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Contratti stagionali: dalle nuove regole ai vantaggi per i datori di lavoro

Il periodo estivo riveste particolare importanza per la gestione dei contratti a tempo determinato stagionali, il cui incremento è legato all’aumento dell’attività lavorativa. In particolare, occorre valutare le nuove regole introdotte dal Collegato Lavoro (legge n. 203/2025) per la specifica individuazione delle attività definite stagionali, nonché il quadro normativo nel suo complesso. Inoltre, occorre conoscere le deroghe rispetto ai “normali” contratti a tempo determinato. Come devono operare i datori di lavoro? Quali sono i vantaggi e le opportunità dell’utilizzo dei contratti a termine stagionali?

Quando sta per arrivare l’estate nel mondo del lavoro assumono una particolare importanza i contratti a tempo determinato stagionali, legati alle attività del settore turistico-alberghiero: in realtà, tali tipologie non sono strettamente legate a tale stagione ma, in certi settori, si possono avere anche in altri periodi dell’anno, come si può ben vedere attraverso una lettura attenta delle norme che lo regolano a cominciare dalla interpretazione autentica dell’art. 21, comma 2 del D.L.vo n. 81/2015, fornita dal Legislatore con l’art. 11 della legge n. 203/2024 (Collegato Lavoro).

Prima di entrare, concretamente, nel merito delle varie questioni mi preme sottolineare come, negli anni appena trascorsi, soprattutto dopo il D.L. n. 87/2018 che aveva introdotto nel “normale” contratto a tempo determinato alcune causali “ostiche” da inserire sia in occasione di rinnovi che di superamento della soglia dei dodici mesi. In quel periodo, da contratti “di nicchia” quali erano i contratti stagionali, grazie, soprattutto, alla contrattazione di secondo livello, hanno sempre più allargato la loro sfera di influenza nei rapporti di lavoro ma con sè, sovente, hanno portato non pochi problemi interpretativi, lasciando il fianco ad interventi della magistratura.

Interpretazione autentica del Collegato Lavoro

Ma, andiamo con ordine partendo dalla interpretazione autentica fornita con il predetto art. 11.

Il Legislatore fornisce una lettura autentica dell’art. 21, comma 2, secondo periodo del D.L.vo n. 81/2015 stabilendo che rientrano “nelle attività stagionali, oltre a quelle indicate dal Decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, le attività organizzate per fare fronte ad intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, nonché ad esigenze tecnico-produttive o collegate a cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati serviti dall’impresa, secondo quanto previsto dai contratti collettivi di lavoro, ivi compresi quelli già sottoscritti alla data di entrata in vigore della presente legge, stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative nella categoria, ai sensi dell’art. 51 del D.L.vo n. 81 del 2015”.

Come si può ben vedere l’interpretazione autentica alla quale, anche per i giudizi tuttora pendenti, ci si dovrà attenere, copre ampi settori in quanto si parla anche di accordi collettivi finanche di stagionalità relative ai mercati serviti dall’impresa: l’interpretazione autentica “salva” anche i contratti collettivi siglati prima del 12 gennaio 2015, data di entrata in vigore della norma, dai rappresentanti, anche aziendali, delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, secondo la dizione fornita dall’art. 51 del D.L.vo n. 81/2015.

Con tale intervento il Legislatore ha inteso bloccare gli effetti della sentenza della Corte di Cassazione n. 9243 del 4 aprile 2023 la quale, aveva affermato che:

a) “Seppur nel mutato quadro normativo della disciplina dei contratti a tempo determinato, resta valida l’affermazione che nel concetto di attività stagionale in senso stretto, rientrano le attività preordinate ed organizzate per un espletamento temporaneo (limitato ad una stagione) e non anche situazioni aziendali collegate ad esigenze d’intensificazione dell’attività lavorativa determinate da maggiori richieste di mercato o da altre ragioni di natura economico-produttiva”;

b) “Le fluttuazioni di mercato e gli incrementi di domanda del mercato e gli incrementi di domanda che si presentino ricorrenti in determinati periodi dell’anno rientrano nella nozione diversa delle c.d. punte di stagionalità che vedono un incremento della normale attività lavorativa connessa a maggiori flussi”.

