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Contratti a termine: come operare dopo il Collegato Lavoro

Ridefinizione delle attività stagionali, del periodo di prova, e della somministrazione di lavoro. Sono le modifiche alla disciplina dei contratti a termine previste dal Collegato Lavoro (L. n. 203/2024). Nello specifico, come si applicano le nuove regole? Se ne parlerà durante la XVI edizione del Festival del Lavoro, organizzato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro e dalla sua Fondazione Studi, che si svolgerà a Genova dal 29 al 31 maggio 2025.

Negli ultimi vent’anni, il contratto a tempo determinato è stato oggetto di frequenti interventi normativi. A partire dalla Direttiva europea 1999/70/CE - che ha introdotto il principio della parità di trattamento dei lavoratori e previsto sanzioni in caso di abusi - all’Italia che ha adottato il D.Lgs. 368/2001, introducendo le prime “causali”.

Da allora, il Legislatore è più volte intervenuto sulla disciplina del contratto a termine, ampliandone o restringendone la portata:

- la Legge Fornero (n. 92/2012) ha consentito il contratto acausale fino a 12 mesi;

- la Legge n. 78/2014 ha eliminato le causali per i contratti fino a 36 mesi, spostando l’attenzione sul limite quantitativo e sommando i contratti di somministrazione;

- il D.Lgs. 81/2015 ha confermato la flessibilità introdotta;

- il Decreto Dignità (D.L. n. 87/2018) ha reintrodotto causali più stringenti e ridotto la durata massima a 24 mesi;

- il D.Lgs n. 48/2023 è entrato nuovamente sull’argomento ma con un approccio completamente diverso, dando molto più spazio alla contrattazione collettiva e alla volontà di ridefinire l’applicazione del contratto a tempo determinato.

Il contratto a tempo determinato dopo il Collegato Lavoro

Arrivando ad oggi, gli interventi in merito alla disciplina dei contratti a termine previsti dal Collegato Lavoro (L. n. 203/2024) si riferiscono ad una ridefinizione delle attività stagionali, a limiti al periodo di prova, e alcune modifiche alla disciplina della somministrazione di lavoro.

Art. 11, L. n. 203/2024: attività stagionali

La ridefinizione delle attività stagionali, introdotta con il Collegato Lavoro, ha ampliato la possibilità di ricorrere all’utilizzo dei contratti di lavoro stagionale: la “stagionalità” non è più connessa esclusivamente allo svolgimento delle attività tradizionali di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 1525 del 1963, ma viene estesa alle attività organizzate per fare fronte a intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, nonché a esigenze tecnico-produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati serviti dall’imprese, secondo quanto previsto dai CCNL sottoscritti dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

Si tratti di un’interpretazione autentica dell’art. 21, del D.Lgs. n. 81/2015, che a livello operativo consente ad un novero più ampio di attività di fruire dei benefici legati alla definizione di “stagionalità”, in particolare:

- esclusione dal limite di durata massima complessiva dei contratti a termine;

- esclusione dei lavoratori stagionali dalla percentuale massima di lavoratori a termine che un datore di lavoro può avere in forza;

- esclusione dall’obbligo della causale da apporre al contratto superiore ai 12 mesi o in caso di rinnovo;

- esenzione dal versamento del contributo addizionale NASpI (1,40%) e dall’incremento previsto in occasione di ciascun rinnovo (0,50%).

Art. 13, L. 203/2024: periodo di prova

Sul solco dell’interpretazione maggioritaria fornita dalla Suprema Corte in questi ultimi anni, il legislatore ha modificato quanto disposto dall’art. 7, del D.Lgs. n. 104/2022 (decreto Trasparenza): la durata del periodo di prova che il datore di lavoro può inserire in un contratto a termine, deve essere stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni 15 giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro.

Vengono altresì fissati due ulteriori limiti: se il rapporto ha una durata inferiore ai sei mesi, il periodo di prova può andare da un minimo di due giorni ad un massimo di quindici giorni, mentre nei rapporti superiori a sei mesi e inferiori a dodici mesi, il periodo di prova non potrà andare oltre i trenta giorni, salvo eventuali condizioni di miglior favore previste dalla contrattazione collettiva.

Sempre sul piano operativo, la previsione di un periodo di prova così esiguo, sebbene nel contesto di un contratto a termine di breve durata, potrebbe comportare contestazioni da parte del lavoratore, in caso di recesso datoriale al termine del periodo suddetto, circa il mancato ed effettivo svolgimento di quest’ultimo nelle tempistiche e modalità adeguate.

Art. 10, L. 203/2024: somministrazione di lavoro

Infine, sempre sul piano del contratto a termine, l’art. 10 del Collegato Lavoro è intervenuto sulla disciplina della somministrazione. In primis, modificando l’art. 31, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2015, ed escludendo dal limite quantitativo del 30% del numero di lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipulazione dei contratti, i somministrati a tempo indeterminato assunti dalle agenzie per il lavoro e i somministrati a tempo determinato per i contratti conclusi nella fase di avvio di nuove attività, quelli conclusi da start-up innovative, quelli conclusi per lo svolgimento di attività stagionali (in base alla nuova interpretazione autentica vista sopra), quelli per specifici spettacoli, per la sostituzione di lavoratori assenti, e quelli riguardanti i lavoratori di età superiore a 50 anni, in caso di impiego di disoccupati che godono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali e di lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati: per questi ultimi, in caso di somministrazione a termine, non si applicano altresì i limiti di durata e le causali.

Lato pratico, le nuove disposizioni assumono importanza con riguardo proprio ai lavoratori assunti a tempo indeterminato dalle agenzie, che possono essere somministrati a tempo determinato presso l’utilizzatore (o a tempo indeterminato, purché entro il limite del 20% previsto dal comma 1 dell’art. 31 del D.Lgs. n. 81/2015).

L’art. 10, comma 1, lettera a), n. 1, Collegato Lavoro, ha infine abrogato, con decorrenza dal 12 gennaio 2025, il quinto e il sesto periodo dell’art. 31, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015, in particolare quella disposizione per cui, nel caso in cui il contratto tra l’agenzia di somministrazione e l’utilizzatore fosse a tempo determinato, l’utilizzatore potesse impiegare in missione, per periodi superiori a 24 mesi anche non continuativi, lo stesso lavoratore somministrato, per il quale l’agenzia avesse comunicato all’utilizzatore l’assunzione a tempo indeterminato, senza che ciò potesse determinare, in capo all’utilizzatore stesso, la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con il somministrato.

Considerazioni finali

Il contratto a tempo determinato, pur non essendo la forma comune di lavoro, rappresenta uno strumento fondamentale per garantire elasticità alle imprese. L’obiettivo del legislatore è bilanciare le esigenze di flessibilità delle aziende con le necessità occupazionali dei lavoratori. La parola chiave del futuro è “flessibilità adeguata”: il Collegato Lavoro è un passo verso una riforma strutturale che vuole rendere il contratto a termine coerente con le dinamiche del mercato, riducendo i margini di contenzioso e l'eccesso di rigidità.

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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2025/05/23/contratti-termine-operare-collegato-lavoro

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