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Archivio newsParità retributiva (di genere): potremmo davvero conoscere lo stipendio dei colleghi?
Dal 2026, una volta che sia stata trasposta la direttiva dell’Unione Europea n. 970 del 10 maggio 2023, sarà possibile per i lavoratori interrogare il proprio datore di lavoro per conoscere, nel dettaglio, quale sia la retribuzione corrisposta ai propri colleghi che godono del medesimo inquadramento. Obiettivo: assicurare la parità di retribuzione per uno stesso lavoro, o per un lavoro di pari valore, a tutela anche della parità di genere. Previste sanzioni per chi non rispetta queste regole. In questa attività, nessun diritto di privacy. Sembra davvero che la direttiva UE possa modificare profondamente i sistemi di retribuzione del personale e sarebbe bene, dati i tempi stretti che rimangono, per conformarsi, che questi pochi mesi siano utilizzati al meglio, mettendo a punto una legge chiara e di facile attuazione pratica.
Da anni siamo stati abituati a prestare grande attenzione al diritto alla privacy, ovvero al diritto a poter disporre di una sfera personale all’interno della quale essere noi a decidere chi ammettere. In questo senso si può dire che la privacy è il diritto ad essere lasciati soli, ovvero a rivelare agli altri solo quello che ognuno di noi vuole.
Non si tratta, a dispetto della parola inglese, di una invenzione d’oltreoceano, sia perché in America di privacy non ce n’è molta, sia perché le prime previsioni normative sul tema si devono proprio alla legislazione italiana, che nel 1970 con lo “Statuto dei lavoratori” (l. n. 300/1970) ebbe a prevedere una serie di divieti, tutt’ora vigenti, che impediscono al datore di lavoro, ad es., di conoscere quale malattia giustifichi l’assenza del proprio dipendente (art. 5 l. n. 300/1970) o di riprendere impiegati ed operai sul posto di lavoro, in assenza di una valida e specifica ragione che giustifichi un siffatto sacrificio (art. 4 l. n. 300/1970).
Questi divieti trovavano la loro ragion d’essere nel divieto di discriminazione, essendo evidente come, in una società poco incline alle libertà individuali e non esente da pregiudizi, per i lavoratori poteva essere pericoloso mettere a conoscenza del datore di lavoro fatti privati, poiché ciò poteva condurre ad essere discriminati, in conseguenza delle proprie idee politiche, del proprio credo, dell’iscrizione al sindacato o di altre scelte puramente personali.
Questa norma legislativa, che di lì a poco è stata rafforzata dall’entrata in vigore di una pluralità di disposizioni di ordine generale (prima il Codice della privacy ed ora il regolamento generale sul trattamento dei dati, contenuto in una norma europea: GDPR Regolamento UE 2016/679), ha condotto ad una profonda modifica dei comportamenti individuali, tanto che, per fare solo un esempio, nei pubblici uffici o in farmacia ognuno deve stare a distanza quando è in fila, mentre nelle scuole le liste dei bocciati non recano più nomi e cognomi.
Una volta abituati a considerare la privacy come un valore assoluto, addirittura sovra-ordinato rispetto ad altri diritti individuali, grande attenzione ha destato nei mesi scorsi la notizia che dal 2026, una volta che sia stata trasposta la direttiva dell’Unione Europea n. 970 del 10 maggio 2023, sarà possibile per i lavoratori interrogare il proprio datore di lavoro per conoscere, nel dettaglio, quale sia stata la retribuzione corrisposta ai propri colleghi che godono del medesimo inquadramento.
A guardare le cose un po’ più da vicino, però, è facile scoprire che, anche se non si tratta di una tempesta in un bicchier d’acqua (perché effettivamente la norma ha un suo importante rilievo), resta vero che il legislatore europeo vuole solo rendere più semplice il carico probatorio che grava sulle lavoratrici che agiscano in giudizio lamentando una discriminazione a proprio danno.