Sulla base di questi principi la Corte aveva ritenuto che la contrattazione collettiva, potesse definire ulteriori attività stagionali, elencando, puntualmente, le attività che si caratterizzano per la stagionalità (non è sufficiente parlare di picchi di attività), in mancanza delle quali gli eventuali contratti a tempo determinato sottoscritti dal datore di lavoro rientrano tra quelli “normali”, con la conseguenza che il superamento dei 24 mesi (o termine diverso previsto dalla contrattazione collettiva) comporta la trasformazione dei rapporti a tempo indeterminato (nel caso esaminato dalla Cassazione il termine massimo era fissato a 36 mesi).

Secondo la Corte quei contratti stagionali si dovevano definire come “normali” e nella sommatoria, prevista dall’art. 19 del D.L.vo n. 81/2015, si era superato il limite massimo allora fissato in 36 mesi. I giudici non avevano riconosciuto la validità dell’accordo aziendale di una compagnia aerea che, pur prevedendo sulla base del D.L.vo n. 368/2001 e, poi del D.L.vo n. 81/2015, l’intensificazione delle attività in alcuni periodi dell’anno, non aveva individuato e tipizzato le attività che dovevano essere ritenute come stagionali in quanto preordinate ed organizzate per l’espletamento limitato ad una stagione.

La scelta del Legislatore, come si può ben vedere dall’ampio campo di applicazione richiamato dalla interpretazione autentica è stata “orientata” a salvare l’efficacia di molti contratti ed accordi collettivi ove, spesso, si parla di picchi stagionali, di date correlate ad una maggiore intensificazione dell’attività, di picchi produttivi, senza alcuna declinazione dei profili per i quali si può parlare di attività stagionale incrementale.

Tutto ciò comporta che allorquando i datori di lavoro dovranno far riferimento ai contratti stagionali ed alle loro causali indicate negli accordi collettivi (anche di secondo livello), dovranno ben specificare, nelle lettere di assunzione, la “voce” alla quale intendono far riferimento.

Nuovo quadro normativo: le fonti

Il nuovo quadro normativo, quale risulta dopo i chiarimenti intervenuti con il “Collegato Lavoro” ci riporta, necessariamente, alla individuazione delle fonti che regolano i contratti stagionali che sono:

a) il D.P.R. n. 1525/1963, emanato in esecuzione della previsione contenuta nella legge n. 230/1962 (abrogata nel 2001) che, nel testo, richiama alcune attività, ormai abbastanza desuete, specchio dell’Italia degli anni sessanta. Per la verità, l’art. 21, comma 2, del D.L.vo n. 81/2015 afferma che le attività stagionali sono individuate da un D.M. del Ministro del Lavoro e che quelle individuate dal D.P.R. n. 1525/1963 si applicano fino alla adozione del D.M. . Da allora sono passati dieci anni e cinque Ministri del Lavoro si sono succeduti e del Decreto Ministeriale con la previsione delle nuove stagionalità non si vede neanche l’ombra;

b) le attività stagionali definite dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative entro il 31 dicembre 2019, riferite allo svolgimento di prestazioni in provincia di Bolzano. E’ questa una disposizione introdotta con la legge di Bilancio per l’anno 2020, finalizzata a favorire le attività turistiche di tale territorio, che sarebbe buona regola estendere in altre parti del nostro Paese, ugualmente turistiche, atteso che la norma comporta, come vedremo, l’esonero dal contributo dell’1,40% e da quello addizionale, in caso di rinnovo;

c) le attività stagionali previste da accordi e contratti collettivi, anche territoriali od aziendali, stipulati da organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, secondo la previsione contenuta nell’art. 51 del D.L.vo n. 81/2015.

IL comma 29 dell’art. 2 della legge n. 92/2012, esonera dal pagamento dell’1,40% mensile su ogni contratto e dal contributo addizionale dello 0,50% per i rinnovi, unicamente i contratti stagionali riportati sub a) e b) ed i soli contratti per attività stagionali stipulati entro il 31 dicembre 2011, come ha ricordato il messaggio INPS n. 483 del 7 febbraio 2025.

