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Archivio newsContratti a tempo determinato con causali individuali anche nel 2026
Nuove modifiche per i contratti a tempo determinato: la legge di conversione del decreto Economia (D.L. n. 95/2025) sposta in avanti, al 31 dicembre 2026, in mancanza di accordi collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative o dalle loro strutture aziendali (RSU o RSA), la possibilità per le parti (datore di lavoro e lavoratore, ma nella realtà è il primo a decidere) di definire in autonomia le causali che consentano il superamento del limite dei 12 mesi nei contratti a termine.
Se c’è una tipologia contrattuale che, nel nostro Paese non trova “pace”, questa è quella dei contratti a tempo determinato: è sufficiente pensare a tutte le modifiche intervenute già dal 2001 fino ai giorni nostri, ai chiarimenti amministrativi e, soprattutto, agli interventi dei giudici. Per quel che concerne gli ultimissimi interventi legislativi è sufficiente ricordare che la legge n. 203/2024 (Collegato Lavoro) è intervenuto con un’interpretazione autentica, con effetto retroattivo, sulla disciplina dei contratti stagionali e ha definito la durata del periodo di prova basandosi, peraltro, soltanto sul criterio della durata del rapporto, senza considerare le mansioni da svolgere.
L’intervento del decreto Economia
Ora il Legislatore, con il comma 6-bis dell’art. 14 del D.L. n. 95/2025, convertito, con modificazioni, nella legge n. 118/2025, inserito in sede di conversione all’interno di un articolo che nella rubrica parla di “Disposizioni urgenti in materia di turismo”, sposta in avanti, al 31 dicembre 2026, in mancanza di accordi collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative o dalle loro strutture aziendali (RSU o RSA), la possibilità per le parti (datore di lavoro e lavoratore, ma nella realtà è il primo a decidere) di definire in autonomia le causali che consentano il superamento del limite dei dodici mesi nei contratti a tempo determinato: tali causali per esigenze tecnico, produttive ed organizzative sono valide anche per i contratti a scopo di somministrazione.
Per ben comprendere come ora si presenta il comma 1 dell’art. 19 del D.Lgs. n. 81/2015 appare opportuno riepilogare la norma che, nel suo complesso, aveva riscritto nel corso del 2023, con il D.L. n. 48, quanto introdotto nel 2018 con il D.L. n. 87 (il c.d. decreto Dignità):
“Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma, comunque, non eccedente i ventiquattro mesi, solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:
a) nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’art. 51;
b) in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda e, comunque, entro il 31 dicembre 2026, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti;
b-bis) in sostituzione di altri lavoratori”.
Perché una nuova proroga?
La proroga sulla quale si sta riflettendo è la terza rispetto al termine originariamente fissato al 31 dicembre 2024. Di conseguenza una domanda sorge spontanea: cosa ha spinto il Governo ad inserire questa ulteriore proroga in un provvedimento che riguarda l’economia?
Le parti sociali individuate dalla norma, in gran parte della contrattazione collettiva, non hanno ancora definito le condizioni, proprio perché una disciplina condivisa su una materia scottante come quella dei contratti a tempo determinato, è difficile da raggiungere. Pertanto, questo nuovo rinvio della norma “a tempo” che consente all’autonomia individuale di prevedere causali per specifiche esigenze, si è reso necessario. Si tratta, pur sempre, di una disposizione “cedevole” nel senso che se in un settore dovesse intervenire un accordo collettivo prima del 31 dicembre 2026, i datori di lavoro interessati non potranno più procedere con accordi individuali, pur restando pienamente validi quelli già stipulati.
Se si esaminano i dati relativi ai contratti a termine si può facilmente notare come gli stessi difficilmente superino la soglia dei dodici mesi, atteso che entro tale limite l’apposizione obbligatoria della condizione non è prevista pur in presenza di proroga o di rinnovo (a differenza di ciò che affermava la precedente norma introdotta con il decreto Dignità).
I contratti a tempo determinato che più facilmente superano l’anno di durata sono quelli che riguardano la sostituzione di personale assente ove la dizione ampia adottata ne consente il ricorso per situazioni diverse (sostituzione per malattia, infortunio, maternità, distacco, etc.).
Si ha una certa ritrosia a procedere in autonomia e, sovente, raggiunto il limite dei dodici mesi quel lavoratore cessa il rapporto e, in caso di necessità, il datore si rivolge ad un altro soggetto che potrà lavorare, senza apposizione di alcuna causale, per altri dodici mesi. È, tutto sommato, un incentivo alla precarietà, atteso che anche la normativa non aiuta il lavoratore, il quale ha soltanto un diritto di precedenza da far valere in caso di una nuova assunzione a tempo indeterminato del datore per le mansioni già svolte entro i dodici mesi successivi alla cessazione del rapporto. L’unica eccezione riguarda (art. 24, comma 2, D.Lgs. n. 81/2015) le lavoratrici che hanno fruito del congedo obbligatorio per maternità che hanno un diritto di precedenza anche per un contratto a tempo determinato, entro dodici mesi, per le mansioni già espletate in precedenti rapporti a termine.
In ogni caso, qualora il datore intenda superare la soglia dei dodici mesi, dovrà, in mancanza di pattuizione collettiva, procedere alla stipula di un rinnovo (se il precedente rapporto era cessato) o di una proroga, se riferita a un rapporto in corso, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva.
La disposizione, come detto, non ha natura strutturale, nel senso che tale possibilità va utilizzata entro il 31 dicembre 2026 (inteso come giorno ultimo per sottoscrivere il contratto, potendo quest’ultimo ben esplicare la propria vigenza oltre tale data). La norma parla di accordo tra datore e lavoratore per individuare le esigenze aziendali sopra citate: è una disposizione che, a mio avviso, non rappresenta la realtà, in quanto le esigenze tecnico, organizzative e produttive sono ben conosciute dall’imprenditore e non dal lavoratore che sottoscrive il contratto per accettazione ed adesione rispetto a quanto già definito dal datore. Nel contratto individuale che si andrà a sottoscrivere per le esigenze di natura tecnica, produttiva e organizzativa, sarà opportuno che l’esigenza richiamata sia ben declinata dal datore di lavoro, con spiegazione per esteso, con dovizia di particolari e correlata alla temporaneità, per non incorrere in possibili rivendicazioni a livello giudiziale come avvenne, in un quadro giuridico ben diverso, con il D.Lgs. n. 368/2001. La disposizione non prevedeva un limite temporale al contratto a termine e fu abbastanza facile ricondurre il tutto, in presenza di una violazione riscontrabile nella causale, a contratto a tempo indeterminato.
Queste, a mio avviso, sono le remore principali che spingono i datori di lavoro a non utilizzare, con una certa ampiezza, la facoltà riconosciuta dal Legislatore.
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