La direttiva UE n. 970 del 10 maggio 2023, in questo senso, parte dal presupposto che, malgrado la disciplina a tutela della parità di genere sia diffusa da decenni (in Italia risale al 1977), le statistiche mostrano in tutt’Europa ancora importanti differenze, non appena si vadano a verificare, in particolare, i dati retributivi relativi alle mansioni apicali o medio-alte. Partendo da questo presupposto, quindi, l’Unione europea, attraverso una norma di portata generale (che richiede poi di essere completata ed attuata dai singoli ordinamenti nazionali entro la primavera del 2026) invita gli Stati membri ad adottare le misure necessarie per garantire che i datori di lavoro dispongano di sistemi retributivi che assicurino la parità di retribuzione per uno stesso lavoro, o per un lavoro di pari valore.
Seppure le imprese restino libere di decidere le politiche di carriera che ritengono più opportune, l’invito va nel senso, per tutte le imprese di medio-grandi dimensioni, di adottare strumenti o metodologie che consentono agli stessi datori di lavoro e/o alle parti sociali di istituire e utilizzare sistemi di valutazione e classificazione professionale neutri sotto il profilo del genere, e quindi tali da escludere qualsiasi discriminazione retributiva, diretta e indiretta, fondata sul sesso.
La valutazione e il confronto del valore del lavoro dovranno essere effettuati, quindi, sulla base di criteri oggettivi. E di qui l’esigenza di verificare, mediante la conoscenza degli effettivi importi di retribuzione pagata ai colleghi o ai diretti superiori, se siano state le competenze, l’impegno, e il merito a determinare la carriera individuale o se alla base di certe promozioni vi sia un qualche pregiudizio a danno delle lavoratrici.
L’obiettivo è ambizioso e coinvolge tutti gli attori in campo, perché, per i datori di lavoro di maggiori dimensioni (che occupino da 100 a 250 lavoratori) sono previsti, a partire già da giugno 2027, obblighi di informazione e di elaborazione di report dettagliati (seppure su dati aggregati) relativi al gender pay gap nelle sue diverse componenti retributive. In questa attività, come si è detto in esordio, nessun diritto di privacy potrà impedire di avere accesso ai dati dei colleghi, anche se si prevede di evitare un confronto diretto, rilasciando i dati sensibili o ai sindacati o alle consigliere di parità (o in sede giudiziale o amministrativa).
Ma non sarà tanto questo l’obiettivo della direttiva UE n. 970/2023, poiché pure si prevede che qualora dalla relazione sulle retribuzioni dovesse emergere una differenza pari o superiore al 5% e il datore di lavoro non sia in grado di giustificare questo divario in base a fattori oggettivi e neutri dal punto di vista del genere, si dovrà porre rimedio alla situazione, anche in collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori, l’Ispettorato del lavoro e/o gli organismi di parità, realizzando un piano di parità che, entro un termine molto breve (si parla di sei mesi), riconduca il sistema ad equilibrio.
Nella stessa direzione vanno le norme in tema di selezione, realizzando forme davvero inedite di tutela della persona: la formulazione dei bandi (o dei job posting), infatti, dovrà essere rispettosa della differenza di genere, mentre ai colloqui pre-assunzione non solo saranno vietate (come già adesso in forza dell’art. 8 l. n. 300/1970) domande dirette ad indagare aspetti che eccedono le mansioni oggetto del futuro contratto, ma sarà altresì vietato informarsi sui precedenti livelli di retribuzione.
Questi punti, che già hanno trovato attuazione in altre legislazioni, sono assai più importanti, di quanto non appaia ad una prima impressione, sia perché possono dar luogo facilmente a probabili sanzioni di tipo pecuniario (in Spagna si arriva a 5.000,00 euro), sia perché la violazione dei precetti in sede di colloquio pre-assuntivo oramai da più di cinquant’anni prevede l’applicazione di sanzioni penali per chi non rispetti le regole.
Insomma, sembra davvero che la direttiva UE n. 970 del 10 maggio 2023 possa modificare profondamente i sistemi di retribuzione del personale e sarebbe bene, dati i tempi stretti che oramai rimangono, sia allo Stato italiano, sia alle imprese, per conformarsi alla direttiva, che questi pochi mesi che ancora rimangono prima dello scadere del termine siano utilizzati al meglio, mettendo a punto una legge chiara e di facile attuazione pratica.
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