Flessibilità e vantaggi per il datore di lavoro

I contratti stagionali, rispetto ai “normali, contratti a tempo determinato presentano alcune flessibilità e vantaggi per il datore di lavoro che possono, così riassumersi:

a) non sono soggetti al limite dei ventiquattro mesi previsti, in via generale e fatta salva l’ipotesi di una diversa durata stabilita dalla contrattazione collettiva, per i contratti a tempo determinato “normali”. Nella sostanza, la stagionalità può ripetersi per molti anni come, ad esempio, si può ben vedere nelle prestazioni che riguardano il settore alimentare nei periodi prenatalizi e prepasquali;

b) sono esenti dalla apposizione di una condizione specifica, atteso che la stessa stagionalità, richiamata dal D.P.R. n. 1525/1963 e dalla contrattazione collettiva, può definirsi una causale;

c) non sono soggetti al rispetto dello “stop and go” tra un contratto stagionale ed il successivo contratto dello stesso tipo;

d) sono esenti dai limiti quantitativi previsti dalla normativa sui contratti a tempo determinato “normali”;

e) alcuni contratti sono esenti, come detto pocanzi, dal pagamento del contributo addizionale dell’1,40% e dall’ 0,50% per ogni rinnovo (sono quelli elencati, come detto, al comma 29 dell’art. 3 della legge n. 92/2012);

f) generano diritti di precedenza per ulteriori attività stagionali in favore dei lavoratori i quali, possono esercitare tali diritti, per iscritto, entro i tre mesi successivi alla fine del contratto, o entro il limite diverso stabilito dalla contrattazione collettiva. A proposito della agibilità di tali diritti potrebbe venire in evidenza una situazione relativa a chi assumere in presenza di più diritti di precedenza e di un numero di posti disponibili meno ampio rispetto alla passata stagione: in genere, la contrattazione collettiva fornisce i criteri di applicazione, ma in mancanza degli stessi, ritengo che il datore di lavoro debba favorire l’accesso al posto di lavoro a chi presenta maggiore anzianità aziendale. Il datore di lavoro è tenuto a ricordare, per iscritto, nella lettera di assunzione l’esistenza del diritto di precedenza: se non lo fa non c’è sanzione ma, in caso di accesso in azienda degli ispettori del lavoro, potrebbe essere destinatario di una disposizione ex art. 14 del D.L.vo n. 124/2004 con la quale viene richiamato ad ottemperare al dettato normativo entro un breve termine: se non dovesse adempiere, sarebbe destinatario di una sanzione amministrativa, non diffidabile, compresa tra 500 e 3.000 euro. Ovviamente è possibile il ricorso amministrativo (che non sospende l’efficacia della disposizione) al Direttore dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro entro quindici giorni, che decide nei quindici giorni successivi (la mancata decisione è silenzio-diniego);

g) proroghe, come nei contratti a tempo determinato “normali”, sono sempre quattro in ventiquattro mesi, ma tale rigidità si allenta per il fatto che nel contratto stagionale non sussiste, come detto pocanzi, lo “stacco” tra due rapporti a termine. Ovviamente, è sempre possibile utilizzare la disposizione sullo “sforamento”, prevista dal comma 1 dell’art. 22, che consente al datore di lavoro di andare oltre il termine prefissato, con una maggiorazione della retribuzione del 20% (che si riflette su tutti gli istituti correlati) fino al decimo giorno e del 40% a partire dall’undicesimo fino ad un massimo di cinquanta giornate, fermo restando il rispetto dei termini previsti al successivo comma 2.

Per una completa trattazione della tipologia contrattuale del lavoro a termine per attività stagionale, credo che sia opportuno considerare altri istituti che la riguardano direttamente o altri istituti sui quali può esplicare la propria influenza.

Il patto di prova

Mi riferisco, ad esempio, al patto di prova ove appare necessario sottolineare quanto affermano sia l’art. 7 nella prima versione contenuta nel D.L.vo n. 104/2022 che nell’attuale in cui sono state immesse le novità dell’art. 13 della legge n. 203/2024 (Collegato Lavoro).

Il periodo di prova, se inserito per iscritto nel contratto, deve essere, ricorda il predetto art. 7, proporzionato sia alla durata del contratto che alle mansioni da svolgere. Esso, fatta salva una disposizione più favorevole prevista dal CCNL applicato, afferma il “Collegato Lavoro”, è di un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici di calendario a partire dalla data di effettivo inizio del rapporto di lavoro. Nel caso in cui ci si trovi di fronte al rinnovo di un contratto per lo svolgimento delle stesse mansioni, non è possibile inserire il patto di prova.

