevante ai fini disciplinari per legittimare il diritto potestativo del datore di lavoro di risolvere il rapporto di lavoro per motivi disciplinari all’esito del procedimento previsto dall’art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300.

A parere di chi scrive, le richiamate disposizioni dei contratti collettivi non possono estese alla differente fattispecie qualificatoria di risoluzione del rapporto di lavoro per volontà del lavoratore prevista dall’art. 26, comma 7-bis, del D.Lgs. n. 151/2015.

A sostegno di tale assunto, il noto criterio da privilegiare nella interpretazione del contratto, ancorché collettivo, di indagare qual era la volontà delle parti nel concludere l’accordo, non potendosi ritenere applicabile il criterio analogico nella interpretazione dei contratti collettivi.

Oltremodo, trattasi di contratti collettivi stipulati prima dell’entrata in vigore della legge n. 203 del 2024, quando le parti non potevano evidentemente prevedere l’estensione a fattispecie differenti rispetto a quelle che avevano contrattato e disciplinato e quindi non poteva sussistere una volontà delle parti in tal senso.

Analoga interpretazione è contenuta nella già citata circolare ministeriale n. 6/2025 che, invero, aggiunge che i contratti collettivi potrebbero disciplinare la materia prevedendo esclusivamente un termine più ampio di quello legale ritenendo che la norma non consentirebbe interpretazioni peggiorative della posizione del lavoratore.

Si tratta peraltro di una interpretazione di natura amministrativa, invero non aderente al dettato normativo.

Tuttavia, lo stesso Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha rappresentato che terrà conto, ove si consolidassero, delle diverse interpretazioni giurisprudenziali che emergeranno in sede di sindacato giudiziale delle controversie (nota n. 5257 del 10 aprile2025).

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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2025/05/20/dimissioni-fatti-concludenti-perfeziona-procedura

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