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Archivio newsDipendenti sospettati d’illeciti: come effettuare i controlli difensivi
Con riferimento ai sospetti di illeciti commessi dai propri dipendenti, l’evoluzione a tratti ondivaga della disciplina dei controlli difensivi continua a rendere questa materia estremamente interessante. Nonostante l’intervento del legislatore del 2015, gran parte dei temi più scottanti restano ancora affidati all’elaborazione giurisprudenziale, che sembra aver raggiunto un nuovo assetto, più volte confermato. La Cassazione, infatti, ha ben delineato i confini dei controlli difensivi dopo il Jobs Act: quando e come il datore di lavoro può monitorare i dipendenti sospettati di illeciti?
I controlli difensivi rappresentano uno degli strumenti più delicati a disposizione del datore di lavoro per tutelare il patrimonio aziendale. La loro disciplina, oggetto di continua evoluzione giurisprudenziale, richiede particolare attenzione per evitare che prove apparentemente solide di comportamenti illeciti vengano poi dichiarate inutilizzabili in sede giudiziale.
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Controlli difensivi “in senso lato” e “in senso stretto”
La Cassazione, con una serie di recenti pronunce, ha tracciato una fondamentale distinzione tra controlli difensivi “in senso lato” e “in senso stretto”.
I primi riguardano la tutela del patrimonio aziendale attraverso il monitoraggio della generalità dei dipendenti o di gruppi di essi. |
Questi controlli devono necessariamente rispettare gli oneri procedurali dell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, richiedendo, quindi, l'accordo sindacale o l'autorizzazione amministrativa.
I controlli "in senso stretto", invece, sono quelli mirati ad accertare specifiche condotte illecite attribuibili, sulla base di concreti indizi, a singoli dipendenti identificati. |
La Suprema Corte ritiene che questi controlli possano essere effettuati anche in modo occulto e senza le procedure statutarie, purché siano rispettate precise condizioni.
La prima condizione è l'esistenza di un “fondato sospetto”. Non bastano mere percezioni soggettive o ipotesi generiche: il datore di lavoro deve poter dimostrare circostanze concrete che hanno fatto insorgere il sospetto di comportamenti illeciti. Il controllo deve, inoltre, essere “attuato ex post”, cioè attivato solo dopo l'emergere di tali indizi e non può estendersi a periodi precedenti.
La seconda condizione riguarda l'oggetto del controllo, che non può mai riguardare il mero inadempimento della prestazione lavorativa, ma deve riferirsi a condotte penalmente rilevanti o comunque fraudolente, capaci di arrecare danno al patrimonio aziendale inteso in senso ampio, comprensivo anche dell'immagine e della reputazione.
La terza condizione attiene alla proporzionalità e non invasività del controllo. Occorre un equo bilanciamento tra le esigenze di tutela aziendale e i diritti fondamentali del lavoratore. Il controllo deve essere limitato a quanto strettamente necessario per accertare l'illecito sospettato, evitando modalità eccessivamente invasive della sfera personale.
Condotta illecita sovrapposta all'inadempimento contrattuale
Occorre domandarsi, però, cosa avviene nei casi in cui la condotta illecita si sovrappone all'inadempimento contrattuale, come nell'ipotesi di abuso delle pause; si possono cioè ritenere legittimi controlli difensivi occulti su simili condotte, anche se ciò significa inevitabilmente effettuare un controllo sull’attività lavorativa.
Si ritiene che la risposta possa essere affermativa. In queste situazioni, infatti, la condotta del lavoratore è caratterizzata da un quid pluris, e cioè dal disvalore ulteriore della fraudolenza, per cui il contegno del dipendente non si esaurisce nella mera violazione dell’obbligo di diligenza (art. 2104, comma 1, c.c.) o nell’inosservanza delle disposizioni impartite (art. 2104, comma 2, c.c.), ma integra una vera e propria truffa, o comunque una frode, ai danni del datore di lavoro. Di qui la necessità di controllare simili condotte anche in modo occulto, al fine di tutelare l’imprenditore da comportamenti che potrebbero pregiudicare il patrimonio aziendale, non solo in termini economici, ma anche reputazionali, desumibile da elementi quali la sistematicità del comportamento, la sua durata nel tempo e le modalità di attuazione.
Orientamento della Cassazione
Ovviamente, la prova in via diretta di un intento fraudolento è assai ardua, ma quest’ultimo può essere desunto anche in via presuntiva da indizi, quali, ad esempio, la frequenza del comportamento illecito, la sua durata, l’abitualità delle modalità di attuazione, il contegno tenuto dal lavoratore, e finanche l’effettuazione dell’illecito nelle fasi in cui la prestazione è svolta al di fuori dei locali aziendali, ossia in luoghi in cui è più facile perpetrare simili condotte all’insaputa dell’imprenditore (Cass. n. 27610/2024).
È fondamentale, dunque, documentare accuratamente sia gli indizi che hanno fatto sorgere il sospetto sia le modalità con cui il controllo viene effettuato. L'inosservanza anche di una sola delle condizioni sopra indicate può determinare l'inutilizzabilità delle prove raccolte, con conseguente impossibilità di sanzionare anche comportamenti oggettivamente gravi. La materia richiede, quindi, un approccio estremamente cauto e professionale: meglio valutare prima l’impatto di un controllo difensivo, piuttosto che rischiare di vanificare, per vizi procedurali, l'accertamento di condotte illecite potenzialmente dannose per l'azienda. |
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