I contratti stagionali possono avere un effetto indiretto anche sulle disposizioni che regolano gli adempimenti in materia di collocamento obbligatorio. Mi riferisco alla legge n. 68/1999 ove nell’anno di riferimento i contratti a tempo determinato, ivi compresi quelli per attività stagionale, rientrano nel calcolo se si supera la soglia dei sei mesi, come previsto dall’art. 46-bis, comma 1, lettera l) del D.L. n. 83/2012 convertito, con modificazioni, nella legge n. 134: l’intervento normativo è intervenuto sul comma 27 dell’art. 4 della legge n. 92/2012 che ha operato, a sua volta, una sostituzione del testo dell’art. 4, comma 1, della legge n. 68/1999. Si tratta di una modalità di computo “speciale” che, sostanzialmente, deroga alla previsione dell’art. 27 del D.L.vo n. 81/2015.

Un discorso diverso va fatto per i lavoratori agricoli stagionali (qui le disposizioni di riferimento sono del tutto diverse) ove gli stessi vengono considerati computabili, ai fini del collocamento obbligatorio, soltanto se superano le 180 giornate lavorative nell’anno solare, come chiarito dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la nota n. 43 del 18 marzo 2018. Ricordo, peraltro, che in agricoltura con 180 giornate nell’anno solare c’è il diritto alla trasformazione a tempo indeterminato del rapporto dell’operaio agricolo, cosa prevista dall’art. 23 del CCNL del settore.

Incremento occupazionale netto

I contratti di lavoro per attività stagionali rientrano nel computo necessario per il calcolo dell’incremento occupazionale netto che, sia detto per inciso, dal 1° luglio 2025, per effetto del messaggio n. 1935 del 18 giugno 2025, è divenuto un requisito necessario per tutte le assunzioni che fruiscono dello sgravio contributivo previsto dagli articoli 22 e 23 del D.L. n. 60/2024. La Corte Europea di Giustizia, con la sentenza del 2 aprile 2009, n. C-415/07 ha affermato che ai fini dell’incremento dell’occupazione “si deve porre a raffronto il numero medio di unità lavoro-anno dell’anno precedente l’assunzione con il numero medio di unità lavoro-anno dell’anno successivo all’assunzione”.

Per far ciò, come ricordano, da ultimo le circolari INPS n. 90 e n. 91 del 12 maggio 2025 che richiamano l’art. 2, punto 32, del Regolamento UE n. 651/2014 per incremento occupazionale netto si deve intendere l’aumento netto del numero dei dipendenti dell’azienda rispetto alla media relativa ad un periodo di riferimento, dopo aver sottratto dal numero di posti di lavoro creati, il numero dei posti soppressi nel corso dello stesso periodo (ad esempio, quelli persi dal datore di lavoro a seguito di cambio di appalto). Il numero dei lavoratori occupati a tempo pieno, a tempo parziale e “stagionalmente” (ecco il riferimento ai contratti per attività stagionali) va calcolato considerando le frazioni di unità di lavoro-anno.

Altra questione concerne la stipula di un contratto a tempo determinato “normale” dopo un contratto per attività stagionale con lo stesso datore di lavoro: ciò è possibile nel rispetto dello “stop and go” tra un contratto a l’altro, come previsto dall’art. 21, comma 2, del D.L.vo n. 81/2015.

Contratti di somministrazione

Due parole, infine, sui contratti di somministrazione per attività stagionali che, in un certo senso, hanno avuto dal Legislatore una “spinta” verso una loro maggiore utilizzazione.

L’art. 31 del D.L.vo n. 81/2015, riformato, sul punto, dall’art. 10 della legge n. 203/2024, afferma che non rientrano nella percentuale del 30% (o in quella diversa stabilita dalla contrattazione collettiva, anche aziendale) calcolata sui lavoratori a tempo indeterminato in forza al primo gennaio dell’anno al quale si riferisce la somministrazione, i lavoratori utilizzati per lo svolgimento delle attività stagionali di cui all’art. 21, comma 2.

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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2025/07/02/contratti-stagionali-nuove-regole-vantaggi-datori-lavoro

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